X TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: V CLASSIFICATO

IL MISTO

di Massimiliano Gradante

“Dobbiamo proprio?”

Laura mi guarda, non parla, quei due occhioni da cerbiatta mi fissano, uno sguardo che mi fa battere il cuore. Ogni volta come la prima. Sospiro, ho già perso ancora prima di provarci.

“Riuscirò mai a vincere con te?”

I nostri occhi si incrociano, flussi di emozioni si scontrano, un tenero sorriso compare sul suo volto.

“No.”

“Ti amo.”

“Io di più.”

La strada per arrivare a casa di Claudio e Monica, i genitori di Laura, era in aperta campagna, libera dal traffico, campi di grano e verde in ogni direzione, un paesaggio che scaldava l’anima.

E che ti preparava alla tempesta.

Fin dal primo giorno che mi aveva presentato ai suoi ero stato etichettato come “non sarai mai quello giusto”. Un parere che, dopo tre anni, non era ancora cambiato.

“Anch’io non vorrei andare amore.”

La mano di Laura stringe la mia, appoggiata sul cambio.

“Vedrai che avranno piacere che passiamo.”

La correggo.

“Che passi, forse.”

Mi stringe la mano più forte.

“È solo una questione di tempo, un giorno ti apprezzeranno.”

Rimango in silenzio, perplesso. Il tono di voce era diverso dal solito. Laura sembrava non credere alle sue parole.

 

“Piccola mia!”

Laura sorride mentre Monica la stringe forte tra le braccia.

“Mi sei mancata tanto.”

“Anche tu mamma.”

Laura sente il petto inumidirsi, sospira, accarezza con dolcezza la fronte di sua madre.

“Dai mamma, non fare così, va tutto bene.”

Monica aspetta qualche secondo, poi solleva il viso fino a poco prima nascosto, gli occhi gonfi pieni di lacrime.

“Pensavo che non ti avrei più rivista. Sai bene che…”

Laura la blocca.

“Mamma, non è il momento.”

Le osservo in lontananza, non capisco cosa stiano dicendo. Mi volto indietro, fisso la mia macchina, per un attimo l’istinto di scappare prevale su qualsiasi emozione. Chiudo gli occhi, respiro. Li riapro. La scena non è cambiata. Cresce il nervosismo. Io e Laura non saremmo dovuti essere lì. Avevo aspettato mesi per potermi prendere quei tre maledetti giorni di ferie, avevo programmato tutto. Saremmo dovuti essere a Rimini. Niente di che, ma il mare era pur sempre il mare.

La notte prima di partire Laura si era svegliata di colpo, piangendo. Aveva detto un sacco di strane parole, ne avevo capite solo tre: “Andiamo dai miei.”

Non l’avevo contraddetta. Nell’ultimo periodo la nostra vita di coppia non andava. Dopo tre anni insieme, a fronte dei mie 34 anni e dei suoi 29, avevamo deciso di allargarci. Ma l’entusiasmo iniziale era scomparso ben presto. Gli esami a cui mi ero sottoposto non avevano portato a niente di rilevante, eppure Laura non riusciva a rimanere incinta. Un piccolo problema che si era velocemente trasformato in un macigno. Tra me e lei.

Anche la nostra intimità ne aveva risentito, non ricordavo ormai l’ultima volta che eravamo riusciti ad avere un rapporto. Per questo non avevo obiettato più di tanto quando mi aveva chiesto di andare dai suoi. Non volevo darle ulteriori motivi di stress.

Ci amavamo ancora, lo sapevo, ma qualcosa si stava incrinando. E lo sentivamo entrambi.

 

Guardo l’orologio, sbuffo.

“Nuovo record.”

Quindici minuti da quando io e Laura eravamo arrivati alla fattoria dei suoi e nessuno mi aveva ancora salutato. L’ultima volta ne erano trascorsi undici. Nuovo record.

“Oh no.”

