X TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: III CLASSIFICATO

B.E.N. (BENADIN EMERUN NOLL)

di Emanuele Silvestro

Prigionieri: occhi indiscreti e strani incontri

Ben tentò di emergere dall’oscurità, ma il buio continuò a schiacciargli le palpebre con il suo fardello pesante. Il secondo tentativo andò meglio: con molta lentezza, Ben aprì entrambi gli occhi e si abituò alla scarna luce che trapelava dal corridoio, a pochi passi da dove si trovava. Appena riconobbe l’ambiente che lo circondava, ebbe un tuffo al cuore: ci era finito di nuovo, gli scuri sotterranei della Strega. Un odore penetrante di putrescenza e acqua stantia permeava l’aria e il tanfo di decomposizione punse le narici di Ben, squassandogli le viscere.

Tentò di distendere le gambe e ci riuscì; provò con le braccia e si accorse in quel momento che i polsi erano dolorosamente fasciati da braccialetti metallici. Volse la testa indietro: era legato con due catene al muro sudicio della cella ricoperto di muschio occhiuto. Rivoli limacciosi di liquido verdastro scorrevano lungo la parete fino al pavimento e centinaia di occhi minuscoli dalle pupille color porpora spuntarono a fissarlo dal manto umido del muschio quando lui si voltò. Si spostarono lentamente, a ogni suo movimento.

«Che schifo. Non mi abituerò mai a questa roba.» Sbottò Ben con la voce arrochita dalla fatica della posizione e dal silenzio prolungato.

«Sembra che tu venga qui spesso.» Un’altra voce risuonò dall’unico angolo buio della cella, alla destra di Ben, che si spaventò, ritraendosi con un movimento lesto contro il muro alla sua sinistra, urlando di sorpresa. Ben e il muschio occhiuto volsero trecentoventiquattro occhi in direzione della voce sconosciuta. Poi, una piccola sfera di luce giallognola si accese nell’ombra e illuminò debolmente un uomo seduto, incatenato ai polsi, con la schiena poggiata al muro alle sue spalle.

Ben esclamò: «Spire di codalunga! Mi hai fatto morire di paura!»

Guardandolo meglio, l’uomo aveva l’aria di chi ha visto cose orrende in posti orrendi, la barba lunga e sfatta, i capelli lerci a penzolare mollemente sulle spalle magre. Era giovane, forse quanto lo stesso Ben. Il sorriso che gli rivolse stonò con la situazione e la scena pietosa che dava di sé, nell’insieme.

«Perdonami. Non era mia intenzione spaventarti.» Replicò l’uomo misterioso senza smettere di sorridere stancamente. I suoi denti erano bianchi e puliti, niente storture né buchi tra uno e l’altro; la sua voce era affaticata, ma con un timbro caldo e piacevole. Ben non seppe spiegarsi il motivo, ma provò una simpatia quasi immediata per lui.

Ad ogni modo, continuò a fissarlo, guardingo: saettò lo sguardo dal suo volto al globo di fioca luce sospesa nel palmo della sua mano.

«Sei un manipolatore degli elementi?» Chiese, cauto.

«Non lo so. Diciamo che riesco a fare qualche trucchetto.»

L’uomo sembrò smarrito: il mezzo sorriso che gli aveva illuminato, almeno in parte, il viso magro, stentava a rimanere acceso, ma Ben non ritenne più necessario doversi guardare troppo da quell’individuo. Era strano forte, forse sapeva anche usare la magia oltre a quel “trucchetto”, come lo aveva definito, ma non sembrava più pericoloso di quel muschio occhiuto puzzolente e ficcanaso.

Ben si rilassò di nuovo contro la parete e si lasciò scivolare a terra; incrociò le gambe e si perse nei pensieri, borbottando ad alta voce.

«Che guaio… di nuovo nelle segrete della Strega.» Ben parlò a se stesso, ma l’uomo lo sentì. Dopo un attimo di silenzio, gli chiese:

«Segrete della Strega?»

Ben fissò l’altro come se lo avesse visto mangiare un grosso fungo letale in un boccone solo.

