PARLA COI MORTI 04

VECCHI  EBREI

Stavamo attraversando il paese in direzione del cimitero.

- Ma, dimmi: secondo te, i tuoi compaesani di allora ce l’hanno fatta o sono periti tra le fiamme?

Il vecchio sorrise

-Vedi, questo poi è un dominio in cui è arduo farsi delle convinzioni.

- Ma come? Proprio qui, nel settore della vita e della morte?

- Ebbene, anch’io mi rendevo conto dell’importanza della faccenda e mi son messo di buona lena a leggere gli antichi libri del Testamento. Lo scopo era chiaro: vedere quali erano le disposizioni finali del vecchio Jehova. Ma quando leggi di quelle meraviglie della creazione e del diluvio universale, del mare che si separa e di tutte quelle carestie e pestilenze, che arrivano su ordinazione, è facile disorientarsi. E su un punto meditai a lungo: su Giosuè che ferma il sole. Un avvenimento talmente grandioso e imprevedibile che neppure gli astronomi d’oggi han potuto spiegarlo. Davanti a Giosuè, tutte le imprese degli altri capitani diventano cose da fanciulli. Anch’io ci persi un po’ di tempo e conclusi che Giosuè dovette far uso di qualche stratagemma, di qualche inganno per intrappolare il sole, perché il ricorso alla forza fisica non sarebbe stato sufficiente, avesse anche impiegato le braccia di tutti i suoi soldati. Giosuè dette prova di saggezza e non rivelò il segreto a nessuno, per cui da allora il sole non fu più disturbato nel suo cammino. Poi lessi della deportazione a Babilonia, a causa degli Assiri, ma non provai un gran dolore per loro, perché ne avevano già combinate delle belle. Così mi soffermai sui profeti grandi e piccoli e venni dell’idea che quei visionari sarebbero stati bene coi nostri psicanalisti. Anzi, non ci sarebbero stati per nulla, perché, collerici com’erano, in un istante avrebbero fatto a pezzi i divani e forse anche gli analisti. A mio parere, i profeti li aveva mandati Jehova perché salvassero il loro popolo, ma quelli han fatto di tutto per portarlo alla rovina.

Ma qualcuno che se ne intendesse, che capisse la situazione, c’era. Prendi Salomone. Come suo padre Davide o come Saul, cominciò con qualche doveroso massacro e, come primo atto, fece fuori suo fratello e il generale in capo e qualcun altro che gli dava noia. Ma ben presto si ravvide: si mise a costruire il tempio che portò il suo nome e, meglio ancora, si fornì di un migliaio tra mogli e concubine. Anticipò i tempi: meglio fare l’amore che la guerra. E tra le tante donne, ebbe nientemeno che la regina di Saba, a mio parere, più che dalla sua saggezza, attratta dalla sua potenza sessuale. Antichi e moderni rimproverano a Salomone di aver accolto le varie divinità adorate dalle sue donne, ma anche qui l’ebreo fu un precursore: i Romani col Pantheon non fecero di meglio.

- E dopo tante letture, ti facesti un’idea chiara della situazione?

- Non direi. Difficile tirar fuori un significato, una conclusione da tutti quei personaggi, quelle guerre, insomma da quel caleidoscopio di fatti meravigliosi. Senza contare, poi, che un giorno ero preso da Noè e il giorno dopo mi intristivo per la morte di Assalonne. Così, su certi fatti ero convinto che Jehova si fosse comportato bene, ma, poi, pensandoci sopra, venivo dell’idea che aveva usato una mano troppo pesante. Finché un giorno giunse l’illuminazione.

- Nientemeno!

- Sì, quando lessi del tempio di Delfi e dei responsi di Apollo, tutto mi apparve chiaro.

- Ma non a me.

- Pensaci; com’era anche chiamato il dio, tra i tanti nomi? L’ambiguo. E perché i suoi oracoli si potevano interpretare in due modi opposti? Perché la divinità si nasconde ai nostri occhi, sempre. È questa la sua caratteristica. E oggi si mostra con un volto e tu credi di averla vista e domani, invece, ti appare con un aspetto completamente diverso.

(4 – continua)

Bruno Vacchino