XI TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: I CLASSIFICATO

CRONACA DI UN PASSATO PRESENTE

di Maurizio Ferrero

1.

Ogni giorno, nella Piazza della Tregua si trovavano a transitare uomini e donne provenienti da tutto il regno. Che fosse lo snodo centrale del mercato della capitale non era l’unica motivazione a questo continuo passaggio di folla di ogni ceto ed età, e nemmeno lo era la presenza di importanti statue dipinte con sgargianti vernici metallizzate, in cui gli ori e gli argenti risaltavano febbrili. Era invece un particolare punto della piazza, situato al suo centro esatto, a richiamare continuamente curiosi e devoti d’ogni sorta. Al di sotto di una semisfera di circa tre braccia di quello che pareva cristallo trasparente si trovavano una donna e una creatura mostruosa, fossilizzati come insetti avvolti in una goccia d’ambra. Lei, poco più che trentenne, avvolta in un sontuoso abito a balze dall’ampia gonna, risultava bella e terribile nonostante i capelli e i vestiti sporchi di cenere e sangue. Il volto, rigato di lacrime, denotava una sofferenza e una determinazione senza pari. Un occhio attento avrebbe facilmente notato che, attraverso il cristallo, alcuni tizzoni caduti sul suo vestito ardevano ancora, e che la gonna, tra le gambe lunghe, era macchiata di un velo vermiglio. Il mostro, fossilizzato in una posa ringhiante, aveva tutta l’aria di essere una fusione distorta tra animali terribili. Gigantesche zampe da insetto, un massiccio torace simile a quello di un gorilla, testa taurina dai sei occhi di fiamma, chele avvolte da piume nere di corvo. Nella semisfera di cristallo, detriti e frammenti incendiati, fuoco fossilizzato ma ancora lucente, erano inviolati da decenni.

Chiunque si fosse avvicinato alla struttura si sarebbe presto accorto che i moderni orologi a cipolla rallentavano il giro delle lancette, fino a quasi fermarsi del tutto a pochi centimetri dal luogo di culto. Una targa di bronzo, posizionata su una lapide, recitava

 

Justine d’Arpathieu affronta la tenebra degli Angalliesi

Che il suo sacrificio non sia vano

Che sia madre del suo popolo

In eterno

 

Monaci devoti alla venerazione di Justine trascorrevano le loro giornate recitando preghiere rivolte alla santa, seguiti da stuoli di fedeli, ma tra coloro che giungevano alla piazza c’erano molti semplici curiosi, che spesso venivano stregati da menestrelli a cantastorie ben lieti di raccontare la vicenda per racimolare qualche moneta. Un anziano dal nome sconosciuto, riconoscibile per il lungo pastrano rosso che era solito indossare ogni giorno, era considerato tra i più affidabili e coinvolgenti cronisti. Seduto alla solita panca, circondato da una folla dall’orecchio attento, si schiarì la voce arrochita dall’età e si passò tra le dita la lunga barba bianca, poi iniziò a parlare.

“Era il tempo della guerra tra Franquis e Angallie, quando i nostri regnanti si riunivano ogni giorno in consiglio per decidere delle sorti del loro popolo, e quando la magia nera costituiva un elemento strategico più importante della fanteria…”

2.

“I messaggeri sono chiari, mio re. Abbiamo perduto il confine, la roccaforte di Saint Louve è caduta in mano nemica. Le nostre truppe sono state trucidate, ma ciò che rimaneva del quarto plotone è riuscito a salvarsi. Sono in marcia verso la capitale”, riferì il generale Stouflou.

“Quando giungeranno, fate impiccare i loro comandanti”, sentenziò Louis III d’Orble, re di Franquis.

“Ma padre!”, esclamò il principe Mathieu, il secondogenito, noto a tutti per il suo cuore tenero.

“Non voglio sentire lamentele – esclamò il re – la fuga dalla battaglia senza precisi ordini è considerata diserzione. I comandanti ne pagheranno le conseguenze.”