«Per la ghiandola mammaria di una gerbionta!» Sbraitò. «Ma che vai farneticando? Vuoi farmi credere che non conosci l’Albero dei Sospiri? La residenza della Strega dal cuore secco?»

L’uomo si limitò a scrollare le spalle.

Ben, allibito disse: «Che mi spunti un bitorzolo giallo! Ma chi diavolo sei tu? Arrivi forse da una dimensione del Lesto Mondo? Giungi da una stella congelata caduta?»

L’uomo parve confuso, guardò per un momento il corridoio fuori della cella, poi sospirò e rispose: «Non lo so chi sono, a dire il vero. So cosa faccio, ma non chi sono.»

Ben ammutolì per un istante, poi sibilò: «Spiegati meglio. Anzi, inizia col dirmi come ti chiami.»

«Te l’ho detto,» ribatté l’altro, paziente, «non ricordo il mio nome, non ho idea di chi io sia. Mi risveglio sempre qui, nel buio: sempre nella stessa cella, sempre solo. Almeno fino ad oggi.»

«Come sarebbe che ti risvegli sempre? Sei già stato qui?» Domandò Ben grattandosi la testa.

«Mi sono stancato di contare le volte. Forse non ricompaio sempre in questa cella, chissà. Ma dopo un po’, scompaio di nuovo nel buio.»

Ben guardò con la bocca leggermente aperta quello strano individuo che parlava, illuminato appena dalla luce della sua sfera e aggrottò la fronte.

«Scompari nel buio.» Ripetè, riducendo gli occhi a due fessure.

«Esatto.»

Ben volse lo sguardo al cielo e si accasciò ancora di più contro la parete muffita, sconsolato.

«Ecco, pure il tizio toccato, adesso.» Parlò a se stesso, ma l’uomo lo sentì. Dopo un breve istante, l’uomo domandò: «Toccato da cosa?»

«Niente, niente. Lascia stare.»

Rimasero in silenzio per un po’. D’un tratto, Ben ebbe un moto di pietà per quell’uomo, si chiese quale fosse la sua storia e stava per chiedergliela – sempre se fosse stato in grado di rammentarla – quando ricordò la sua condizione. Forse quel tizio poteva aiutarlo a fare una magia per aprire la porta della cella e fuggire, ma quando si concentrò su di lui per saggiare la sua portentanza, capì che l’uomo riusciva a stento a non morire, la sua anima era quasi a secco. La Strega era stata crudele con lui.

C’è da stupirsi? Quella folle succhia anime si nutre solo di portentanza, avrà fatto lo stesso con questo poveraccio.

Ben rabbrividì: l’idea che la Strega, presto o tardi si sarebbe stancata dei suoi tentativi di furto e lo avrebbe sdilocato nei frammenti dei suoi cristalli lo atterriva come la visione di una mutagena nel periodo dell’amore. Doveva assolutamente fuggire, ma non aveva più la polvere azzurra che aveva usato l’ultima volta: a questo giro avrebbe dovuto contare solo sulla sorte e sulle sue abilità. Gli sarebbe venuto in mente qualcosa, succedeva sempre. Beh, quasi.

«Bene, ecco che faremo:» proclamò, «siamo chiusi qui dentro e dubito che tu possa darmi una mano per uscire, è già tanto se riesci a mettere un respiro dietro l’altro. Non ci rimane che aspettare che la mia portentanza mi faccia venire qualche buona idea. Nel frattempo…»

«Pertinenza? Che cos’è?» Lo interruppe l’altro.

Ben alzò gli occhi al cielo. «Portentanza. È la forza magica di ogni essere vivente di questo Mondo. Dalla portentanza si capiscono un sacco di cose, ma non ci basterebbero due vite qui dentro perché possa spiegartele tutte. Beh, ci basterebbero eccome, perché in realtà io ne so pochissimo, ma adesso non ha importanza.»