Le parole mi escono d’istinto, Monica e Laura si voltano dove sto guardando. Claudio si stava incamminando verso di noi. Dà un bacio sulla fronte a Laura, poi si dirige verso di me. Deglutisco.

Si ferma a pochi passi da me, raschia la gola, sputa un grosso grumo alla mia destra: il suo tipico saluto.

“Anch’io sono felice di vederti Claudio.”

Non risponde, come sempre. Mi fissa, lo sguardo disgustato, Laura corre in mio aiuto.

“Andiamo a mangiare papà?”

Claudio non si smuove, poi un brontolio, il suo stomaco. Si volta verso Laura e Monica, sorride.

“Andiamo tesoro. Ho fame.”

Si dirigono verso casa, guardo Laura.

“Ti aspetto qui ok?”

Sorride, finalmente.

“Andiamo scemotto.”

Sospiro. Che magnifica vacanza.

 

La cena fu un completo disastro. Dovetti trattenermi più volte per non rispondere male ai genitori di Laura. Arrivati al dolce finsi un malore allo stomaco a abbandonai la tavola. Laura mi raggiunse mezz’ora dopo.

“Capisco tutto Mario, ma cosa ti costava attendere ancora qualche minuto? Se ti comporti sempre così come posso farti apprezzare di più?”

Non potevo credere alle mie orecchie. Mi aveva chiamato per nome. E questo, accadeva solo quando era arrabbiata. Il tono tagliente e secco con cui mi stava parlando e le braccia incrociate sul petto, erano un ulteriore punto a favore di questa tesi. Scuoto la testa, mi siedo sul letto.

“Hanno passato tutta la sera a prendersi gioco di me, mi parlano e guardano con disprezzo manco gli avessi ammazzato il cane e tu ti arrabbi se decido di alzarmi prima della fine della cena?”

Laura rimane immobile, imperterrita.

“Stasera dormirò nell’altra stanza, non ho più voglia di ascoltarti. Notte.”

Esce prima che possa risponderle. Mi addormento sul letto, distrutto, pensando che peggio di così non poteva andare.

 

Ancora quel sogno, negli ultimi giorni sempre più ricorrente. Una battaglia, guerrieri alati che si scontrano contro esseri mostruosi, serpentiformi. Uno di loro si volta verso di me, mi chiede “Sei pronto?” poi mi attacca.

Mi sveglio nel cuore della notte, sudato fradicio, accendo la lampada, sobbalzo. Laura, Monica e Claudio sono di fronte a me. Non riesco a parlare, la gola è secca. Claudio mi guarda, glaciale. “È il momento.”

Esce dalla stanza, seguito da Monica. Osservo Laura, sempre più confuso. “Seguimi.”

Il suo tono non è più freddo, sembra quasi compassionevole, rassegnato. Non faccio domande, mi vesto, li raggiungo nel sottoscala. Sono tutti fermi di fronte a un muro.

“Ma che ca…”

Non ho il tempo di finire la frase. Claudio appoggia la mano sulla parete, pronuncia qualcosa che non comprendo, la abbassa. Pochi istanti e il muro si apre, mostrando un passaggio fino a quel momento nascosto. Entrano tutti. Sono spaventato, ma anche curioso. Li seguo. La porta-muro si chiude alle mie spalle.

 

La stanza in cui giungiamo non è molto grande. Metto a fuoco gli affreschi raffigurati sulle pareti, spalanco gli occhi, rabbrividisco. Non riuscivo a crederci. La battaglia del mio sogno, la stessa battaglia che mi assillava da troppe notti, era stata ricreata sulle pareti. Gli esseri alati, i mostri serpentiformi. Laura si volta verso di me, mi prende per mano.

“Non avere paura.”

Si che ne avevo. Cosa stava succedendo?

“Migliaia di anni fa – Claudio improvvisamente prese parola – Angeli e Demoni si scontrarono in una terribile battaglia per la supremazia della loro specie. La battaglia durò decenni, senza un vincitore.”