Louis IV, il primogenito, si limitò ad annuire con serietà. Il suo collo era talmente massiccio da farlo sembrare più uno scimmione in abiti rococò che un nobile.

“Se posso intervenire, mio re – disse Justine d’Arpathieu, per poi proseguire senza attendere una conferma – gli Angalliesi sono noti per la mancanza di pietà che mostrano verso i prigionieri. Se il quarto plotone si fosse lasciato catturare sarebbero finiti tutti sotto i ferri del torturatore, per poi essere sacrificati alle Nere Entità. Il messaggio parla chiaramente di un ombra predatrice infiltratasi nella fortezza, che ha aperto i cancelli dall’interno. Altresì, gli esploratori dicono di aver rinvenuto luoghi di sacrificio nei villaggi circostanti, quelli saccheggiati dai nemici. Costruzioni in legno a forma di ruota, a cui i contadini sono stati legati e arsi mentre erano ancora in vita. È la prova che stavamo cercando, mio re. Gli Angalliesi trafficano con arti proibite. I nostri soldati non hanno dimostrato mancanza di coraggio, ma hanno affrontato una precisa decisione strategica. Ulteriori sacrifici avrebbero solamente reso i demoni più potenti.”

Il re si prese qualche istante per considerare le spiegazioni della maga di corte, poi annuì.

“Limitatevi ad arrestarli. Valuterò la questione con la dovuta calma.”

La maga sorrise, soddisfatta. I soldati non potevano certo essere consapevoli delle informazioni che aveva fornito al regnante, che solo qualcuno di ferrato nelle arti magiche avrebbe potuto conoscere, ma ciò che le importava era aver salvato la vita a dei Franquisi. Ne erano morti fin troppi, in quell’assurda guerra. Il principe Mathieu le lanciò uno sguardo d’intesa.

Re, principi, dignitari di corte e generali d’armata continuarono il loro dibattito, in cui Justine venne interpellata molto spesso. Franquis contava tra le sue fila maghi potenti, che fino a quel momento erano stati perfettamente in grado di tenere testa agli iettatori e agli stregoni da guerra Angalliesi, ma le arti oscure erano severamente vietate da leggi antiche quanto il regno stesso. Si trattava di poteri pericolosi, sicuri da maneggiare quanto una lama priva di impugnatura, che i loro avversari avevano deciso di brandire per ribaltare le sorti della guerra. Anche le Nere Entità di rango più basso nelle gerarchie oscure erano in grado di abbattere decine di soldati ben addestrati prima di venire fermate. Justine era preoccupata e nella riunione diede più volte adito ai suoi timori. Ma non era la guerra l’unico avvenimento a preoccuparla. Era sicuramente la maga più esperta del regno, tanto da essere stata in grado di rallentare l’incedere del tempo, con il risultato che i suoi novantaquattro anni di esperienza si trovavano a vivere nel corpo di una donna poco più che trentenne. Ma nemmeno la magia più antica può tenere testa alla natura.

Smise di ascoltare per qualche istante il continuo battibeccare dei dignitari su questioni che riguardavano la vita e la morte del loro popolo, e si trovò a osservare il giovane Mathieu, diciannove anni in un corpo che solo da poco stava iniziando a mostrare segni di virilità. Così come il fratello erede al trono dimostrava carattere e fisico perfettamente appaiati, Mathieu aveva gentilezza nei tratti oltre che nella mente. Gli occhi azzurrissimi del ragazzo si incrociarono con quelli della maga.

Quando il consiglio finirà, devo parlarti, pensò la maga, trasmettendogli il pensiero per mezzo della magia. Lui annuì impercettibilmente.

 

Finalmente soli nella biblioteca arcana di Justine, i due amanti si trovarono a fissarsi. Mathieu si avvicinò, facendo scivolare le mani sui fianchi della maga.