Mentre l’uomo lo fissava con sguardo smarrito, Ben estrasse dal suo fagotto allacciato in vita (strano che non gliel’avessero portato via, probabilmente non l’avevano ritenuto importante, al pari del suo padrone) una stecca di Petalia e la lanciò al suo compagno di prigionia.

«Tieni, mangia qualcosa, altrimenti sparisci per davvero.»

L’uomo acchiappò al volo il pezzo di radice, lo squadrò per un attimo e guardò negli occhi Ben.

«Grazie.» Disse.

Poi si portò la radice alle labbra, la leccò con la punta della lingua e dopo un istante, prese a masticarla con un gran tramestio di denti e voracità. Dopo aver deglutito, disse: «Mi offri il tuo cibo e non conosco ancora il tuo nome.»

Ben iniziò a masticare a sua volta un pezzo di radice e replicò: «Mi chiamo Benadin Emerun Noll; un nome piuttosto altisonante che evidentemente i miei genitori hanno reputato prestigioso. Io ritengo che sia un gran dispendio di tempo pronunciarlo per intero. Chiamami semplicemente Ben.»

«D’accordo.» Disse l’uomo misterioso senza insistere e continuò a masticare con aria compiaciuta.

«Dunque,» riprese Ben, «stavo dicendo: nel frattempo che aspettiamo che il mio sfavillio interiore possa tirarci fuori da questo pasticcio al più presto, potresti aiutarmi a fare qualche magia, tanto per mantenermi in allenamento e permettermi di spiegarti la storia di questo postaccio in cui sei finito, visto che sembra tu non ne abbia la più vaga idea.»

«Non credo di capire.» Disse l’uomo. Aveva quasi finito di masticare il suo pezzo di radice.

«Non avevo dubbi. Ascolta, sono un incantastorie, ne hai mai sentito parlare?»

«No.»

«Ecco, appunto. Un incantastorie è capace di materializzare nel concreto della dimensione magica qualunque storia voglia raccontare, usando la luce come conduttore della sua magia per trasformarla in cristalli colorati sospesi nell’aria. Le storie prendono vita sotto forma di immagini impresse nei cristalli.»

Poiché l’uomo misterioso continuò a guardarlo senza dire nulla, ma almeno un poco più presente, Ben continuò: «Ti racconterò la storia di Votus: l’unico grande Mago che sia stato in grado di curare e far battere il cuore secco e nero della Strega. E intanto mi potrò esercitare nella pratica della mia magia cristallizzante.»

«Perché?» Chiese l’uomo.

«Perché cosa?»

«Perché ti eserciti. Immagino tu sia qui per un motivo ben preciso. E che possa aver a che fare con il tuo desiderio di praticare la magia.» Adesso l’uomo sembrava meno sperduto, una piccola scintilla di luce gli accese gli occhi e Ben pensò che forse non fosse poi così stupido come appariva.

«È una storia molto lunga, e non è quella che ti voglio raccontare. Un’altra volta, forse. Se ci sarà.» Rispose Ben. «Diciamo che non è la prima volta che mi rinchiudono qui dentro» Proseguì, dal momento che l’altro rimase in silenzio, ad osservarlo. «Sto tentando di rubare un particolare cristallo che solo la Strega possiede e che mi aiuterebbe a raccontare e far avverare la storia delle storie: la mia liberazione da questo posto malvagio. Per sempre. Per farlo ho bisogno di due cose che non ho, però: tanto potere, e il cristallo. Ti basti sapere questo. E ti ho rivelato fin troppo.»

L’uomo misterioso rimase in silenzio e annuì leggermente, poi disse: «Sarò lieto di ascoltare la tua storia, dunque.»

 

Votus e la Strega: una triste storia

 

Ben chiuse gli occhi e si concentrò. Immaginò la fonte della sua portentanza e il battito del suo cuore accelerò. Prese a respirare concitato e dopo qualche istante la sua astrazione mentale lasciò gli spazi ampi della sua mente: percorse il sentiero dell’anima scendendo per la scala cangiante del cuore e raggiunse la fonte dorata del suo io magico, la portentanza.

