PARLA COI MORTI 20

IL CUSTODE – PARTE 5

La porta non s’era ancora chiusa che l’assessore si rivolse al capostazione con un tono di rimprovero:

- Non hai saputo spiegargli bene la situazione.

- Gliela stavo spiegando e il discorso l’avevo in mente per filo e per segno, – rispose l’altro, risentito – ma hai visto anche tu, non mi ha lasciato il tempo.

- Sì, ma prima di dargli l’indirizzo del cimitero, perché è proprio lì che si è arrabbiato, dovevi esporgli gli antefatti, cioè come siamo arrivati a sospettare il marito della Giselda.

- Va bene, supponiamo pure che lui m’avesse dato tutto il tempo per chiarirgli la faccenda ma, secondo voi, avrebbe capito? Non bisogna dimenticare che è un forestiero, non conosce l’ambiente e, per il suo lavoro, certe sottigliezze gli sfuggono.

L’assessore scosse la testa, pensoso:

- Eh, non hai tutti i torti… Chi lo sa? Comunque noi le buone intenzioni le avevamo. Vi pare?

- Ci mancherebbe altro. – rispose il panettiere – Ma fatemi capire… Sul marito della Giselda, voi avete solo dei sospetti o pensate davvero che sia stato lui a far fuori il custode?

- Ecco, -intervenne il capostazione – i motivi lui li aveva, secondo me. Non si va a far visita spesso e sovente a una donna, appena le è morto il marito, con la copertura di volerla consolare. Senonché, e qui sorgono i miei dubbi, il morto, con tutta la buona volontà, mingherlino e appassito com’era, avrebbe avuto non pochi problemi a mettere il custode nella posizione in cui l’hanno trovato, dato che quello pesava il doppio di lui.

- Senza contare la storia delle manette, – aggiunse il panettiere- perché qui, alla ferramenta, di manette non ne ho mai viste e, quindi, il morto avrebbe dovuto prendere il treno e andare fino a Vercelli… E tutto questo mi sembra che gli avrebbe creato più d’un problema.

- Già, – commentò l’assessore – a queste cose non ci avevo pensato… Comincio ad avere dei dubbi che sia stato il morto, ma, se poi ci pensiamo bene, è davvero importante stabilire chi ha fatto il colpo? In fin dei conti, il custode non era neppure del paese e io non gli ho parlato più di due volte. E voi?

- A me ha sempre dato l’impressione che facesse fatica a salutare – rispose il panettiere.

- E, comunque, se gli han fatto la festa, ci sarà pur stato un motivo, o no? – sentenziò il capostazione.

E con l’animo sollevato, i tre si avviarono verso casa.

 

- E com’è finita la storia? – domando a mio padre.

- Beh, il maresciallo ha compilato il suo rapporto, l’ha consegnato al Comando di Vercelli, che, a sua volta, l’ha trasmesso alla magistratura.

- Quindi, il caso è stato chiuso.

- Trattandosi di omicidio, il caso non si può chiudere e le indagini riprendono se emerge un indizio o una prova.

- E dell’assassino non si è saputo più nulla?

- Proprio così. Non ha ritenuto opportuno dare sue notizie. Un testardo.

- Sarà, ma anche uno che il suo lavoro lo sapeva fare.

- Su questo non c’è dubbio… Un professionista. – dice il mio vecchio guardandomi e sorridendo.

- Certo, ma, a quel che vedo, tu non la pensi così.

-  E tu vuoi forzarmi la mano.

- È così. Vediamo se indovino: il maresciallo e gli altri non erano abbastanza bravi per risolvere il caso…

- Non si tratta di questo; né il maresciallo, né il miglior investigatore avrebbero potuto risolvere il caso, una volta presa la direzione sbagliata.

- E qual era la direzione sbagliata?

- Quella di cercare l’assassino.

- Quindi, tu avresti lasciato impunito il nostro uomo?

- L’assassino non si poteva trovare… Perché non c’è stato nessun omicidio.

