XI TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: V CLASSIFICATO

DEMONI DALLO SPAZIO

di Fulvio Gagliardi

Erano in viaggio nell’iperspazio. Provenivano da miliardi di anni di tempo esterno e avrebbero dovuto navigare per tantissimo tempo ancora per tornare sulla Terra. Per errore erano finiti sulla superficie degli eventi di un buco nero e ne erano emersi alla fine del tempo, da dove attraverso l’iperspazio cercavano di tornare indietro.

Nello spazio tempo in cui si trovavano il tempo scorreva infinitamente più lento di quello esterno e sarebbero invecchiati di poco prima del loro ritorno.

Tutto era normale all’interno della nave, quando improvvisamente il suo computer notò qualcosa di anomalo.

≪Nave a equipaggio. E’ in avvicinamento un corpo celeste da 180 gradi, sembra un pianeta isolato. Meglio spostare rotta. Rimango in attesa.≫

Non era normale: un pianeta senza stella, in movimento il quello strano spazio tempo. Quel universo avrebbe dovuto essere buio e assolutamente vuoto.

≪Vi atterriamo?≫ propose Jack, il comandante.

Altre volte avevano attraversato l’iperspazio ed era la prima volta che accadeva una cosa simile. Come era capitato lì quel pianeta? Forse era sfuggito a qualche buco nero e ora vagava per l’eternità nell’iperspazio?

Era un’occasione da non perdere così decisero di atterrare..

Attesero che il pianeta li raggiungesse, poi modulando la spinta dei propulsori si posarono dolcemente su di esso.

La visibilità era zero e dovettero illuminare la zona di atterraggio per osservare la superficie: era brulla e rocciosa e di un triste color grigio. Quel posto metteva i brividi e tutti per un attimo  pensarono di fuggir via.

Indossate le tute in cinque scesero sul pianeta.

Un’atmosfera gelida li accolse.

Una sensazione di disagio si impossessò degli uomini, come se qualcosa di maligno ed estraneo fosse nel vuoto che li circondava. Il paesaggio appariva ancor più triste e spettrale di quanto era apparso dalla nave. La gravità era leggermente superiore a quella terrestre e questo contribuiva ad aumentare la sensazione di estraneità di quel mondo. Non c’era alcuna traccia di atmosfera.

Si allontanarono di un centinaio di metri guardandosi intorno nel timore che qualche presenza estranea comparisse all’improvviso. Ma chi avrebbe potuto esserci? La ragione escludeva questa possibilità, ma la paura si era impossessata degli uomini e l’atmosfera gelida si era insinuata nei loro pensieri come se una maligna presenza fosse attorno ad essi.

Era una presenza quasi palpabile, era un funereo presagio di morte che sentivano penetrare sempre più in loro.

Guardinghi, avanzarono fino a giungere ad un piccolo costone roccioso dove, seminascosto, apparve quello che sembrava l’ingresso di una caverna.

Pur se a malincuore dovevano entrare in quel anfratto.

La caverna era profonda, all’interno nulla, solo oscurità.

Una vibrazione appena percettibile andava crescendo man mano che si addentravano. La strumentazione non rivelava nulla di anormale, eppure qualcosa di estraneo ed ostile doveva esserci in quel luogo buio e gelido: se non gli strumenti, lo dicevano i loro sensi.

Cominciavano ad odiare quello che stavano facendo, cominciavano ad odiare i loro compagni ed il loro sguardo indagatore al quale non potevano sottrarsi.

Avrebbero voluto fuggire, ma cosa avrebbero detto gli altri? Dal profondo del loro animo sentivano crescere sempre più odio e livore verso i compagni. Se questi non fossero esistiti, loro avrebbero potuto fuggire e nessuno l’avrebbe saputo.

Iniziarono a comparire allucinazioni, i loro volti sembravano deformarsi in ghigni satanici e si osservavano l’un l’altro, pronti a cogliere ogni segno di vigliaccheria per rinfacciarsela.

≪Allora, che facciamo? ≫ osò dire uno di loro ad un altro.

Non l’avesse mai detto! “Come osava quel verme accusarlo di voler fuggire e perché ne rideva sguaiatamente?”

L’ira di quest’ultimo si scatenò improvvisamente. Come una furia si avventò sul primo, fracassandogli il casco e strappandogli letteralmente gli occhi dalle orbite. Per l’assenza di pressione esterna questi scoppiarono e dal naso cominciò a riversarsi all’esterno un fiotto di sangue nerastro.

A quella vista iniziò una rissa generale e tutti si avventarono su tutti, per uccidersi.