L’uomo misterioso vide Ben agitare le braccia incatenate nell’aria e a ogni movimento delle mani, un piccolo velo di polvere colorata prese vita dalle sue dita aperte, saturando presto lo spazio angusto della cella. Dopo qualche istante, la polvere si concentrò in vortici sparsi per tutto lo spazio intorno e dai vortici presero forma dei cristalli trasparenti, grandi quanto le braccia di Ben e lunghi la metà.

I cristalli attirarono la polvere rimasta nell’aria e si colorarono di sfumature variopinte, poi presero a pulsare, catturando la luce della cella come il fuoco fa con l’ossigeno e la polvere si accese di lampi brillanti.

L’uomo senza nome percepì la voce di Ben entrare nelle sue orecchie, ma la sentì giungere da dentro. Guardò il corpo di Ben e vide che il giovane incantastorie si era addormentato.

«Eccomi, uomo senza nome. Sono dentro i tuoi pensieri e comunico attraverso la tua portentanza. Osserva i cristalli, ti svelerò la storia.»

L’uomo osservò più attentamente uno dei cristalli sospeso vicino a lui e vide delle immagini materializzarsi sulla superficie lucida.

«Accadde tutto molti anni fa…»

 

…la bellissima Strega dal cuore nero e secco come le aride steppe della regione Kadas nutriva e instillava odio nella sua anima poiché era ed è ancora oggi la creatura più immonda e nefanda che abbia abitato le terre di Mifrun, il nostro magico Mondo-paese. Nulla poteva contrastare il potere oscuro della Strega, nessuno osò mai opporsi alla sua tirannia. Fu così per secoli e il male che fluiva attraverso il suo cuore morto, dilagò come radici demoniache nel cuore del Mifrun, uccidendolo lentamente dall’interno.

L’uomo misterioso sbatté le palpebre un paio di volte mentre saette turbinanti di luci sfavillavano davanti ai suoi occhi e colmavano le sue iridi di arcobaleno. Aveva lo sguardo fisso e un filo di bava gli colò dalle labbra dischiuse. Era incantato.

La Strega soggiogò il popolo della nostra terra e regnò nel caos e nel terrore: prima di lei, c’era ancora vita e gioia, dopo di lei, solo la disperazione. Poi, un giorno, giunse nelle lande contaminate della regione dei laghi prosciugati, un giovane uomo, un Mago dai poteri meravigliosi e mai visti. Il suo nome era Votus, ma null’altro si seppe di lui.

Era bello, sano, forte come un giovane cariatide maculato appena svezzato. Si muoveva fluttuando dentro una bolla creata dalla magia, una magia colorata e vivida come i colori che stai osservando adesso, uomo senza nome. Il popolo del Mifrun comprese che la portentanza di quell’uomo, giunto chissà da dove, era ricca di gioia e bellezza, piena di VITA. Sembrava incorruttibile. Qualcuno azzardò che provenisse dal mondo magico della Bidimensione Celeste, di là dei confini del Lesto Mondo.

Nel terzo tempo del sole viola, Votus giunse nel Mifrun e si recò dalla Strega. La affrontò, capisci? Osò compiere l’unica azione che anche il mago degli astri più potente avrebbe avuto timore anche solo di pensare. Non conosco i dettagli di come si svolsero gli eventi, paiono misteri mai svelati, ma l’unica cosa che mi è data sapere per certa è che Votus riuscì a penetrare le difese del cuore nero e avvizzito della Strega. La fece innamorare, per tutti i cuculidi dei banchi nebbiosi!

La Strega fece entrare la vita nel suo animo morto e conobbe la forza dell’amore. Ciò la rese per la prima volta viva, trasformando il suo cuore fatto di malvagità immonda in un pezzo di carne vivo e pulsante. Divenne in parte umana. E questo fu il miracolo del quarto tempo del sole dorato. Il sole, in quei giorni bruciava di uno sfolgorante colore azzurro, in realtà, ma tutti concordiamo nel ritenere che i suoi raggi spandessero ombre ammantate di lucentezza dorata in ogni dove.

