BLONDETTA E ALTRE PUPE BATTAGLIERE

Nei suoi fumetti di pretestuoso catch femminile, le protagoniste dei quali portano nomi fantastici come Enorma, Blondetta, Brandella, Goldie Gamma e T’Cora, Gene Bilbrew (Eneg è ovviamente l’anagramma del suo nome) riesce a coniugare da vero equilibrista la staticità assoluta, o meglio ancora la sospensione (elemento tipico della ritualità sadomaso della quale riferisce Deleuze nella sua Presentazione di Sacher Masoch), con l’altrettanto assoluto dinamismo proprio dello scontro fisico senza quartiere; come trait-d’union che consente un tale ossimoro viene sfruttata in maniera assai ingegnosa tutta la tensione muscolare permessa in termini di verosimiglianza anatomica. Ogni congiunzione degli opposti verifica, puntuale, il paradosso del massimo movimento che perviene all’estrema immobilità: il moto, anzi, diviene l’esatto archetipo del più completo stato di quiete, per parafrasare Mishima. L’esplosione dei calci e dei pugni è identica all’implosione dei corpi inarcati sotto la pressione di poderosi strumenti di tortura. Insomma, rispetto agli altri fumettisti bizzarri (e allo stesso Bilbrew quando rientra nei canoni classici, cerimoniali del genere), cambiano i fattori, ma non il risultato: una chiave articolare o un “ponte” equivalgono alla lettera, beninteso in termini dinamici, e quindi consentendo geometrie a volte ancora più ardite e perverse, alle legature e ai pesi che costringono le immagini femminili di Stanton, John Willie o Jim in posizioni egualmente complicate, scomode e innaturali. “Inutilmente” barocche, in una parola.

A favore degli incontri di catch eneghiani occorre aggiungere ancora che in essi non si respira l’aria quaresimale tipica del fumetto s/m, di solito tutto bavagli, legacci, latex e cuoio nero. Le sue atlete sprizzano invece una sorta di gioiosa violenza che non è proprio possibile confondere con la realtà, se non a livello simbolico: da questo punto di vista è interessante rilevare come negli scontri fra donne e uomini siano sempre questi ultimi a rimetterci; il che, se da un lato vuole titillare il masochismo del lettore, la sua ansia di trovare la femdom, dall’altro indica anche con precisione e in modo neppur troppo incidentale (si veda per questo l’episodio “Chi è il capo?”) quale componente della famiglia porti i pantaloni nella società americana.

Il disegno di Eneg, in genere niente più che decoroso e in qualche caso addirittura scolastico, diviene improvvisamente d’una precisione quasi iperrealistica quando ci mostra maiuscoli ciuffi di peli sotto le ascelle delle sue ragazze in bikini: un dettaglio, quest’ultimo, che dimostra quanto la censura americana degli anni ’50 facesse aguzzare l’ingegno a chi volesse rappresentare dei nudi femminili per via indiretta: la peluria del sesso femminile viene spostata in un luogo del corpo in cui è legittimo e (quasi) verecondo trovarla, ma l’allusione appare comunque chiara al lettore. Se però uniamo alle villosità delle lottatrici il loro fisico da culturiste e la transessualità di Madame Adista, almeno in questo caso ci troveremo di fronte a un chiaro esempio di omosessualità mascherata che riesce a sognare uomini soltanto se adeguatamente protetta dal paravento della donna forte e dominatrice. Ma si tratta davvero di uomini, oppure questa estrema ratio contro l’omosessualità non porta piuttosto alla luce ibridi dalle contraddizioni implacate e implacabili, di cui Fassbinder ci diede uno straziante esempio col suo Un anno di tredici lune?

Gianfranco Galliano