- Guarda, guarda…

- Quel che ha dirottato il maresciallo e gli altri è stato il fatto di entrare dalla finestra e di vedere quasi subito le manette ai polsi del custode. Credevano di aver capito e, invece, quelle manette li hanno accecati, perché da quel momento si sono convinti che il custode fosse stato ucciso e non hanno più preso in considerazione nessun altro elemento.

- E tu, invece?

- Io ho avuto il tempo di riflettere e, mentre aspettavo con gli altri che venisse aperta la porta, mi sono radicato nell’idea del suicidio e, quando ho visto le manette, mi sono apparse, sì, come qualcosa di strano, ma non tale da farmi cambiare idea.

- Quindi, eri presente ai fatti.

- Sì, in quel tempo abitavo ancora in paese.

- E conoscevi il custode…

- Di vista; ci siamo salutati due o tre volte.

- E una volta entrato, cos’hai visto?

- È stato facile capire che la porta l’aveva chiusa il custode; nessun assassino, per quanto sprovveduto, spaccia il suo uomo, dopodiché si chiude dentro ed esce dalla finestra. Tra l’altro, una finestra difficile da scavalcare, perché posizionata in alto. Anche i carabinieri avevano notato questo…

- Certo, ma l’assassino avrebbe potuto chiudere la porta nel timore che entrasse qualcuno mentre era in azione.

- D’accordo, ma l’avrebbe comunque aperta al momento di uscire. Senza contare tutto il resto…

- Ad esempio?

- Il custode era un uomo robusto ed è strano che si sia fatto ammazzare senza opporre resistenza… Perché sul corpo e sui vestiti non c’era alcuna traccia di colluttazione.

- E i vicini? Nessuno ha sentito qualcosa, un rumore sospetto, un grido? E tutto si è svolto in un profondo silenzio? Ammetterai che è poco credibile…

- Ma l’elemento più importante non l’abbiamo ancora preso in esame. Chi aveva interesse a uccidere il custode? Perché qui siamo davanti a un uomo che, a quel che si sa, non soltanto non aveva nemici, ma non frequentava nessuno.

- Fin qui può anche andar bene, ma le manette? Non vorrai dirmi che è una prassi comune tra i suicidi quella di legarsi i polsi prima del grande salto.

- No, non capita sovente, ma non è del tutto eccezionale. Senza andare lontano, poco tempo fa, proprio qui, in paese, un mio amico, col quale andavo sovente ai concerti a Torino, è stato trovato morto, disteso sul pavimento e con la testa avvolta in un sacco di plastica, sigillato alla base del collo. Anche in questo caso, si sarebbe potuto pensare a un omicidio, se non fosse che il mio amico, da uomo previdente, per non dar luogo a equivoci, aveva lasciato una lettera sulla tavola, in bella vista.

- Già, ma uno che sceglie una morte terribile, come quella per soffocamento, quando gli manca il fiato, ha tutto il tempo di togliersi il sacchetto di plastica.

- Non se te lo leghi al collo con dei potenti nastri isolanti… Io penso che il mio amico abbia cambiato idea, quando ha cominciato a soffocare, ma era troppo tardi, il tempo che gli rimaneva era poco e le forze devono essergli mancate in pochi istanti…

Mio padre mi guarda, poi:

- Ma il caso che m’ aveva colpito è un altro… Un insegnante di Milano, omosessuale, s’ era incatenato al muro, a poca distanza dalla vasca da bagno e, per evitare che i vicini sentissero le sue grida, aveva aperto i due rubinetti della vasca… La sua morte è stata tra le più orribili… E’ morto di sete, mentre a due metri scrosciava l’acqua… Anche lui, sicuramente, ha avuto tutto il tempo di pentirsi, ma non aveva più i mezzi per tornare indietro.

- Uhm, brutta morte, ma, tornando al custode, perché avrebbe dovuto uccidersi?

- Ormai pensava, a ragione, che prima o poi il Comune l’avrebbe licenziato… Si sarebbe trovato su una strada.  Era un uomo del tutto isolato… Niente amici, niente donne. Si può dire che nulla lo legasse più a questa vita… In più, era convinto di aver risolto il problema del viaggio verso il mondo sotterraneo… E in lui doveva essere forte il desiderio di vedere quel mondo di cui gli avevano parlato i morti.