La testa mi martella. Cosa centravo io con tutto questo? Claudio riprende il discorso.

“Alla fine si giunse a un accordo. Gli Angeli avrebbero dominato sul cielo, i Demoni sulla terra. La pace tornò.”

Claudio scivola lungo tutta la parete, si ferma su un ultimo disegno. Monica trema.

“Ma questo equilibrio un giorno venne rotto.”

Laura mi stringe la mano più forte. Osservo la scena raffigurata. Ancora una volta parlò Claudio.

“Un Angelo e un Demone si innamorarono, la loro unione diede vita a un nuovo essere: lo chiamarono il Misto.”

Sospira.

“Il Misto era un essere potentissimo, spietato, crudele. Sotto la guida dei suoi genitori, mise a dura prova la sopravvivenza delle due razze. Molti perirono sotto la sua furia.”

Claudio smette di parlare, ferito, come colpito da un coltello invisibile. È Monica a proseguire.

“Solo l’intervento di entrambe le razze permise la sconfitta sua e dei suoi genitori. Successivamente fu creato un sigillo, tramite il quale nessuna delle due razze sarebbe potuta rimanere feconda per mano dell’altra. La nascita di un altro Misto non sarebbe stata mai più permessa.”

Claudio mi fissa, il suo sguardo adesso è pieno di odio.

“Ma poi, sei arrivato tu.”

Scuoto la testa, confuso.

“Continuo a non capire cosa sta succedendo…”

Laura si mette di fronte a me, mi guarda negli occhi.

“Noi discendiamo dalle due razze. Io appartengo agli Angeli…”

Ora avevo finalmente capito. Le parole mi escono rassegnate.

“E io ai Demoni…”

Silenzio. Un silenzio che vale come un sì. Monica continua.

“Solo due Angeli possono sbloccare il sigillo. Fu questo l’ultimo accordo. Ma non possiamo permettercelo. Il Misto non deve rinascere.”

Di colpo comprendo ogni cosa: gli atteggiamenti e le preoccupazioni dei suoi genitori, il non riuscire ad avere figli, la freddezza di Laura, tutto…

“Perché non me ne avete parlato prima? Perché nessuno mi ha mai detto niente?”

Il tono di Claudio è categorico.

“Perché tu non avresti mai dovuto sapere nulla. L’abbiamo fatto solo su insistenza di nostra figlia.” Monica mi guarda, realizzo che non condivide quello che sta per dire.

“Lei ti ama davvero. Solo per questo abbiamo accettato di raccontarti tutto.”

Spalanco gli occhi.

“Ma anch’io la amo! Con tutto me stesso!”

Incredibile.

Come nelle favole più belle, arrivò il lieto fine.

Il modo in cui le dissi, le lacrime che scesero mentre le pronunciavo, li convinsero. E il sigillo, dopo migliaia di anni, venne distrutto.

 

Laura mi guarda, felice.

“Alleveremo nostro figlio con l’amore che solo un padre e una madre possono donargli. Non percorrerà mai la via della distruzione.”

Sorrido, di cuore.

“Ti amo.”

 

La mattina dopo Laura saluta i suoi genitori, tra lacrime e nuovi sorrisi. Per la prima volta mi abbracciano, si rivolgono a me come una persona normale, mi sento finalmente accettato.

È proprio vero, l’amore vince sempre su tutto.

Mi allontano, decido di lasciarli giustamente un po’ da soli, raggiungo la macchina, prendo il cellulare e compongo il numero di mio padre. Risponde dopo pochi squilli.

“Ciao figliolo. Come è andata la vacanza?”

“Benissimo.”

“Davvero?”

Sorrido.

“Oh si padre. Dopo tre anni ci sono finalmente riuscito.”

La voce di mio padre è balbettante, preda dell’emozione.

“L’hanno rotto?”

Il mio sorriso si allarga.

“Si, padre. Il sigillo è stato spezzato.

Il Misto, entro breve, risorgerà.”