CLELIA & WILLELM – EPISODIO 03

DRONERO: IL PONTE DEL DIAVOLO E LA TERRA DI LYMPHAE
 
Feci esattamente ciò che mi ero ripromessa e per giorni cercai il vecchio sulle rive del Pesio su cui ero sicura di trovarlo. Un tiepido sole, asciugava da qualche giorno, la terra fradicia. L’aria era rimasta fresca e ancora speravo in un ritorno delle calde giornate estive. Mi fermai nel punto esatto in cui l’avevo incontrato mesi prima, ma di lui non vi era traccia. Era come scomparso, o meglio, come se non fosse mai esistito. Trovai un tronco divelto e mi ci accomodai, aguzzando lo sguardo e tendendo bene le orecchie. Avevo bisogno di sapere, ma non solo ciò che lui voleva dirmi. Avevo bisogno di sapere tutto, senza sconti questa volta. Il mio bisnonno era un purificatore, ma era lui stesso che cercava, stanava e purificava. Perché io invece venivo cercata? Che cosa c’era in me che faceva così paura da volermi eliminare? Avevo un turbinio di domande che si inseguivano in testa e che non mi facevano smettere di pensare. Sollevai il viso e socchiusi gli occhi, godendo dei tiepidi raggi che riuscivano a penetrare tra le fitte fronde dei castagni. Un nutrito stormo di passerotti si levò in volo cinguettando allarmato. Mi voltai in tutte le direzioni, cercando di individuare il motivo di tanta inquietudine, ma davanti a me potevo vedere solo erba, tronchi, alcuni funghi dal colorito giallastro e lattiginoso e nient’altro. Uno schizzo di acqua gelida mi spruzzò il viso non appena tornai a voltarmi verso il Pesio. L’acqua era talmente gelida da bloccarmi per un attimo il respiro. In piedi, tra le correnti ingrossata dalle recenti piogge, la ninfa mi guardava con aria preoccupata. Feci qualche passo nella sua direzione e lei sembrò agitarsi. Mi fermai e sollevai le mani all’altezza del petto.
“Non voglio farti del male. Ho bisogno di parlare con il vecchio.”
Lei accennò un sì con il capo e mi invitò a seguirla. Non avevo alcuna voglia di entrare nell’acqua fredda del fiume, ma nonostante le mie proteste lei continuò a camminare in direzione opposta alla corrente senza concedermi alcuna spiegazione. Come immaginavo, le gambe presero a fami male e feroci crampi mi assalirono i piedi e i polpacci. Protestai, ma la ninfa non si fermò fino a che non fu arrivata dinnanzi alla roccia sulla quale era adagiata la prima volta che ebbi occasione di vederla. Si voltò, con un lieve sorriso che non seppi decifrare e, con una grazia ed una leggerezza tali da non alzare neppure uno spruzzo, s’immerse. Voleva che la seguissi, ma io non sono uno spirito dell’acqua; non potevo sopravvivere lì sotto per più di un minuto scarso. Rimasi lì, indecisa e anche un po’ diffidente. Per quanto ne sapevo, avrebbe potuto avvinghiarmi e uccidermi non appena mi fossi immersa. Fuori dall’acqua, il suo elemento essenziale, non ne avrebbe avuto la forza, ma dentro l’acqua tutto sarebbe stato diverso. Le parti si sarebbero invertite e lei avrebbe avuto la meglio senza neppure sforzarsi più di tanto. Sentii un leggero tocco sulla gamba e mi stupii di sentire ancora qualcosa dal momento che il liquido freddo mi aveva totalmente tolto la sensibilità agli arti inferiori. Rabbrividivo senza riuscire a fermarmi. Il viso della ninfa fece capolino di fianco a me e con un cenno mi invitò nuovamente a seguirla. Non diceva una parola. Solo cenni e mezzi sorrisi. Presi fiato gonfiando i polmoni e aggrappandomi alla speranza di uscirne viva, mi tuffai e sono certa che sollevai ben più di un piccolo spruzzo.
 