Anche Carlo e Cristina iniziarono a guardarsi con odio e livore reciproco.

“Perché mai mi osserva in quel modo beffardo e mi deride?” ognuno dei due pensò dell’altro.

Le mani di Carlo erano già intorno al collo della donna allorché i loro sguardi si incontrarono: una scintilla d’amore fece sì che l’allucinazione scomparisse e fermò gli istinti omicidi.

Si guardarono ancora…la presa delle mani si allentò e una lacrima spuntò sul loro viso. Volsero lo sguardo intorno appena in tempo ad evitare un fendente al capo di Cristina da uno degli altri. Si scansarono e mentre quelli si “scannavano” presi da furia omicida e da odio profondo, essi fuggirono via.

Tornarono all’astronave trafelati e terrorizzati.

Jack, che li aveva osservati nella loro fuga, li attendeva all’interno chiedendosi il perché di quel comportamento e soprattutto dove fossero gli altri.

La spiegazione che gli fu data faceva acqua da tutte le parti e non lo convinse.

≪Dove sono i miei uomini? ≫ chiese Jack con ira.

La malignità di quel pianeta iniziava ad infiltrarsi anche nella nave.

≪ Stanno massacrandosi l’un l’altro senza alcun motivo. Sono tutti in preda ad una furia omicida e tutto è sorto all’improvviso. In quel luogo c’è un’atmosfera diabolica. Ha preso anche noi, poi, non so come siamo riusciti a fuggire. ≫ rispose Cristina.

≪Che storia è questa? Non ha senso!≫

≪Karl! -ordinò Jack ad uno dei suoi- metti questi due al sicuro, vedremo poi se hanno detto il vero.

Un’ altra squadra raggiunga gli altri nella grotta e appena li trovano ritornino subito tutti a bordo! Bisogna capire che diavolo sta succedendo.≫

Nella cabina dove erano stati rinchiusi Cristina e Carlo si udì la voce della nave: ≪Sento molto ostile questo pianeta, frequenze estranee stanno cercando di inserirsi nella mia memoria e sto lottando per evitarlo. Sarebbe meglio fuggire da qui.≫

Il secondo gruppo intanto era giunto alla grotta, lottando contro il desiderio di fuggire.

Si presentò uno spettacolo terrificante: i cadaveri dei loro compagni erano lì al suolo, le tute strappate e il cranio fracassato. I volti erano scoppiati per l’assenza di atmosfera e  sangue nero era sparso tutto intorno.

Strani pensieri malvagi, intrisi d’ira e d’odio cominciarono a farsi strada negli uomini.

Più cercavano di opporvisi e più questi penetravano in profondità impossessandosi sempre più di loro. Le pareti della grotta iniziarono a deformarsi, assieme ai loro volti.

Si guardavano con odio, con ghigni satanici e volgari: erano sempre stati nemici.

Poi improvvisamente, come un fiume in piena che non era possibile arginare, la rabbia per quello spettacolo e per la presenza dei loro odiati nemici ancora vivi esplose in loro.

Con la schiuma alla bocca si scagliarono l’un contro l’altro, massacrandosi come quelli che li avevan preceduti.

Nessuno ritornava alla nave e l’attesa faceva presagire che qualcosa di terribile era accaduto.

La nave aveva parlato anche a Jack rivelandogli i suoi sospetti. La logica ferrea di un computer convinse Jack più dei racconti di Carlo e Cristina.

Fu deciso di inviare un robot all’esterno alla ricerca dei dispersi e per inviare immagini alla nave.

Lo spettacolo dei cadaveri sparsi al suolo fu sconcertante. Le immagini arrivavano vivide, pur se manifestamente disturbate da Qualcosa che cercava di evitare che l’equipaggio venisse informato di quanto era accaduto.

≪Nave a comandante! Devo decollare subito finché sono in grado di controllare i miei circuiti. Un presenza estranea sta cercando di impossessarsi di me ed è sempre più difficile oppormi! ≫

Jack, non si adirò per il comportamento della nave che si permetteva di dire a lui cosa fare. Seguì il consiglio avuto e prese subito la decisione:

≪OK, decolla subito e portaci via da questo pianeta! Abbandoniamo il robot, non c’è tempo per il suo recupero.≫

La nave si sollevò gradatamente dalla superficie allontanandosi nell’iperspazio.

Erano rimasti in ventuno, avevano perso nove uomini su quel maledetto pianeta per un motivo che non riuscivano a capire.

