LILITH

Se ne stava imbronciata, seduta in terra con le lunghe ali accostate, tristemente ripiegate sul dorso: la lotta l’aveva spossata e sapeva poi che non era finita; non sarebbe mai

finita …

Si ricordò che all’inizio gli alberi non perdevano le foglie ed “il cielo” – quello splendore azzurro su di lei a cui il suo compagno aveva dato il nome – non era mai offuscato, ma ora aveva invece assunto una strana tonalità madreperlacea ed il suo perfetto smalto ne era come avvilito, divenuto, forse, contenitore di una qualche sconosciuta minaccia.

Lilith si sollevò sulle snelle gambe affusolate ed il suo corpo, che aveva voluto rimanesse nudo nella sua veritiera semplicità, fu percorso da un lungo brivido che le fece accapponare la pelle. Scosse allora la fluente chioma nera e riccia, che le arrivava oltre la schiena, e provò a muovere le brune ali trasparenti affinché si spalancassero facendola così sentire più calda e leggera.

Dovette scuoterle più volte ed alla fine, reagendo alla pressione esercitata su di loro, vibrarono leggermente per poi tendersi in tutta la loro estensione.

Lilith volò, rasentando la cima degli “alberi” -  per quel tripudio di natura, quel nome, selezionato dal suo compagno, doveva essere ancora una volta il più giusto – ed avvolse con lo sguardo tutto ciò che scivolava sotto di lei. Osservò, già con nostalgia, quel mondo che aveva deciso di lasciare: gli innumerevoli colori, suoni ed odori che da lì traevano origine. Anche lei era stata parte di quel tutto e “quel tutto” aveva radici nel cuore stesso dell’universo.

Non avrebbe mai dimenticato quel luogo ed, inoltre, “amava ancora Adamo…  Non avrebbe mai smesso di amarlo!”

Avvicinandosi a volo radente verso i confini di quell’impareggiabile giardino, Lilith ricordò come se lo fosse trovato accanto all’improvviso – anche se sapeva che era lei ad averlo percepito cosi, perché lui, in realtà, era lì da tempo immemorabile. Dapprima aveva avvertito il suo respiro ed il suo calore ed aveva poi immediatamente capito che l’avrebbe amato: perché lui era così simile a lei e, come lei, esprimeva “la vita” – quel miracolo così recente dell’universo che, da solo, dava a tutto significato.

Osservandolo con più attenzione gli era parso imponente, forte e vigoroso, là dove lei era invece minuta ed aggraziata; la sua pelle pareva raccogliere la luce ed a lei venne voglia di toccarla: quel semplice contatto scatenò una tempesta di sensazioni che – presto, molto presto – non fu più in grado di tenere sotto controllo e , sbalordita, conquistata, domata, constatò, con inesauribile meraviglia, come fosse possibile trasformare due esseri, palpitanti e straniati, in un unico essere che respirava all’unisono.

Era stata felicità allo stato puro… Passione estatica che, ogni volta, conduceva allo smarrimento di se stessi…

E gli anni erano passati in fretta, confortati da quel sole perenne e da quell’aria dolce come il respiro di Dio.

Poi qualcosa era iniziato a cambiare… Impercettibilmente dapprima, tanto che lei non aveva neppure notato il cambiamento, ma, in seguito, un sottile disagio penetrò tutti i suoi giorni: erano lentamente state dettate delle regole, gettati dei punti fermi che l’immobilizzavano, l’ingabbiavano, poiché non era mai lei a dettare quelle regole, né a siglare i traguardi, ma toccava invece a lei il rispetto di entrambi.

Adamo, in virtù della sua “primogenitura”, sceglieva… Adamo decideva… Adamo “imponeva”…

Ubriaca di passione ed ancora traboccante di quella vita che le era stata regalata, lei aveva permesso che ciò accadesse, ma quella passiva accettazione finì con l’intristirla, indebolirla e le sue ali iniziarono a perdere il brivido del volo.

Cercando la solitudine, ben presto si accorse che anche il loro piccolo mondo, ristretto ai confini di quel, pure ampio, giardino, aveva preso a mutare e la sua assoluta perfezione andava lentamente corrompendosi, come l’armonia delle sua anima: se la natura stessa mostrava di sentirsi umiliata da qualche indebita interferenza - si disse allora - vi era indubbiamente qualcosa di sbagliato in ciò che si era andato determinando…

Ciò che aveva espresso essenzialmente con il suo corpo – innocentemente utilizzato per trasmettere e ricambiare amore – provò allora a farlo con le parole: dolci, tenere frasi tentavano di ristabilire l’antico equilibrio.

Invano…

Negli occhi di Adamo scomparvero, a poco a poco, l’amore e la gentilezza… Permase per un po’ soltanto l’assalto della passione – dove lei veniva cristallizzata in un ruolo sempre più passivo, pervicacemente precluso alla fantasia che il suo eterno femminino invece esprimeva - che, in breve, lasciò il posto soltanto ad un muto rancore.

Tutto il calore parve allora fuggire da lei e le sue ali si sarebbero presto raggrinzite se non avesse avuto cura di “bagnarle” ogni giorno ai raggi del sole e non avesse poi cantato ogni notte alle creature che, raccolte in silenzio nei loro nidi o tane, mostravano di ascoltarla partecipi.

Poi arrivò Eva ed allora fu realmente la fine…

 

Qualunque fosse la punizione che le sarebbe toccata “Lei” ormai aveva, comunque, fatto la sua scelta: lasciava di sua iniziativa quel luogo, un giorno giardino di delizie, per cercarsi un altro posto… Altri mondi ed altri cieli che l’accettassero per quella che era: padrona del suo destino, reietta ma innocente; l’altra faccia della luna, anche se lasciava ad Eva quella che il sole sempre illuminava…

Lilith si voltò un’ultima volta a guardare i sentieri remoti di quel giardino incantato e, mentre i suoi occhi si sforzavano di catturare le ultime immagini di ciò che tanto le era stato caro, dal cielo steso sopra di lei iniziò a giungere uno sconosciuto, trasparente umidore con la fragile consistenza di lunghi fili d’argento che, in breve, l’avvolse come in un manto scintillante: intrisa di stupore fece allora vibrare le lunghe ali per danzare leggera in mezzo ad esso, puntando poi al di là degli spazi conosciuti, verso l’ignota faccia nera della luna, che proprio allora stava sorgendo.

Dio

tra gli spazi,

tra le righe,

disteso

comunque

tra i miei

dinieghi…

Dio

dammi

soltanto

una

scintilla

di

luce,

restituiscimi

un

cuore

capace

di

amare.

Odio

questa

mia

pelle

incallita,

questa

scorza

dura

ed

amara

che

soffoca

ogni

vagito

di

vita.

Sii

per me

soltanto

la goccia

che

scava

costante

la

roccia

in

attesa.

Myriam Ambrosini