Appena sotto il pelo dell’acqua, mi accolse il viso etereo e perfetto della ninfa che mi prese per mano e mi attirò più giù. Si voltò verso di me e, soffiando su di un palmo, come se volesse mandarmi un timido bacio, spinse delicate bolle d’aria sul mio viso. Mi guardai intorno e scoprii di non sentire più freddo e che non mi mancava il respiro. A dire la verità non sentivo più nulla. Forse ero morta?
Il letto del Pesio era invisibile e sapevo che era una cosa impossibile dal momento che, in quel tratto, l’acqua era piuttosto bassa. La ninfa nuotava tirandomi dietro. Nuotava libera, come se si trovasse in un abisso senza fine e non in un fiume di montagna con l’acqua che arriva a malapena al ginocchio. Si voltò e mi parve di scorgere un ghigno sul suo viso, quando un vortice di gran forza si parò davanti a noi. Non ebbi il tempo di pensare. La ninfa mi prese l’altro braccio. Cercai di divincolarmi, ma come immaginavo, la sua forza nell’elemento acqua era al di là delle mie possibilità. Non rinunciai a lottare, ma le speranze di farcela erano poche.
Sentii distintamente le correnti prepotenti del vortice, lambirmi le gambe e strattonarmi mentre cercavo di batterle con tutta la forza che avevo e di allontanarmi da quell’occhio maligno e senza fine. Stremata, senza più forze, con le vertigini causate dallo sforzo estremo, mi lasciai andare. Mi lasciai risucchiare da quella corrente insaziabile. Volteggiai nell’acqua per un tempo interminabile. Il gorgoglio impetuoso delle acque mi riempì la testa provocandomi uno strano senso di tranquillità. Le bolle mi avvolsero, roteando attorno al mio corpo in caduta libera e al contempo trascinato. Le correnti erano come mani che mi accompagnavano nella corsa circolare verso l’occhio centrale che pareva distante anni luce, ma che si avvicinò velocemente.
Fu come nascere una seconda volta. Mi ritrovai a volteggiare sempre più velocemente. Le bolle erano miliardi attorno a me e, come un muro, mi impedivano di vedere al di là. Poi scivolai dolcemente, spinta fuori dall’occhio e crollai su una superficie solida e asciutta.
Tossendo ferocemente, tutta indolenzita e tremante, osservai quel luogo fuori dal tempo. Centinaia di alte colonne in travertino si allungavano, disposte in semicerchio, verso il cielo limpido. Stormi di uccelli dalle mille sfumature, attraversarono il cielo. I ricchi marmi rossi del pavimento richiamavano il colore delle stoffe che ricoprivano i triclini.
“Ben arrivata.” La voce bassa e suadente mi accolse.
Guardai in ogni dove, ma non vidi nessuno. Mi alzai e rimasi con le spalle addossate ad una delle colonne. Con le orecchie tese mi guardavo attorno come un animale braccato. Una mano si poggiò sulla mia spalla. Scattai all’indietro, rovinando su uno dei triclini.
“Non avere timore. Sono io, Sanahis.”
La ninfa. Asciutta come se non avesse mai nemmeno sfiorato l’acqua del Pesio. Sorridente e addirittura munita di una voce. Un giovane alto e bruno, fasciato solo da un sottile pareo blu scuro camminava tra le colonne come se stesse sfilando. Mi resi conto che lo stavo fissando quasi a bocca aperta e lui se ne accorse e mi sorrise. Mi sentii avvampare imbarazzata e preferii concentrarmi sulla mia ospite.
“Dove sono? Cosa mi hai fatto?”
La ninfa sorrise e scosse la testa quasi a burlarsi della mia agitazione.
“Questa è la mia residenza e oltre quelle splendide colonne c’è il mio regno. Il mio mondo. In questo luogo non sono una semplice ninfa. Sono la principessa Sanahis e, come te, lotto ogni giorno contro l’oscurità che rischia di lambire il mondo e fagocitarlo.”
“Sto cercando il vecchio che era con te l’ultima volta che ci siamo viste. Ho bisogno di sapere.” Tagliai corto.
La sua risata cristallina rimbalzò tra le colonne facendo levare un nuovo stormo di uccelli colorati.
“Lo so. Sapere è la dannazione dell’uomo che non si rende conto di quanta fortuna abbia e quanto sia più facile vivere ignorando la verità. Credi di essere pronta per sapere? Credi che sapere ti renderà libera? Ti sbagli, ma io non voglio giudicarti. Desidero solo farlo felice.” Concluse volgendosi verso l’uomo che sostava appoggiato alla colonna e che ricambiò il suo sorriso adorante.
“Chi è lui?”
“Quanto poco vedono gli occhi della tua anima. E pensare che c’è una parte di te che dovrebbe vedere oltre qualsiasi apparenza. Lui è Matteo, il vecchio. Colui che ti ha rivelato la profezia. Colui che ti ha concesso il dono di sapere chi fosse il tuo avo. Colui che ha conservato l’amuleto per te.”