- Sì, ma io credo che a spingerlo all’ultimo passo sia stato soprattutto il senso di fallimento della propria vita, perché mi sembra evidente che, con quelle manette, il custode abbia anche voluto infliggersi una punizione esemplare.

- Sono del tutto d’accordo con te.

- Quindi, secondo te, il nostro uomo avrebbe fissato una corda alla trave, sarebbe salito sulla sedia…

- Sì, quella che abbiamo visto rovesciata sul pavimento.

- Si è messo il nodo scorsoio al collo… Il seguito diventa un po’ più complicato.

- Non tanto. Con una manetta si è legato un polso, ha portato entrambe le mani dietro la schiena, ha posto l’altra mano dentro la manetta libera e con la mano già legata ha operato lo scatto della seconda manetta.

- Avrebbe potuto slegarsi, se avesse cambiato idea?

- Sì, a condizione di tenere la chiave dentro la manetta; ma in giro non s’è trovata nessuna chiave.

- Dopodiché, il salto senza ritorno.

- Esatto, perché in questo caso, “il salto” è proprio la parola giusta.

Mio padre tace e vedo che diventa pensoso, poi:

- Se vogliamo proprio andare in fondo, non è del tutto giusto qualificare il caso come un semplice suicidio.

- Eccoci qua, che la storia non è ancora finita.

- Sì, perché se si guarda bene, gli assassini ci sono…

- Quindi, erano più di uno.

- In molti… E non sono neppure lontani.

- Se è così, facciamo due passi e andiamo a trovarli…Non ti chiederei questo in piena notte, ma, visto che il sole rischiara ancora questo luogo funereo…

- Ma non hai neppure bisogno di muoverti, perché gli assassini li hai proprio sotto i tuoi piedi e intorno a te…

- I morti?

- Esatto. Senza di loro, il custode non avrebbe fatto quella fine. Sono stati loro, coi loro racconti sull’aldilà, a spingerlo verso il cappio… Certo, non l’hanno impiccato loro, ma l’hanno attratto, gli hanno suggerito quel passo… Il custode, lontano dal cimitero e senza un contatto coi morti, non poteva più vivere… E i morti, questo, lo sapevano bene. Ormai, il custode era in loro potere: era caduto nella rete, l’avevano isolato dal nostro mondo e, a quel punto, niente e nessuno poteva salvarlo…

- Ma perché avrebbero fatto tutto questo?

- Noi camminiamo ancora sotto il sole, mangiamo il pane e i nostri occhi ancora vedono le nuvole e le montagne… Ma questo i morti non riescono a tollerarlo e accende in loro una rancorosa invidia.

- E, quindi, cosa possono fare?

- Nulla, finché sei in salute e vivi bene… Ma se in te un giorno s’apre una falla, a causa d’una malattia o d’una forma di depressione, ecco che i morti possono intervenire. Il tempo è dalla loro parte e lentamente il tuo animo è occupato da pensieri oscuri e, se ti lasci andare, se cedi ai loro suggerimenti di distruzione, per te non c’è più scampo. Questo è il cammino che percorrono tutti i suicidi.

- Ecco che questo posto comincia ad apparirmi sotto una diversa luce… Un luogo decisamente spiacevole… Insicuro, a dirla tutta. Ma, prima di andar via, si potrebbe vedere la foto del custode?

In un angolo remoto del cimitero, su una lapide spoglia, campeggia la foto di un uomo giovane, sorridente e dai bei lineamenti, con gli occhiali e un berretto di foggia militare. Dalla foto, nessuno avrebbe potuto immaginare il destino a cui sarebbe andato incontro il custode.

Così lasciammo il cimitero e, dopo pochi passi, mi volsi ancora una volta verso quelle mura massicce dove, in alto, una lastra di marmo recava la scritta:

“Qui dove scorre il fuoco
ed è dubbio quel che si sente e si vede.
Non sorgete dal vostro lungo sonno,
restate nel notturno golfo
e che l’abisso vi trattenga in eterno.”

(20– fine)

Bruno Vacchino