L’ABBRACCIO

«Ti amo.»

«Bugiardo.» Grazia rispose senza pensarci, eppure seppe in cuor suo che, dopo tutto ciò che lui aveva passato, era diventato vero. «Marco, sei il solito bugiardo, ormai non senti più nulla.» Rincarò la dose di bastardaggine, traendola dal pozzo coltivato negli ultimi anni.

«Sono tornato, no? Questa è la dimostrazione che ciò che dico è vero» rispose Marco, piegando la testa di lato.

«Bugiardo, sei tornato solo per te. Di me non te ne fotte niente e lo sai pure tu.»

Lui fece per controbattere ma lei lo fermò, alzando una mano e scuotendo la testa, col volto rigato di lacrime, i capelli scompigliati, il pigiama stropicciato tenuto forte all’altezza del petto, le gambe nude e lisce chiuse a conchiglia coi piedi sotto il sedere. «Vattene, questo non è più posto per te.»

Grazia si mise seduta nel letto a due piazze, le lenzuola erano ai suoi piedi, i cuscini sotto il suo collo. Era buio in camera e faceva freddo, ma il freddo veniva da lui.

«Ti amo, ti prego, vieni con me…»

«Non esiste», fu la dura risposta di lei.

Per anni Marco era stato tutto per Grazia, lo aveva amato alla follia, inseguito fino in capo al mondo, ma poi l’aveva fatta finita. Lui la lasciava sola, la abbandonava, le faceva del male e ora lei ne aveva fatto a lui.

Eppure, anche in quel momento, tutto ciò che lei voleva sentirsi dire erano quelle due parole: “ti amo”. Meglio ancora se seguite da “mi sei mancata”. Parole che Marco non le aveva mai detto.

Non prima di penetrare in quel modo nella camera da letto. La casa era chiusa a chiave e la finestra chiusa dall’interno. Marco non possedeva la chiave, ma era entrato senza alcuna difficoltà, ritrovandosi accanto a lei, mentre dormiva, con la stessa semplicità con cui una volta respirava.

«Vattene, ti prego, lasciami dormire in pace…» Lei mugugnò, e strascicò le vocali. Le sue parole furono poco incisive, stava perdendo mordente. Il suo modo di parlare, adesso, ricordava il miagolio di una gatta in calore. Se avesse usato maggior enfasi nel cacciarlo via, Marco se ne sarebbe andato, scomparendo allo stesso modo di come era venuto.

«Ti amo. Mi sei mancata…» Gli occhi di Marco si illuminarono di una luce folle, antica e aliena, ma le parole pronunciate furono fatali per la resistenza che lei stava opponendo. Grazia si morse il labbro, allettata dall’idea di stare nuovamente con lui e magari anche di farlo entrare dentro il letto e… Ma era così freddo. Lo sarebbe stato per sempre.

Le venne un’idea. Stendendo le gambe e passandosi le dita sull’interno cosce, lo guardò con fare famelico.

«Dici di amarmi? Allora dimmi dove sei stato!»

Lei non poteva saperlo, non aveva la fantasia e l’intelligenza adatta a capire che lui stesse aspettando esattamente quella domanda. Marco sorrise.

A lei non piacque quel sorriso, le sue labbra si spaccarono e allargarono, le rughe di quel volto divennero solchi nonostante fossero passate solo poche ore, da quando lei l’aveva fatta finita.

«Allora?» bofonchiò la ragazza, tirando le lenzuola e facendosi più minuta di quanto non fosse già.

«Ti amo e ti racconterò tutto. Dalla prima volta all’ultima, perché tu sai che è stata l’ultima, amore mio.

«La prima volta che ti invitai a cena, mi batteva forte il cuore, sembrava di avere un’orchestra nel petto. Ero in estasi. I primi tempi fu così.»

«Le attenzioni che mi davi mi lusingavano, la tua passione infinita mi coinvolgeva completamente. Fu un bel periodo, ma durò poco.»