“È passato molto tempo dall’ultima volta, credevo ti fossi dimenticato di me”, sussurrò il principe, per poi cercare un bacio sulle sue labbra rosse. Justine si limitò a un bacio casto, poi scostò il volto.

“C’è qualcosa che ti turba? – chiese Mathieu – sono molto giovane, non pretendo di capire, però potresti dirmi se…”

“Mathieu, lo sapevi fin dall’inizio che non sarebbe durata per sempre. Non te l’ho mai nascosto. Io sono la maga personale di tuo padre, ma sono nata dal popolo, e tu sei un principe. Io vivrò ancora molti anni, forse secoli, mentre la tua vita è limitata a quella umana.”

Il principe ricevette una secchiata d’acqua fredda. “È così che finisce, dunque? Sapevo che sarebbe accaduto, ma non credevo così presto!”

“Mathieu… oh, dannazione! Nella mia vita ho trattato con spiriti e creature delle tenebre, ma non avrei mai creduto che parlare con un uomo mi sarebbe risultato così difficile…”

“Allora c’è qualcos’altro che ti turba, Justine?”

La maga prese un profondo respiro, poi si decise.

“Aspetto un bambino. Tuo figlio.”

Il principe rimase per qualche istante inebetito dalla risposta, poi si abbandonò a un largo sorriso.

“Ma questo è meraviglioso!”

“No, non lo è. Non fraintendermi, Mathieu, ma questo ci pone in pericolo. Non ho mai avuto in progetto di avere bambini. Quando l’ho capito, per un attimo ho pensato di sbarazzarmene, ma poi ho ritenuto che non sarebbe stata cosa giusta. Forze magiche dominano il mio corpo, e se questo bambino è riuscito a stabilirsi nel mio ventre nonostante l’età e il tè della sterilità… qualcosa dovrà pur dire. Non so quale sia il fato che gli riserverà il futuro, ma lo voglio scoprire. Con la guerra alle porte tutto sarà molto complicato, ma non mi importa. Questo ci pone di fronte a un problema. Per ora la pancia non si vede, e i corsetti potranno tenerla nascosta ancora per qualche mese, ma quando diverrà evidente tutti si domanderanno chi possa essere il padre. Ovviamente non ho intenzione di rispondere a questa domanda, ma la nostra relazione non può continuare. Se venissimo scoperti, la verità sarebbe sulla bocca di tutti, e correremmo seri guai. Tuo padre non può permettersi eredi illegittimi, non ora che il suo regno è minacciato. Spero che tu possa comprendere.”

Il principe pensò a lungo prima di rispondere, poi annuì.

“Sono sicuro che mio figlio crescerà bene, sotto le tue cure.”

Nella biblioteca, la maga e il principe si baciarono per l’ultima volta.

Alcuni giorni dopo, Justine venne a sapere che i due principi erano stati mandati al fronte sotto preciso ordine del re. Louis IV come comandante in capo alle truppe, Mathieu come secondo, nella speranza che la vita di guerra gli avrebbe impartito un po’ della durezza necessaria al comando.

Non tornarono mai alla capitale.

3.

“Quando la notizia della sconfitta nella piana di Chavacourt giunse, Justine d’Arpathieu fu una delle prima a venirne a conoscenza. Louis IV era morto sul campo di battaglia, schiacciato dal peso del suo stesso cavallo dopo che questi gli era caduto addosso. La sorte del principe Mathieu era stata ben peggiore. Catturato dagli Angalliesi, era stato arso vivo su una ruota sacrificale. I pochi sopravvissuti avevano riferito della presenza di un demone sorto dalle stesse fiamme della pira, che aveva divorato il cuore del principe ridotto a un carbone urlante”. L’anziano cantastorie si prese un momento di pausa per bere un sorso d’acqua.

“Questa parte la conosciamo tutti, vecchio! – gridò un uomo del pubblico – ma la parte della maga gravida te la sei inventata tu! Nelle sacre scritture non c’è nulla di simile!”

