CLELIA & WILLELM – EPISODIO 02

VIALE ANGELI: IL DIPINTO E IL DEMONE DELLA PIOGGIA
 
La radiosveglia suonò insistente e petulante. Ero contenta di poter tornare ad un vago senso di vita normale, nonostante gli ultimi episodi di cui ero stata protagonista.
Mi alzai stiracchiandomi, feci una veloce toeletta e poi, ancora con il viso gonfio di sonno, mi diressi verso il piccolo cucinino per preparare una sostanziosa colazione per me e per Lucky, il mio adorabile cane fulvo. Accesi la tv, come sempre, per dare un’occhiata alle notizie del giorno e per sentire le previsioni del tempo.
Un senso di nausea mi prese, quando ascoltai l’ennesima, triste, storia di omicidio. La pioggia non sembrava voler smettere di inondare la terra. La rabbia e la violenza con cui precipitava faceva pensare a qualcosa di molto vicino alla fine del mondo.
L’estate sembrava ormai un sogno trascolorato.
Mi vestii, mi truccai velocemente, pettinai i capelli lunghi e neri, afferrai la borsa e la valigetta e corsi fuori di casa, con l’ombrello che, a fatica, riusciva a ripararmi.
L’appuntamento con i signori Invernizzi era alle 8.30 in punto davanti alla statua di Barbaroux, in piazza Galimberti.
Il traffico era piuttosto poco per essere mattina presto di un giorno feriale e questo non fece che migliorarmi l’umore.
Accesi la radio e la sintonizzai sulla mia radio preferita, Radio Stereo 5, e subito la voce di Claudio defluì carezzevole dagli altoparlanti.
I signori Invernizzi volevano che creassi una meridiana sulla parete della loro villetta e che restaurassi un vecchio dipinto che aveva fatto capolino da sotto la vernice scrostata di una parete interna.
Questo era il mio vero lavoro, nonostante le continue lotte con il mistero! Avevo ancora ben impresso nella memoria ciò che era accaduto a Villa Tornaforte. La pioggia cadeva prepotente e rumorosa sulla carrozzeria dell’auto e sembrava quasi volerla schiacciare sotto il fuoco incrociato di gocce enormi e impetuose raffiche di vento.
Amavo il mio lavoro ed ero grata di poterlo fare e di non essere costretta a stare dietro una scrivania. Amavo sentire il colore sulle mani, vedere i tratti di matita prendere forma sotto le attente pennellate.
Costruire una meridiana era sempre una sfida. Tutti quei calcoli ponendo come base i dati riportati sulla cartina militare. La valutazione della lunghezza e dell’inclinazione dello gnomone in base alla posizione della stella polare rispetto al muro che l’avrebbe ospitata. Tutti quei pensieri mi facevano sentire quasi normale!
La grande piazza apparve in tutta la sua estensione appena lasciai via Roma. La pavimentazione realizzata in cubetti di porfido le conferiva un’aria classica ed elegante e l’abbraccio discreto dei maestosi palazzi in stile neoclassico le regalava un aspetto aristocratico. Nelle giornate serene, era splendido osservare corso Nizza che pareva sfumarsi all’orizzonte insieme alle montagne che vegliavano sonnolente su quelle valli.
La pioggia impetuosa aveva reso lucida ogni superficie e molte finestre rivelavano l’uso anticipato dell’illuminazione elettrica. Trovai subito parcheggio.
Provavo sempre agitazione quando si trattava di incontrare dei nuovi clienti perché sapevo per esperienza che mi avrebbero dato del filo da torcere. Anche chi ama l’arte e non la pratica è soggetto al detto: gli artisti sono tutti un po’ pazzi.
Era ancora presto, nessuno sembrava aspettarmi accanto al monumento sferzato da vento e pioggia. Avevo fame e voglia di scaldarmi un po’. Ingannata dal calendario che mi ricordava che il mese in corso era ancora quello di agosto, mi ero vestita con una camicetta leggera ed un paio di pantaloni altrettanto leggeri. Purtroppo il tempo sembrava non seguire il mio stesso calendario. Decisi di fare una breve scappata al bar Piazza, dove mi concessi una seconda e veloce colazione. Cinque minuti dopo, avevo già pagato ed ero sotto i portici ad aspettare di individuare il mio possibile cliente.
8.30 in punto.
Scorsi un uomo robusto, tarchiato con spessi baffi neri ed una calvizie incipiente che a grandi falcate si dirigeva verso il luogo dell’appuntamento. Gli corsi incontro e lui mi raggiunse senza la minima esitazione; come se sapesse esattamente chi fossi.