Non potevo credere a ciò che mi stava dicendo. Quell’uomo alto, con folti capelli scuri, lo sguardo fresco, limpido e astuto era lo stesso anziano, ingobbito, con una nuvola di capelli bianchi e lo sguardo spento della vecchiaia.
“Lui?” domandai incredula.
“Si. Lui. L’ho amato dal primo momento in cui l’ho visto e non potevo sopportare che la fragilità mortale lo portasse via da me. Ora sarà eterno ed eternamente giovane. I mali della vecchiaia non saranno che un ricordo.”
Con un cenno del capo lo invitò a raggiungerci. Oltrepassò le colonne e si avvicinò a Sanahis. La sua espressione rivelava i sentimenti profondi che provava per lei. Era l’immagine stessa della felicità e della serenità. Chissà com’era vivere in quel mondo così diverso.
Matteo mi prese le mani tra le sue, mi sorrise guardandomi in tralice. I suoi occhi scuri erano profondi, vivaci e felici oltre ogni immaginazione.
“Vieni. Sediamoci.” M’invitò.
“Non ricordi nulla vero?”
Scossi la testa, impaziente di sapere. Mi poggiò le mani sulla testa e subito sentii il calore denso che dalle sue dita, s’insinuava tra i miei capelli e penetrava nella pelle ancora infreddolita. Mi rilassai, cullata da una sorta di ronzio. Chiusi gli occhi. Una luce accecante mi accolse oltre il limitare della mia coscienza. Un torrente grigio. Il ponte con grandi arcate e merlature a coda di rondine. Un uomo vestito di scuro che rimane nell’ombra e aspetta. Aspetta sempre. Aspetta fino a quando non vede lei. Lei, in piedi sul ponte, che guarda il torrente. C’è una corda ai suoi piedi. Un dolore forte allo stomaco.
“Noooo.” Gridai allontanandomi e dibattendomi.
“Non avere paura. Va incontro a ciò che sei diventata senza timori. E’ questo il motivo per cui loro ti cercano.”
“Non è vero! È una menzogna! Io non ho mai fatto una cosa del genere!” gridai, sulla soglia dell’isteria.
“E’ tempo che tu apra la tua anima e conosca il tuo passato. Un passato che qualcuno ha voluto che tu dimenticassi, ma che è esso stesso il motivo della tua esistenza.”
L’angelo nero.
“Conosci l’angelo nero?” mi chiese Sanahis.
“Sì, conosco la sua storia.” Risposi rabbiosa.
“Erano secoli che ti aspettava. L’angelo nero è rimasto sul ponte di Dronero ad attendere che gli eventi ti portassero a compiere l’estremo sacrificio, risultato di una vita intrisa di dolore.”
“Non voglio sentire altro!” gridai.
“Invece devi andare fino in fondo ora e capire.” S’intromise Matteo con dolcezza, accarezzandomi un braccio.
L’antico ponte di Dronero. Sapevo esattamente cosa significava ciò che avevo visto. Chiusi gli occhi e ripercorsi tutto dal principio.
Qualcosa offuscava la mia vita. Qualcosa di diabolico s’insinuava nei miei pensieri e portava la mia anima ad agognare la morte. Non sapevo spiegare i motivi di quel continuo stato di ansia, ma sapevo quello che desideravo. Desideravo porre fine a quel dolore estremo e raggiungere i miei genitori. Tutto mi fu chiaro. Una cosa indimenticabile e dimenticata; nascosta sotto valanghe di altri pensieri. Avrò avuto dodici anni quando mi recai sul Ponte di Dronero, il Ponte del Diavolo, simbolo stesso del paese, costruito nel 1428 con le sue merlature ghibelline a coda di rondine. La leggenda narra di un patto che il sindaco fece con il Diavolo per poter avere un ponte che resistesse alla furia delle acque. Il Diavolo accettò e fu costruito un ponte che resistette anche alle più imponenti piene. Pretese un’anima in cambio. La prima anima che avrebbe attraversato il ponte, ma il sindaco riuscì a aggirare quella promessa ponendo un tozzo di pane al centro del ponte e lasciando che fosse un cane la prima anima ad attraversarlo. Da quel giorno uno degli angeli neri rimase ad aspettare. Un angelo che, nella lotta tra il bene ed il male, non si schierò mai e rimase ad attendere l’anima di un suicida. Non un suicida qualsiasi. Un suicida colto da pentimento all’ultimo momento. Una creatura distrutta dal dolore che nell’ultimo lume di vita si aggrappa ad essa agognando di poter tornare indietro.
Fu allora che l’angelo nero entrò dentro di me, facendosi spazio. La corda si ruppe ed io precipitai nelle acque fredde del torrente Maira. Da allora l’angelo nero viveva in me e da allora risale il momento in cui i demoni e gli spiriti oscuri iniziarono la loro caccia.

La caccia alla purificatrice con l’anima dell’angelo nero. L’essere più pericoloso che potesse posare i piedi sulla terra. L’essere che nessuno può abbattere.

29/02/2008, Simona Gervasone