Il vecchio aguzzò la vista, riconoscendo che a parlare era stato un devoto della santa. L’orologio fermo che portava al collo come simbolo sacro ne era la prova.

“Un conto è la storia che viene raccontata da tutti, un’altra è la verità che sta nel cuore. Chiediti, uomo, allora per quale motivo Justine d’Arpathieu, nel suo massimo momento di gloria, perde sangue?”, disse il vecchio indicando alle sue spalle la maga intrappolata nel cristallo.

“Un momento di estasi… rappresenta la maternità del suo popolo…”, iniziò il devoto, recitando a memoria le sacre scritture. Il cantastorie scosse la testa.

“Una forma molto poetica per raccontarlo, ma la verità è ben altra. E, se vorrete continuare ad ascoltarmi, ve la narrerò.” Il devoto si zittì, incuriosito dall’affascinante voce del vecchio, che trasudava saggezza antica.

“Come dicevo, la notizia della morte dei principi era da poco giunta. Re Louis III, sconvolto dagli esiti disastrosi della sua stessa decisione, si ammalò gravemente. Justine accolse la notizia con terribile dolore, ma in cuor suo era felice che nel suo ventre stesse crescendo l’eredità di Mathieu. Le sue rotondità aumentavano, e a corte non era più un segreto che la maga attendesse un figlio. Ma nessuno ebbe tempo di investigare o farsi domande, perché giorno dopo giorno gli Angalliesi guadagnavano nuove fette di territorio, fino a che, sette mesi dopo l’ultimo bacio tra gli amanti, non giunsero a stringere d’assedio la capitale…”

4.

“Giungo ora dagli appartamenti reali. Re Louis III è morto”. Il ciambellano abbassò lo sguardo per non dover sostenere quello degli astanti, a cui aveva appena comunicato la notizia. Il silenzio inondò la sala delle riunioni. Furono in molti a pensare che in fin dei conti era un bene, perché le decisioni del re avevano finora condotti i Franquisi su un percorso di morte, ma ora era fin troppo tardi per rimettere a posto le cose. Il generale Stouflou fu il primo a prendere parola.

“Come da decreto reale, l’esercito, rappresentato dalla mia persona, prende temporaneamente il comando del regno.”

Nessuno ebbe nulla da obiettare. I dignitari si alzarono dai rispettivi seggi, in segno di rispetto al comandante, con l’unica eccezione di Justine, che per via del ventre ingrossato faticava a compiere movimenti. Secondo la levatrice di corte, il parto sarebbe avvenuto di lì a una settimana.

“Gli Angalliesi ci hanno tagliato fuori dalla linea di rifornimenti – proseguì il generale – non supereremo l’inverno. Anche se dubito che arriveremo a vederlo, poiché i nemici non aspetteranno a vederci morire di fame. Utilizzeranno i loro malefici e irromperanno in città.”

“Una resa è fattibile?”, chiese un dignitario.

“Abbiamo mandato un ambasciatore a trattare col nemico. È stato sacrificato.”

“I nostri avversari hanno promesso sangue alle Nere Entità, e non possono recidere questo patto – osservò Justine – sono votati allo sterminio.”

“C’è dell’altro. La creatura infernale che era presente durante la morte del principe Mathieu è stata vista aggirarsi tra le fila nemiche.”

Justine ebbe un sussulto. Nel corso degli ultimi mesi aveva cercato informazioni sul demone evocato dagli Angalliesi, ed era giunta a una sola possibile conclusione. Gli stregoni avevano richiamato Amadusion, un principe dell’oscurità ghiotto di sangue reale. Un’entità troppo potente per poter essere annientata dall’acciaio. Il suo ventre ebbe un sussulto, e con un gemito si portò le mani alla pancia.

“State bene, mademoiselle?”, chiese un dignitario.

Justine prese un profondo respiro, poi annuì. Non aveva solamente la sua città da difendere.