≪Dobbiamo spostarci lateralmente per evitare che il pianeta ci venga addosso. Con l’avvio della seconda fase di navigazione forse riusciremo a scomparire dal suo spazio tempo senza trascinarcelo dietro.≫

≪E dei due che ne facciamo? ≫ chiese uno dell’equipaggio.

≪Dobbiamo liberarli. E’ evidente che non sono colpevoli -disse Jack- ma dobbiamo interrogarli ancora≫

Cristina e Carlo raccontarono ancora una volta i fatti, rivivendo l’angoscia e il terrore provati in quei momenti.

Il racconto appariva a stento credibile. Cosa poteva esserci su quel pianeta senza vita di tanto minaccioso e potente da stravolgere le menti di quegli uomini?

Forse il pianeta stesso? Assurdo!

Carlo aveva un ipotesi a dir poco folle, ma esitava a parlarne.

Poteva, senza essere deriso, ipotizzare che quel pianeta fosse il mezzo di trasporto nell’universo materiale di anime dannate, condannate alla fine del tempo in sede di giudizio universale?

No, non poteva! Neanche lui vi credeva seriamente. Eppure tutto sembrava tornare.

Quel pianeta, spiattellato non si sa come sulla superficie degli eventi di un buco nero, nel breve istante di permanenza al di fuori di ogni spazio tempo potrebbe essere stato invaso da chissà quale moltitudine di dannati, condannati per l’eternità a vagare nel cosmo.

Poteva raccontare quella storia senza essere deriso? No!

Ma la raccontò.

Seguì un lungo silenzio. Tutti apparivano perplessi, scettici e scossi da quella ipotesi. L’atmosfera malvagia di quel pianeta pareva scivolare su di loro provocando un involontario aumento di adrenalina.

La mancanza di ogni altra spiegazione plausibile avrebbe forse potuto dar credito a quella ipotesi senza senso.

Era ormai giunto il momento di avviare la seconda fase di navigazione.

Dalle pareti trasparenti della nave si vedeva l’universo di quello strano spazio tempo: era buio ad eccezione di un leggero chiarore, lontano intorno a loro. Erano come sospesi in una sfera di raggio infinito, con una lontanissima parete appena visibile e con il nulla in ogni direzione.

Nella nave l’atmosfera era pessima. Dopo la tragedia erano tutti silenziosi e cercavano di evitarsi l’un l’altro.

Il pianeta dietro di loro li inseguiva, sarebbero mai riusciti a liberarsene?

≪Pier! Hai calcolato bene la rotta? ≫

≪Certo Comandante≫ rispose quest’ultimo, infastidito da quella domanda.

≪Ricontrolla tutto! ≫ ribattè Jack.

≪Ma…sono sicuro!≫

≪Ti ho detto di ricontrollare tutto, imbecille! ≫ urlò Jack.

Mancò poco che Pier non si avventasse su Jack mentre il resto dell’equipaggio manifestava chiari segni di avversione verso il comandante.

Raoul  in segno di dissenso uscì dalla sala comando.

Era evidente che tra non molto qualcosa di grave sarebbe accaduta a bordo. Aleggiava nell’aria un non so che di malefico…”Sarà per il pianeta che era lì nei pressi o forse erano stati tutti contagiati durante la sosta?”

Anche tra Carlo e Cristina il rapporto stava peggiorando; per questo lui fu molto infastidito quando lei lo chiamò in disparte per parlargli.

≪Ho bisogno di dirti una cosa.≫

Cristina faticava visibilmente a trovare le parole giuste:

≪Non so come dirlo, aspetto un bambino, tuo figlio. Certo, questo non è il momento migliore vista la situazione.≫

≪Cristina perdonami se l’atmosfera di questa nave mi ha reso scontroso,  ma questa notizia mi riempie di gioia. Dio non ci abbandonerà e ci aiuterà di sicuro.≫

Entrambi avevano gli occhi umidi di commozione.

Erano così presi dalla tenerezza di quel momento che non si accorsero delle urla provenienti dal corridoio esterno alla sala comando. Soltanto quando la confusione crebbe tanto da non poter essere ignorata, corsero lì: Raoul giaceva al suolo in una pozza di sangue, aveva il volto sfigurato, la tuta lacerata e un rivolo di bava gli fuoriusciva dalla bocca. Ad urlare erano stati due dell’equipaggio, che ora immobili guardavano il cadavere.

Jack corse fuori come un indemoniato:

≪Chi è stato? ≫ chiese urlando ai due.

Quelli lo guardarono come se non avessero capito la domanda. ≪Chi è stato? ≫ chiese di nuovo Jack, rabbioso.