«Diventasti troppo insistente, non potevo neppure uscire di casa per andare a fare la spesa senza ritrovare sul telefonino diverse tue chiamate. Volevi esserci sempre. Fu in quel periodo, ricordi? Dicesti “ti amo” e io sorrisi. Ti arrabbiasti perché non l’avevo detto anche io, eppure ti spiegai che dico certe cose solo se le sento, proprio come adesso.»

«Poi quel periodo passò: mi resi conto che ero prigioniero delle tue mammelle e dell’interno delle tue cosce.»

Lei mise il broncio, che trasformò in uno sguardo iroso pochi secondi dopo. «Non mi pare ti lamentassi del sesso con me…»

Marco sorrise nuovamente e il gelo che si portava dietro, da quel luogo lontano inspiegabile, si espanse in tutta la camera da letto. «Ascolta, amore mio. Ho ancora molto da dirti.» Si passò una mano ossuta sul volto scarno, poi riprese il racconto.

«Eri ossessiva e non volevi mai staccarti. Pretendevi di conoscermi, mi accollavi ruoli nei quali non mi riconoscevo, dicevi di me cose mai esistite. Arrivasti a farti un regalo e mi ringraziasti per lo splendido dono.

«Ma non era solo questo, cominciasti ad aggredirmi e a piangere ogni volta che ti facevo notare che le cose non andavano bene. Ti lasciai e mi lanciasti di tutto addosso.

«Poi cominciarono ad arrivarmi le tue chiamate, prima col tuo numero, poi con l’anonimo. Anche di notte. Piangevi e urlavi. Era un inferno. Cambiai numero e per un alcune settimane andò meglio, ma qualche stupido figlio di puttana ti diede i miei nuovi recapiti. Ricominciasti con maggior vigore a perseguitarmi!

«Eppure, una parte di me si sentiva in colpa. Scambiavo la tua deviazione mentale per devozione, scambiai la tua ossessione per amore e la tua aggressività con la passione che sfuggivo.

«Tornai, e quello fu l’errore fatale. La prima settimana fu tutto perfetto, sia a letto e anche quando ero via. Ma il debole equilibrio creatosi con il mio ritorno si ruppe presto. Non ricordo neppure cosa fece crollare l’ultimo barlume della tua lucidità, forse la telefonata di una collega o un messaggio di mia madre, ma fosti tu a condurmi ove sono adesso.»

Lui si avvicinò ai piedi del letto, aria fredda si condensava sulla sua pelle e cadeva soffice sulle lenzuola, sfiorando i piedi di lei, che li ritrasse. Grazia sentì un brivido alla schiena. Nel buio, scorse la pelle bluastra di lui, le crepe nel volto lì dove aveva colpito forte, vide la mano scheletrica che aveva bruciato e notò l’assenza dell’altra mano. Eppure, non si preoccupò minimamente di quanto accadeva. Con voce tremante, pronunciò le sue ultime parole.

«Se mi ami, mi porterai con te?»

Lui sorrise. E poi sorrise di più e ancora di più, creando nuove crepe nel suo volto, spaccandolo e allargando il sorriso fino ai margini della testa. Dalle ferite cadde sangue rappreso che cadendo insozzava le lenzuola e le gambe nude di lei.

«Verrai con me! La tua pazzia è stata una tortura. Mi hai inflitto dolori indicibili. Mi hai trascinato all’inferno, godendo delle mie pene e hai chiuso con me, tagliandomi la gola e bruciando il mio corpo agonizzante! Il tuo dolore non cesserà mai! Omicida! Brucerai all’inferno!»

L’essere di gelo e tenebra, morto eppure ancorato al mondo, allargò le braccia e con voce disumana urlò:  «Vieni con me, sarà per sempre…»

L’ultimo gesto che lei compì, mentre l’oscurità l’avvolgeva, fu sorridere.

Paolo De Chirico