 

Tre giorni dopo, gli Angalliesi fecero la loro mossa. Una serie di incendi di origine dolosa scoppiarono nelle periferie della capitale, tanto che coloro che si salvavano dalle fiamme, impossibilitati a fuggire dalle mura, erano costretti a radunarsi verso il centro cittadino. Il caos strisciava nei vicoli, rappresentato da una piccola orda di demoni minori che si occupavano di divorare gli incauti. L’esercito, o ciò che ne rimaneva, venne sguinzagliato per ordine del generale Stouflou, ma per ogni demonietto che riuscivano ad uccidere almeno due valorosi Franquisi perdevano la vita.

Justine sarebbe scesa in strada a dare man forte con la sua magia, ma al momento dello scoppio del primo incendio il suo travaglio era già in corso. Nelle sue stanze nel palazzo reale, le donne di corte si stavano dando un gran daffare per agevolare la nascita, mentre da fuori giungevano continui allarmi e le persone morivano. La maga stava sfruttando incantesimi di resistenza per sopportare gli atroci dolori con la maggior serenità possibile, ma il parto si stava rivelando più complicato del previsto.

“Forza, si sta muovendo, manca poco!”, la incitava la levatrice. Nessuna creatura che avesse affrontato l’aveva mai messa alla prova come suo figlio stava facendo ora.

Un paggetto si precipitò nella camera sbattendo la porta. Le donne di corte si affrettarono a bloccarlo per impedirle di vedere i pudori della maga partoriente. “Mademoiselle d’Arpathieu! Un incendio nelle cucine! Il palazzo sta andando a fuoco!”

Molte delle donne, terrorizzate, si precipitarono verso l’uscita. Nella camera rimasero solo la maga, la levatrice e un paio di serve coraggiose. “Mademoiselle, dobbiamo sbrigarci!”, disse una di queste. Justine spinse ancora, e urlò.

Mosso da una volontà infernale, l’incendio aumentò di intensità, tanto che l’intero palazzo ne venne avvolto. Il fumo e il calore asfissiante giunsero presto agli appartamenti della maga partoriente. Gli scaffali colmi di libri di magia furono i primi a incendiarsi.

“Vedo la testa, mademoiselle! Forza, ancora uno sforzo!”, gridò la levatrice. “Voi due, salvatevi! Qui ci penso io!” Le donne di corte si diedero alla fuga.

Justine prese un profondo respiro, pensò a Mathieu, e spinse ancora.

“È nato! È un maschio!”, esultò la levatrice. La maga fece appello alle poche energie che le erano rimaste per rinvigorire il suo corpo, tanto che dopo pochi istanti riuscì a tirarsi in piedi. Diede solo una breve occhiata al figlio. Occhi azzurrissimi, come suo padre, si trovò a pensare. Poi, parte del pavimento crollò. La maga riuscì ad afferrare appena in tempo la serva, che stava per cadere nel vuoto portando con sé suo figlio, formulò un incantesimo e la trascinò nell’aria, librandosi in volo attraverso il soffitto avvolto dalle fiamme. Il neonato e la donna urlarono, Justine venne avvolta da una feroce determinazione. Videro la capitale dall’alto, poi si trovarono a cadere verso la strada. Atterrarono sul duro selciato con la morbidezza di una piuma.

Il bambino strillava a più non posso, la levatrice era sconvolta, tutti e tre erano coperti di braci e macchie di cenere. Justine vide che il piccolo aveva riportato una ferita, una brutta ustione sul braccino sinistro. Formulò un breve incantesimo e la risanò. Sarebbe rimasta una piccola cicatrice. Un boato feroce si levò dalla vicina piazza del mercato.

“Portalo via. Mettilo in salvo”, disse. La serva, con le lacrime agli occhi, strinse il bimbo al petto e corse lontano, alla ricerca di un luogo sicuro. Justine disse mentalmente addio a suo figlio e si precipitò nella piazza.