“La signorina Clelia?”
“Sì, il signor Invernizzi immagino.” Risposi un po’ stupita dalla sua sicurezza.
“Viene con me o preferisce seguirmi con la sua macchina?” tagliò corto.
“Se non le creo nessun disguido verrei con lei.”
“Non si preoccupi. Mi segua per cortesia.”
Non mi diede il tempo nemmeno di voltarmi che già lo vidi attraversare la piazza quasi correndo. Lo raggiunsi e salii sulla panda gialla, nuova e profumata di pulito.
In pochi minuti fummo sul viale Angeli, davanti ad un cancello di ferro battuto.
Quante passeggiate avevo fatto su quel viale, nelle sere tiepide d’estate, cullata dall’andirivieni dei fidanzati mano nella mano che guardavo anche con una certa invidia. Era così tanto tempo che stavo da sola. Il pensiero volò senza che me ne accorgessi e mi riportò alla mente Alberto. La relazione era finita quasi due anni prima, eppure non riuscivo a dimenticarlo; a passare oltre. Forse perché la rottura era arrivata senza preavviso e quando ancora eravamo innamorati. Ero stata io a lasciarlo. Dopo sei anni di fidanzamento, giustificandomi con me stessa e convincendomi che l’avevo fatto per lui, per non nuocergli. Per non farlo soffrire. Per non coinvolgerlo in quella vita priva di serenità.
Mi ridestai da quei pensieri e osservai la grande villa in stile liberty dei primi del Novecento, che troneggiava al centro di un bel prato verde brillante. Il cancello automatico si aprì per lasciarci entrare nell’elegante parco cintato dal basso muretto. Sulla porta, in attesa, una donna minuta con i capelli rossi ed una abito da casa lilla. Invernizzi parcheggiò in uno spiazzo retrostante la casa dove lei ci raggiunse.
“Corinne, la signorina Clelia. Vuoi accompagnarla in sala e prepararle un buon caffè per cortesia?”
La seguii. All’interno era buio; come tutte le case di quell’epoca aveva stanze enormi, soffitti altissimi, mura spesse un metro e finestre lunghe e strette.
“Prego si accomodi.” Mi invitò la donnina minuta.
Mi accomodai sul divano immacolato. Tutto in quella sala faceva pensare a ordine e pulizia. Nulla era fuori posto, tanto da sembrare una farsa da esposizione. Non erano presenti foto o ninnoli che dessero un’impronta personale.
Il caffè arrivò quasi subito, accompagnato da un piattino pieno di biscotti che avevano tutta l’aria di essere stati fatti in casa. Dovevo fidarmi?
“Bene, io e mia moglie vorremo dare un’occhiata ai suoi precedenti lavori e sapere come procederà con i nostri, quanto tempo ci vorrà e quanto ci costerà. Per cortesia.” 
Non avevo contato quante volta aveva già pronunciato le parole ‘per cortesia’, ma ero certa che fossero tante e il tono in cui le pronunciava non era affatto cortese, ma direi piuttosto impaziente e sbrigativo.
Passai l’album con le foto dei lavori al signor Invernizzi, illustrai il modo in cui intendevo procedere e risposi a tutte le loro domande.
Dopo aver ascoltato attentamente, il signor Invernizzi mi restituì l’album.
Sembrarono convinti. Mentre ascoltavo compiaciuta la loro decisione di affidarmi il lavoro, qualcosa mi sfiorò la spalla facendomi trasalire e rischiai di rovesciare il caffè sul divano perfetto.
La sensazione che mi lasciò addosso non mi piacque e mi ricordò, mio malgrado, che la regina delle fate nere non era morta e che quindi c’era sempre la possibilità che riuscisse ad aprire nuovamente la porta tra i due mondi.
 
Arrivò il giorno prestabilito per l’avvio dei lavori; caricai le tre cassette degli attrezzi sull’auto e guidai con calma verso Cuneo. Quando mi fermai davanti alla villa trovai un foglio fermato con del nastro alla maniglia del cancello e riparato dalla pensilina. Spiccava il mio nome scritto con un pennarello rosso.
Scesi dall’auto e maledicendo la pioggia staccai il biglietto e mi tuffai di nuovo sul sedile per leggerlo.
Sono dovuta uscire un momento, ma tornerò per le 9.30. La portina di fianco al cancello è aperta. Una volta in casa potrà aprire il cancello con il pulsante che c’è dietro la porta d’entrata sulla sua destra ed entrare con la macchina. Le ho lasciato del caffé in cucina.
