GIORNO DI MERCATO

Mi era stata assegnata una cattedra in città. Per me, che ero nato e cresciuto in un piccolo centro, il trasferimento in città fu traumatico, nonostante la mia destinazione fosse poi, in fondo, solo una città di provincia. Affittai una soffitta nel centro e presi servizio in una scuola periferica, che raggiungevo a piedi tutte le mattine.

Dopo un primo periodo di inserimento, l’incarico di docente si rivelò più agevole del previsto; disponevo di tempo e le giornate le trascorrevo a passeggiare per la città. Mi affascinava, sopra ogni cosa, il centro storico: il brusio e il fermento della città non sconvolgeva l’imperturbabile stato dei palazzi. Le statue alloggiate in edicole sospese sui muri osservavano dall’alto il traffico cittadino, con occhi sornioni.

Il giorno che preferivo era il venerdì, non solo perché era l’ultimo giorno lavorativo della settimana, ma anche perché entravo a scuola più tardi. Questo mi permetteva di girare per il mercato. Dai paesi attorno confluiva una mandria di persone alla ricerca di cibo, oggetti per la casa, vestiti, cianfrusaglie. Solo come mi trovavo, faceva piacere confondersi per alcune ore tra la folla rumorosa. Dietro i banchi vedevo i volti rubicondi dei venditori, nascosti sotto i maglioni di lana, nel tentativo di ripararsi dall’inverno. Il loro fare dozzinale, da baratto spicciolo, richiamava alle necessità irrinunciabili e ricordava la semplicità della vita.

Una mattina, un tale dal bavero verde mi si avvicinò e mi uncinò il braccio: – Un bel carnevale, non c’è che dire – mi disse, e prese a sorridere facendo viaggiare gli occhi in qua e in là.

Mi scostai, scocciato, e sistemai la giacca. – Ci conosciamo, forse? – Giuro che avrei voluto mollargli un pugno. Il suo viso ossuto e rugoso invitava poco alla simpatia.

- No, dico, lei che viene da fuori…

- Cosa sta insinuando? Come fa a conoscere qualcosa di me?

- Ma è talmente evidente! – rideva alzando solo il labbro superiore. – Conosco ogni singolo viso qua. E il suo è comparso su questo proscenio alcuni mesi fa.

- E con questo? Cosa le può interessare?

- Non si arrabbi, dicevo per dire. – E scomparve dietro un banco.

Lo rincontrai il venerdì successivo. Stavo comprando della frutta, e quello mi fissava appoggiato al muro, uno stuzzicadenti tra le labbra. Gli feci un cenno breve di saluto, per non essere scortese. Quando mi allontanai, mi accorsi che mi veniva dietro.

- Anche lei ha un ruolo in tutto questo, non lo sa? – mi disse, sottovoce, da dietro le spalle.

Mi voltai, scocciato. Lo guardai senza muovere il viso e feci un passo verso di lui, per vedere se mi temeva.

- Se attende dieci secondi, si accorgerà che il banco alla sua sinistra verrà urtato da un vecchio bevitore di vino.

In un soffio, un vecchio col cappello cadde sul banco dei dolciumi e ne derivò un gran fracasso e qualche parola di troppo. Guardai stupito il mio uomo.

- Siete compagni di bevuta? – gli chiesi sardonico. – È il trucco che adoperate per sottrarre qualche portafogli?

Fece un viso scocciato e con gli occhi, mobili e pieni di venuzze, indicò un banco sul fianco opposto del mercato. – Là, sta per arrivare una donna con i capelli bianchi a comprare due sporte di pane.

L’accadimento non tardò a prendere forma. Che diavolo di colpo di mano era quello? Che importanza poteva avere tutto ciò e per quale motivo quello sconosciuto si adoperava nel coinvolgermi in quei suoi giochetti?

- Senti, il tempo non mi manca. Ma devo terminare le commissioni e poi andare a lavorare. – Aggiunsi, con voluto dileggio: – Almeno io.

- Certo, devi andare ad acquistare dieci mandarini al banco dell’ortolano con i capelli rossi e poi devi far rifornimento di sapone.

Mi voltai di scatto. Per tutti i diavoli del circondario! Erano le commissioni che mi ero prefissato di fare.

Mi fissava masticando lo stuzzicadenti, compiaciuto.

- Mi hai guardato il foglietto in cui avevo segnato gli acquisti – dissi con un’aria delusa.

Non si scompose e mosse le spalle: – Creda quel che vuole. Ho solo cercato di venirle incontro.

- Venirmi incontro?

- Proprio così.

- E in che modo.

Mi indicò il mercato, arpionandomi ancora il braccio, che scostai: – Una copertura bella e buona. Chi vive qui da sempre non potrà mai aprire gli occhi, nemmeno se glieli sollevassi a forza. Ma lei, che viene da fuori… Lo vede che ogni azione si ripete fino alla fine dei giorni? Non siamo noi a compiere le nostre azioni, quaggiù. Io lo chiamo “il catino infernale”. Serve tutto a coprire quello che accade là sotto. – Indicò un tombino. – Là è il mondo reale, ben più nero di questo che ci propongono. Scendi là sotto a dare un’occhiata, non te ne pentirai.

Una vecchia mi scostò dal mio uomo con la mano grassoccia e noi finimmo separati dal flusso di persone. Quello si alzò il bavero e non mi guardò più, si lasciò trasportare dal flusso con un sorriso indecifrabile.

Daniele Vacchino