Amadusion, circondato da cadaveri parzialmente divorati, si ergeva mefistofelico al centro della devastazione. La maga avanzò.

“Sento odore di sangue reale… un bambino… levati di mezzo, donna, se non vuoi incontrare la perenne oscurità.” Il corpo del demone, taurino e insettoide, fremette pregustandosi il sangue.

L’energia magica fluì dentro Justine e si scatenò in un’ondata di energia bianca attraverso le sue mani. L’onda investì Amadusion, travolse le fiamme e accecò la vista dei pochi testimoni, ma quando si disperse il demone era ancora lì a sghignazzare.

“Troppo sangue ho bevuto, troppi cuori ho divorato… né l’acciaio, né la luce può ferirmi!”

Justine gridò, scagliando contro il demone dardi di energia magica, lance infuocate, raggi di luce e gelo. Avvolta dalle stesse fiamme, la maga ancora sanguinante per il parto affrontò la sua nemesi con la rabbia che solo una madre che difende il cucciolo può mostrare.

Tutto inutile. Il demone sembrava imbattibile.

La creatura giunse a pochi metri da lei, sghignazzando.

“Tempo esaurito, maga.”

Tempo esaurito… tempo esaurito…, le parole del demone si insinuarono nella sua mente come un’oscura cantilena. Poi, improvvisamente, seppe cosa doveva fare.

“Tempo esaurito”, disse lei sorridendo stancamente.

Attinse alle forze temporali che l’avevano mantenuta giovane e in salute per novantaquattro anni. Con gli ultimi barlumi di energia le amplificò, dando loro una forma ben definita. Una gabbia, che li avrebbe intrappolati in eterno in quel preciso momento. Se non poteva uccidere il suo avversario, allora l’avrebbe intrappolato. Il demone si avventò su di lei.

Justine ripensò a suo figlio.

Il tempo divenne cristallo.

5.

“Come è andata a finire la storia, lo potete vedere qui, di fronte a voi. Lo scontro non si è mai concluso. Justine d’Arpathieu e il demone Amadusion sono intrappolati in quell’istante in eterno. Tutto per il bene del nostro regno, che con la sconfitta della più grande arma degli Angalliesi ha potuto negoziare una tregua. Nessuna vittoria, sarebbe stato un finale troppo dolce per una storia così amara. Eppure, a distanza di tanti anni, tutti sanno del sacrificio di Justine, la santa vivente. Perché lei è ancora viva, dentro quel cristallo, bloccata in eterno nell’attimo. Con le sue sole forze non sarebbe mai stata in grado di affrontare Amadusion. Ebbene, suo figlio le ha dato la forza. Pensate che una donna che ha appena dato alla luce un bambino sia una creatura debole? Affatto, può combattere con la forza di un branco di lupi, e Justine ne ha dato la prova.”

Il devoto, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio, si intromise nel racconto. “Già, il bambino tanto decantato che fine ha fatto? Se fosse esistito davvero, sarebbe l’ultimo erede dell’antica dinastia reale!”

Il vecchio si strinse nelle spalle. “Chi può saperlo? Si dice che la levatrice l’abbia tratto in salvo e ne sia divenuta madre adottiva, e che egli abbia vissuto tutta la vita senza mai sapere nulla delle sue origini…”

“Che storia sconclusionata!”, lamentò il devoto, per poi andarsene. Il vecchio scorse lo sguardo sul resto della folla, che nonostante la mancanza di prove in quello che aveva raccontato, aveva ora uno sguardo sognante e osservava Justine sotto una nuova luce. In breve si dispersero, commentando ciò che avevano appena sentito. Solo un ragazzino si avvicinò al vecchio cantastorie.

“Nonno, è quasi sera. Andiamo a casa.”

Il vecchio prese il ragazzino sotto braccio. L’arto, rinsecchito dall’età, mostrava una vecchia cicatrice ustionata. Osservò il nipote con occhi azzurrissimi.

“Andiamo. Tua madre sarà in pensiero.”