L’uomo misterioso vide nei cristalli immagini di bellezza incomparabile: un sole circondato da un’aura accecante e una coppia di giovani amanti stretta nella corona della sua luce, il mago Votus, forte, potente e vitale e la Strega, sorridente e bella come gli occhi dischiusi di un cucciolo appena nato. La lucimagia di Ben era uno spettacolo che lasciava senza fiato e i lampi colorati avvolsero il cuore dell’uomo facendolo vibrare dall’interno. L’uomo senza nome provò una forte sensazione indefinibile, ma non disse nulla. Non capiva cosa stesse accadendo. La luce lo avvolse e il racconto proseguì.

Per qualche tempo sembrò che il fuoco della speranza tornasse a bruciare vigoroso per il Mifrun, ma fu solo un sogno ad occhi aperti per il popolo sfinito di quelle terre. Il male che per secoli aveva seviziato il cuore nero della Strega era troppo potente e la nascente forza dell’amore, del bene che provava per Votus, fu una piccola scintilla che accecò per un momento una creatura dedita all’oscurità.

Poco alla volta, il sentimento di pura gioia che avvolgeva il cuore della Strega perse vigore e la sua vera natura tornò a offuscare la sua mente temporaneamente confusa da nuove emozioni che non fossero odio primordiale. Un giorno, abbracciati e stretti l’un l’altro in un gesto di apparente serenità, Votus e la Strega salirono verso il cielo su richiesta di lei e la Strega portò Votus sempre più in alto, in alto, in alto. Fu là che la Strega tradì il suo amato e si lasciò precipitare con lui in una spaventosa caduta senza controllo.

La storia narra che la Strega parlò a Votus per tutto il tempo della caduta, confidandogli, in un impeto di follia amorosa, di volersi sacrificare insieme a lui per poterlo amare liberamente nel Mondo-oblio dell’oltre vita, senza l’oppressione e il giogo dell’odio e del dolore. Votus la guardò e, pur nel pericolo, l’amò sopra ogni cosa, si fidò di lei, non reagì e si fece cadere come una stella che brucia forte prima di spegnersi nel cosmo.

Fu poco prima dell’impatto che, ridendo di nera soddisfazione, la Strega spinse fuori dalla bolla magica il povero Votus, facendolo schiantare, solo, nella terra arida del Mifrun. La Strega si salvò e volò via, ingoiata nel tramonto del sole azzurro che lentamente si tingeva di nero mentre l’eco delle sue risate si spegneva su di un mondo ripiombato nell’oscurità.

Ben ricostruì l’intera storia con l’aiuto dei suoi cristalli e pianse lacrime sincere quando terminò il suo racconto: il cuore gonfio di dolore e i colori della sua portentanza offuscati dal senso di perdita e sconforto. Non aveva mai incontrato Votus, ma ogni volta che pensava a quella triste storia, sentiva un pezzo di sé schiantarsi insieme al Mago. Fu quando stava per spegnere il suo ultimo cristallo che sentì, nella sua mente, la voce dell’uomo misterioso.

«No, non è così che è andata.»

Ben si riebbe dallo stato di trance indotto dalla sua stessa magia, guardò l’uomo di fonte a lui e accadde l’impensabile.

 

Rivelazioni: l’uomo avvolto di colori

 

L’uomo senza nome si alzò sotto lo sguardo scioccato di Ben, le catene spezzate ai suoi piedi. Emanò una luce dai colori sgargianti che si irradiarono in ogni direzione, dilatandosi dagli  occhi color dell’ametista, dalle dita, dalla bocca e da ogni punto del suo corpo. Capelli neri, lunghi e fluenti ricaddero con grazia su spalle larghe e possenti; il volto, dai lineamenti fini e delicati, era appena screziato da un velo di barba scura.

Mentre il muschio occhiuto alle spalle dell’incantastorie riapriva i suoi trecentoventidue occhi sgranandoli di sorpresa in direzione dell’uomo avvolto di colori, Ben capì ogni cosa. Vide formarsi una grande bolla viola intorno all’uomo in piedi, una sfera di energia magica che provocò rigoglii e spasmi nella portentanza di Ben.