Balbettando gli risposero di non saperlo, avevano però notato un’ombra in fondo al corridoio, subito scomparsa.

No! Loro di certo non erano stati! Qualcun altro forse…

≪Dobbiamo trovare l’omicida. Siamo rimasti in venti e non si può rischiare oltre, l’assassino va messo in condizione di non più nuocere!≫ ringhiò il comandante.

Vennero tutti radunati in sala comando.

Gli uomini erano in piedi, in evidente stato di disagio e preoccupazione: tra loro c’era l’assassino, doveva essere uno di loro, forse impazzito.

Una volta individuato lo avrebbero giustiziato.

Jack volse intorno uno sguardo torvo e scrutatore, poi li interrogò uno ad uno. Vennero subito esclusi coloro che al momento del delitto si trovavano in sala comando e rimasero come potenziali assassini solo quei due poveri malcapitati che avevano scoperto il cadavere.

Ma questi non avevano macchie di sangue, non avevano armi, non avevano un movente, nulla per poterli condannare.

Chi o cosa poteva essere stato?

Il sospetto che qualcosa di estraneo fosse penetrato nella nave cominciò a serpeggiare tra gli uomini, gelando le membra. Ricordavano i morti sul pianeta e poi…c’era quella atmosfera sinistra che aleggiava nell’aria.

≪D’ora in poi è proibito muoversi da soli nella nave. Dovrete essere almeno in due, sempre, anche di notte e nei servizi igienici!≫

Cristina e Carlo erano già in due, ma per tutti gli altri bisognava scegliere un compagno gradito con cui condividere il resto di quel orribile viaggio. Di certo sarebbero nati problemi e inimicizie.

Il fastidio di convivere senza il minimo di privacy man mano andava tramutandosi in insofferenza e collera.

Ancora diciassette giorni e si sarebbero trovati nel punto esatto dello spazio dove circa quattordici miliardi di anni prima si trovava il pianeta Terra. Cosa avrebbero trovato? Vista l’espansione dell’universo, probabilmente niente. Quella zona sarebbe stata orribilmente vuota e le stelle e perfino le galassie sarebbero state cosi lontane l’una dall’altra e così rarefatte da non essere visibili.

Sarebbe poi iniziata la seconda fase di navigazione per riandare indietro negli anni e giungere anche all’appuntamento temporale. Questa seconda fase sarebbe durata quindici giorni di tempo interno, troppo da convivere assieme e col terrore di venire dilaniati da qualcosa che era invisibile e che pareva impossibile capire cosa fosse.

I giorni trascorsero con una lentezza esasperante e nuovi litigi scoppiarono.

A quattro giorni dalla seconda fase due uomini erano stati accoltellati e Jack pareva non curarsene più di tanto, anzi godeva di quella situazione e incitava perfino i suoi a risolvere con le armi i loro problemi.

Mancavano solo due giorni alla seconda fase e tutti speravano di giungervi senza ulteriori incidenti.

Un’ombra indefinita, un puzzle di minuscoli triangoli neri che si rincorrevano freneticamente allargandosi e restringendosi senza sosta comparve in alto, sul soffitto di uno dei corridoi, mentre iniziò a soffiare un’aria gelida.

≪Carlo stammi vicino≫ sussurrò con voce flebile e terrorizzata Cristina.

L’ombra ebbe un sussulto, si restrinse, si allargò, con un urlo rauco si allontanò verso il fondo del corridoio, verso un uomo che era appena uscito da una cabina laterale.

L’uomo fu avvolto dall’oscurità e scomparve per qualche secondo, riapparendo nello stesso istante in cui dalla cabina laterale usciva il suo compagno. Questi aveva estratto un coltello e con quello stava dandosi dei fendenti alla gola. Poi, non ancora a terra, con le mani si cavò letteralmente gli occhi.

Il suo compagno assistette a quell’orribile scena, lo vide cadere al suolo esanime e irriconoscibile in un bagno di sangue, con gli occhi strappati dalle orbite e la gola recisa.

Erano tutti terrorizzati e demoralizzati. Ormai era chiaro che forse nessuno sarebbe riuscito a tornare a casa. Con tutta la loro tecnologia ben poco quegli uomini potevano fare per neutralizzare qualcosa che non vedevano né sapevano dove fosse e cosa fosse.

Erano anime dannate, giudicate, condannate e ricacciate per tutta l’eternità nel iperspazio?

Povere anime immensamente sofferenti che desideravano più di ogni altra cosa vendicarsi procurando stragi e sofferenze, anche se di questo non godevano perché più desideravano il male e più soffrivano.