Corinne
Bene! Ci voleva anche questa e per giunta non avevo neppure un ombrello! Dopo giorni di cielo sereno, pareva che la pioggia avesse atteso proprio quel giorno per ricominciare a cadere.
Comunque, visto che non potevo fare altrimenti, cercai di correre più veloce possibile e di guadagnare la porta prima che la pioggia riuscisse a bagnarmi anche gli indumenti intimi.
Ci riuscii, trovai il pulsante, ripetei l’incredibile prestazione sportiva e finalmente sistemai l’auto dietro casa.
Quando varcai nuovamente la soglia ero fradicia, non riuscivo a smettere di rabbrividire.
Seguii il consiglio di Corinne e trangugiai il caffé ancora caldo. Dopo un momento di pausa recuperai la borsa con le spatole e gli altri attrezzi per scrostare e mi trasferii nella stanza del dipinto.
Presi la spatolina più piccola e cominciai, molto delicatamente, a togliere la sottile pellicola di vernice, che come un vecchio vestito copriva il corpo del dipinto.
Corinne arrivò, come aveva scritto, alle 9.30. Mi salutò e salì subito al piano di sopra. Disse che sua figlia aveva bisogno delle sue pillole. Non sapevo che avesse una figlia e neppure che ci fosse stato qualcuno in casa quando ero arrivata.
A mezzogiorno Corinne non era ancora scesa ed io ero quasi in stato di trance davanti ad una cosa impossibile. La sensazione di una presenza non umana si faceva sempre più forte. I colori del dipinto erano vecchie terre e questo era comprensibile vista l’epoca in cui doveva essere stato fatto, ma lo strano personaggio ritratto aveva un orologio da polso digitale!
Poteva essere stato aggiunto in seguito, ma i colori utilizzati erano gli stessi… l’orologio segnava il mezzogiorno. L’uomo con l’orologio possedeva uno strano fascino. Lo sguardo era profondo e quasi vivo. Il viso privo di rughe e con un sorriso appena accennato gli conferiva un’aria importante, altezzosa.
Quando Corinne scese e si ritrovò davanti a quello spettacolo impallidì.
“Oh santo cielo!”
“Ha notato anche lei l’orologio?”
“Cosa? Ah, sì certo… l’orologio. E’ incredibile non è vero?”
“Direi proprio di sì.”
“Le dispiace se rimango qui a guardare mentre lei continua a lavorare?”
“No, anzi.”
Mi faceva piacere un po’ di compagnia in quella stanza così buia e lugubre.
Continuai il delicato lavoro di recupero, ma feci un balzo quando sentii una voce gridare ‘mamma’ dal piano di sopra. Non sembrava la voce di una bambina, ne tanto meno di una ragazza… piuttosto il ringhio di un grosso felino. Corinne si alzò e corse su per le scale senza dare alcuna spiegazione e dando l’impressione di essere alquanto imbarazzata se non addirittura spaventata.
Verso l’una mi fermai e osservai, rapita, quello che era venuto alla luce. Mi sembrava di sentire un richiamo muto provenire da quelle vecchie pennellate di colore. Mi domandai che fine avesse fatto il signor Invernizzi, dal momento che si era ripromesso di passare verso l’ora di pranzo per vedere come procedevano i lavori e per darmi un acconto.
Verso metà pomeriggio trovai la cornice superiore, quella inferiore e quella del lato destro. Calcolai che doveva essere largo circa due metri, mentre l’altezza era di un metro e trenta. Di questo passo l’avrei riportato alla luce, nella sua interezza, entro sera. Alle 18.00 era completamente ripulito.
Mi fermai, mi allontanai di qualche metro e mi accosciai per contemplare quel singolare dipinto.
Erano presenti quattro figure. Uno era il fascinoso personaggio con l’orologio. Il secondo era una bambina sui sette anni, con bellissimi ricci biondi legati con dei nastri bianchi e grassocce guance rosa.
La bambina teneva per mano l’uomo con l’orologio. Dietro di loro, un ambiente cupo color amaranto. Le pareti erano amaranto, le poltrone lo erano e anche i tendaggi drappeggiati. Tutto sembrava avere i colori mutevoli del velluto. Lo sguardo dei due era felice e fiero e faceva a pugni con ciò che c’era alla loro sinistra. Un uomo con il viso distorto, come da un dolore lancinante o da una paura intensa. Un puro terrore, di quelli che ti possono far impazzire. La fronte imperlata di sudore ed un rivolo di sangue vicino all’occhio destro.Una donna reggeva un vassoio sul quale erano adagiati due bicchieri colmi di un liquido rosso… forse vino. Oltre a quell’uomo con i baffi, urlante, il dipinto in sé era ben fatto anche se inquietante.