«Ma… ma… per le sacche turgide di un demonietto cornuto! Tu…» Fiatò Ben.

«Sì, giovane amico mio. Io sono Votus, io sono te.» L’uomo gli sorrise e la sua voce era forte, calda e chiara.

«Tu! Sei Votus! Proprio lui! Ohh! Per il foruncolo infuocato del… sei… cosa!? Me?!»

Ben, paralizzato dall’improvvisa trasformazione dell’uomo, se possibile si fece più piccolo quando sentì la rivelazione del mago. Sembrò volesse sparire in una pallina di gomma non-c’è mentre il muschio occhiuto spostava i suoi occhi sbarrati da Votus a lui.

«Non… non… non capisco!» Balbettò.

«Capirai, amico mio. Molto presto. Sono qui grazie a te, grazie alla tua portentanza, che mi ha risvegliato e ci ha ricongiunti.»

Votus allungò le mani verso Ben e infuse un raggio colorato dritto nel petto del piccolo uomo; il lucincanto di Votus fu meraviglioso e stordente, molto più forte e potente di come Ben avesse mai sperato di generare. I suoi occhi e il suo cuore si schiusero nella luce accecante e bellissima dei cristalli creati dal più grande Mago di sempre.

Ben vide. Ascoltò la voce di Votus inondargli il cuore, la mente e l’anima, avvolgendosi con delicatezza al nucleo di portentanza nascosto nel suo io. Seppe la vera storia della Strega: di come, alla fine, prima di spingere via il Mago dalla bolla, durante la caduta, una lacrima solcò il suo viso e pronunciò un incantesimo su Votus, sussurrando due ultime parole: “ti amo”.

Seppe del destino di Votus, che non morì per mano della Strega, quel giorno poiché l’ultima scintilla di amore, presente nel suo cuore secco, la spinse a risparmiarlo e a condannarlo a una vita di oblio e dimenticanza, ignaro di ciò che era stato per lei, ma comunque vivo.

Seppe dell’esistenza del mago nelle putride celle dell’Albero dei Sospiri, della maledizione che, al termine di ogni giorno, lo condannò a sparire nel buio del nulla per farlo ritornare il giorno dopo, sempre dal principio.

Ma ciò che seppe alla fine, lo sconvolse nel profondo: il maleficio della Strega divise il corpo di Votus dalla sua mente perché non potesse mai liberarsi. Fu in quel momento, al termine del lucincanto e dopo quella rivelazione, che lo spirito e la portentanza di Votus si unirono nel corpo di Ben, fondendosi in lui.

Ben prese a balbettare, fu sopraffatto dalla potenza della magia del Mago e si sentì trasportare via dal suo corpo: non seppe ribellarsi e la forza delle rivelazioni di quel momento colmarono il suo cuore. L’animo dell’uomo esplose in un fiume colorato di domande: lui era Votus? La sua mente? Si era trasferito in lui? In un mago potentissimo?Per gli astri incandescenti della sfera iridata! Quando si riebbe un poco, Ben riuscì a guardarsi e scoprì che il suo corpo, no, la sua mente era entrata nel corpo dell’uomo misterioso, di Votus. Si voltò e vide che il corpo di Ben non esisteva più. La forza di quelle immagini, la magia immensa che scorreva dentro di lui, lo ammutolì.

La voce del Mago ruppe quella situazione di stasi: «Ora siamo tornati ad essere una cosa sola, Ben. Tu, io. Corpo e mente per il Mago più forte di tutti i tempi: Votus Benadin Emerun Noll. Presto comprenderai, amico mio, ora non è ancora tempo.»

Ben rinunciò a capire: si lasciò cullare dalla portentanza di Votus, dalla sua portentanza e si schiusero conoscenze mai sperate, in lui.

«Vieni,» disse la voce del Mago «abbiamo due importanti missioni da portare a termine: la Strega deve tornare a conoscere il vero amore, una volta per tutte, e tu devi raccontare la storia di tutte le storie all’intero Mifrun.»

Il Mago andò. E Ben lo seguì.