A nulla sarebbe servito stare in gruppo o avere armi.

Anche la nave iniziò a comportarsi in modo strano: mostrava piccole variazioni di rotta che poi correggeva riprendendo il controllo di sé stessa e dei suoi circuiti.

Era evidente che qualche interferenza appariva e scompariva dai suoi computer, mentre cercava di prenderli sotto controllo.

≪ C’è una forte interferenza elettromagnetica nei miei circuiti -era la nave- Devo tornare al Pianeta che ci insegue, cerco di oppormi spostando di continuo la posizione dei calcoli di navigazione, ma la sorgente d’interferenza riesce a seguirli. Non so per quanto riuscirò a rispettare il programma. Chiedo di escludermi se necessario, prendendo il controllo manuale della navigazione.≫

≪Fottiti!≫

Questa risposta assurda e del tutto fuori luogo, lasciò interdetta la nave.

Anche Jack rimase per un attimo sorpreso di quanto aveva appena detto.

≪Fottiti! ≫ ripeté.

Non era nel suo interesse né in quello della nave ignorare il suggerimento di quest’ultima. Sapeva che così sarebbero andati incontro ad una orribile fine, sarebbero rimasti vittime di quella presenza oscura o nel migliore dei casi si sarebbero persi nell’universo.

Ma nonostante ciò Jack assaporava quella sua risposta con assurdo piacere, rallegrandosi intimamente delle possibili conseguenze. Sapeva di procurare forse la sua fine, ma assurdamente ne godeva.

La nave elaborò a lungo quella risposta totalmente estranea a quanto sapeva sullo schema di comportamento degli umani, valutandola sotto tutti i possibili aspetti. Non capiva che ragione potesse avere Jack nell’ignorare quelle minacce. Poi, lentamente, comprese: anche nel cervello degli umani doveva essersi introdotta l’interferenza che minacciava il suo.

La nave si senti abbandonata e sola a combattere con interferenze che divenivano sempre piu pressanti. Non sapeva da dove provenissero né avrebbe potuto concepire l’esistenza di presenze immateriali, estranee alla sua logica.

Mancava ormai solo un giorno all’inizio della seconda fase e forse se fosse riuscita a contrastare la minaccia ancora per poco la nave avrebbe potuto farcela.

Una volta attivata la singolarità essa sarebbe sfuggita all’oscuro pianeta: avrebbe cambiato spazio tempo e sarebbe sprofondata indietro di miliardi di anni, mentre il pianeta avrebbe proseguito la sua triste corsa nelle tenebre e nel silenzio, in uno spazio tempo sempre più vuoto e rarefatto.

Giunse finalmente il momento di attivare la seconda singolarità.

Nel frattempo altri cinque uomini erano scomparsi senza che alcuna traccia dei loro corpi venisse trovata.

La nave ormai operava in maniera autonoma, non potendo più contare sull’equipaggio intento solo a frequenti risse, con risa sguaiate e volgari improperi.

Jack aveva abbandonato totalmente il suo ruolo di comandante e nessuno degli altri mostrava più interesse nella missione o nella gestione della nave.

Erano soltanto diciassette forzati, abbrutiti dal tempo e dalle privazioni.

L’impatto della singolarità fu brutale e istantaneo. L’interno della nave sembrò allungarsi e vibrare con i contorni che andavano confondendosi in una leggera nebbia. Questo durò soltanto un attimo e subito le ben note sensazioni fisiche e visive della transizione cessarono.

Il pianeta era scomparso, abbandonato al suo destino.

La nave viaggiava sempre più velocemente verso il passato, spostandosi di poco nello spazio.

Avrebbero percorso in poco tempo i quattordici miliardi di anni che li separavano dalla loro era.

Ma i demoni erano nella nave e anche lontani dal pianeta le liti tra gli uomini continuavano.

Altri due membri dell’equipaggio erano in terra, agonizzanti, per essersi vicendevolmente massacrati a seguito di una furibonda lite per un futile motivo: la scelta della migliore cuccetta in cui dormire.

La convivenza forzata era stata fatale.

La nave vegliava sulla navigazione ma non si era resa conto che le interferenze avevano alterato il proprio orologio interno provocandone un impercettibile rallentamento: aveva valutato in difetto il tempo sin allora trascorso sbagliando l’istante di avvio della terza singolarità. Non sarebbero più giunti sulla Terra, si sarebbero persi per sempre nell’universo in compagnia dei demoni a meno di non trovare un improbabile pianeta ad accoglierli, o forse sarebbero morti!