Mio Dio… è orribile!
L’orologio digitale segnava le 18.30. Indietreggiai rapita e spaventata dall’atmosfera che faceva respirare l’immagine che avevo davanti ed improvvisamente mi resi conto di non essere più sola in quella stanza. L’orrore e la paura ebbero il sopravvento quando scorsi davanti a me Corinne che teneva per mano una bambina dai riccioli biondi e le guance rosa.
“Non è colpa sua… in fondo è buona… è mia figlia..”
“Mi avete ingannata! Sapevate che cosa c’era in questo dipinto e qualcuno vi ha dato ordine di eliminarmi. Non è così forse?” Ero fuori di me dalla rabbia. Sentii la testa che girava. Mi aggrappai con tutte le forze ai miei poteri sopiti e sollevai il medaglione. Non avevo mai sentito parlare di quel dipinto e neppure sapevo che ci fossero altre porte da cui le forze oscure potessero passare. Tra quelle mura ci sarei morta. Nessuno dei miei poteri funzionava e l’amuleto sembrava un qualsiasi oggetto di bigiotteria.
L’uomo con il viso distorto dal dolore somigliava in maniera impressionante a Invernizzi! Come aveva fatto a non accorgersene prima!
“Mi creda Clelia… non volevo che la bambina arrivasse a questo, ma ha dovuto difendersi… lui la odiava perché non era sua figlia… la sgridava… la sgridava sempre per niente. Ieri sera, dopo che l’ha chiamata bastarda non ho potuto calmarla… Io amavo suo padre e pensavo che lui amasse me… mi aveva detto che voleva un figlio da me, che ne aveva bisogno ed io gli ho dato ciò che voleva. Mi ha promesso che sarebbe tornato con noi se solo avessi portato lei qui. Non potevo rifiutare. Mi capisce?”
“Lei è pazza. Non sa che cos’ha fatto. Non sa cosa succederà al mondo intero se io non riuscirò ad uscire di qua.” Ormai stavo gridando con voce tremante di paura e rabbia. Non ero preparata per questo! Non ne sapeva niente!
“No… la prego, non faccia così. La mia bambina dipinge. Ha visto che brava… dipinge con la mente. Fa tutto con la mente e finché la terrò sotto sedativi non farà del male a nessuno. ”
Quella creatura adorabile aveva risucchiato lo stesso Invernizzi nel suo personale mondo e lo aveva ‘dipinto’ nel suo modo tutto particolare. Ma non aveva dipinto solo il suo corpo. Aveva dipinto la sua anima; turbata, terrorizzata e rinchiusa in chissà quale limbo.
Corinne piangeva e sussultava; guardava la bambina e le rispondeva come se anche lei stesse parlando, ma senza fare un solo fiato.
“… sì era davvero un bell’uomo tuo padre e tu gli hai reso giustizia dipingendolo… sei molto brava. Molto. No tesoro, non credo che Clelia starebbe bene vicina a tuo padre e poi la mamma sarebbe gelosa. Tu non lo vuoi vero?” La donna mi guardò di sottecchi, tentando in ogni modo di distrarre la bambina. Sembrava pentita per aver accettato di portarmi lì e che volesse in qualche modo rimediare. La pioggia si abbatté sulle finestre facendo esplodere quella del lato sud. Le schegge volarono in tutta la stanza, trasportate dal vento.
L’urlo della bambina fu terrificante. Lei voleva me, ma sembrava aver bisogno dell’approvazione della madre
Quando capii di cosa stavano parlando, indietreggiai lentamente fino ad avere la porta alle spalle e dando un’ultima occhiata a quel diabolico dipinto mi accorsi che l’uomo aveva mutato espressione ed ora dava l’idea di essere adirato… la data sotto la firma incomprensibile, era il 24 agosto 2007! Sgusciai fuori dalla stanza, corsi attraverso l’atrio, schiacciai il bottone che apriva il cancello e saltai in macchina. C’era un silenzio che non avrei mai più udito. Avrei presto dovuto eliminare quell’aberrante demone, ma non era questo il momento. Prima avevo bisogno di parlare con il vecchio e la ninfa.
 

La bambina guardò sua madre e nel suo sguardo non c’era nessuna innocenza. Gli occhi privi di anima dissero alla mamma che anche lei aveva un volto interessante da ritrarre…

03/02/2008, Simona Gervasone