III TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: IV CLASSIFICATO (PARI MERITO)

L’ORACOLO

di LAURA POLETTI

-       E’ vero quello che dicono del mostro di Alacran?

Il ragazzo non la smetteva mai di parlare, nemmeno quando il freddo si faceva più intenso sulla torre di guardia. Il soldato più anziano gli rispondeva di rado, ma quella sera aveva bevuto troppo, e, pensava che parlare con qualcuno lo avrebbe liberato da un peso.

-       Un tempo era l’oracolo di Alacran.

Aurelius osservò gli avventori appena entrati nella sua locanda: dopo tante stagioni, era in grado di capire al primo colpo chi si trovava davanti. C’erano due tipi di pellegrini: quelli poveri, che riponevano nell’oracolo di Alacran le loro ultime speranze per salvare il raccolto da un’imminente carestia o la vita di un figlio malato, e quelli ricchi, per cui la visita all’oracolo era un motivo di vanto, come lo sfoggiare le più lussuose ricchezze. Peccato che l’oracolo non sembrasse considerare né lusso né povertà nel soddisfare le preghiere: l’unica forza che sembrava dominarlo, nonostante tutte le belle parole dei sacerdoti, era il caso.

Aurelius non aveva mai pregato l’oracolo ed escludeva di farlo in futuro: fino a quel momento lui avrebbe continuato il suo lavoro, nutrendo i pellegrini, ma nemmeno se gli avessero promesso una borsa d’oro si sarebbe avvicinato alla caverna sacra.

I pellegrini di quella sera erano del genere ricchi signori, lo si poteva indovinare dalle vesti di fattura ricercata, ma non intelligenti: i due uomini di scorta sarebbero stati inutili di fronte a una banda di briganti, e non sembravano nemmeno essersi accorti dell’uomo, seduto a un tavolo vicino alla parete meno illuminata, che osservava con attenzione il loro padrone.

Dove c’era denaro c’erano anche ladri: Aurelius se ne era reso conto durante il periodo in cui aveva servito sotto l’esercito del principe Baldus, il glorioso eroe che molto aveva combattuto per difendere il suo regno dagli invasori. In realtà il principe aveva combattuto ben poco, forse nemmeno una battaglia, ma quella era la verità delle cronache. Di quella vera, quella fatta di sangue, fame e saccheggi, nessuno si era mai occupato. Durante il tempo in cui era stato nell’esercito Aurelius aveva notato come i ladri seguivano la ricchezza come se ne fossero magicamente attratti: le bande di predoni erano pronte alle loro spalle quando c’era l’occasione di saccheggiare un villaggio, mentre borseggiatori e truffatori di ogni risma sembravano conoscere perfettamente il momento in cui ai soldati veniva data la paga, ed erano pronti in ogni angolo, in ogni taverna, per approfittare del primo soldato distratto o ubriaco.

Aurelius scivolò verso il tavolo del ladro, con movimenti fin troppo leggeri per un uomo con il fisico come il suo. E proprio sul suo aspetto intendeva fare leva, visto che otteneva sempre buoni risultati: nessun taglia borse con poca carne addosso e un coltellino come unica arma poteva competere con un uomo alto come un albero, largo come un orso e armato di un’ascia sempre lucida e affilata, che troneggiava sulla parete dietro al banco della taverna. Raramente Aurelius era stato costretto a ricorrere alla forza per liberarsi degli ospiti sgraditi e, da quando aveva lasciato l’esercito, non era stato più costretto a versare sangue, il che non gli dispiaceva affatto.

Anche quella sera l’impresa si rivelò semplice: si era appena chinato verso l’orecchio dell’uomo, per invitarlo a lasciare la taverna, quando il ladro si era alzato di scatto, lasciando sul tavolo il suo boccale di sidro mezzo pieno: non aveva pagato, ma Aurelius preferiva una piccola perdita al grave danno che sarebbe potuto venire dall’incontro fra il ladro e le ricche borse dei suoi nuovi clienti. Ritornò verso la cucina, per controllare se la cena fosse pronta.

I ladri e i pellegrini non erano gli unici clienti di Aurelius: qualche rara volta aveva ospitato anche i sacerdoti, ma quegli uomini grassi e pelati lo mettevano a disagio più della vista di un goblin, e fra i suoi clienti fissi c’era il vecchio pazzo.

Il vecchio pazzo aveva un nome, ma ormai lo aveva dimenticato: viveva vicino alla caverna dell’oracolo già da prima che Aurelius aprisse la sua taverna, e predicava, con chiunque avesse voglia di ascoltarlo, che molto presto l’ira della divinità si sarebbe abbattuta sui sacerdoti, che non onoravano la divinità e non ne ascoltavano la voce. Peccato che le stagioni fossero passate e che nessuna divinità si fosse mai presa la briga di punire i sacerdoti, che con grande abilità, riuscivano a fare passare agli occhi dei pellegrini la pazzia del vecchio come una punizione per la sua empietà. E quello era forse l’unico motivo per cui al vecchio era concesso di vivere.

L’uomo si presentava alla taverna spesso, e Aurelius gli dava qualcosa da mangiare e un po’ di sidro, e, nelle notti di inverno, lo lasciava dormire nella stalla, visto che i cavalli non sembravano disturbati dai suoi sproloqui.

Il vecchio pazzo si presentò quella sera, dopo che i pellegrini erano andati a dormire e nella taverna era rimasto solo qualche avventore, prossimo ad addormentarsi sul tavolo per il troppo sidro. Aurelius lo salutò con un cenno del capo e riempì due boccali, uno per il vecchio e uno per sè. Ma il vecchio ignorò il sidro.

-       Il tempo è giunto.

Forse era l’inizio di qualche nuova follia.

-       Li avevo avvertiti, ma loro non mi hanno creduto e il tempo è giunto.

Il vecchio aveva sollevato le mani ossute, come a dare solennità alle sue parole, e Aurelius notò qualcosa sulle dita e sugli stracci che l’uomo indossava: ne aveva visto troppo per sbagliarsi, quello era sangue.

-       La bestia è venuta e loro non hanno potuto fare nulla, se non morire urlando.

Qualcuno degli avventori rimasti sembrò interessarsi ai discorsi del vecchio, e Aurelius lo trascinò dietro il bancone, facendolo uscire nel cortile sul retro della taverna.

-       Cosa è successo, vecchio?

Aurelius lo scosse un po’, cercando di non fare troppi danni a quel corpo magro: il sangue lo inquietava, non aveva mai pensato che il vecchio potesse essere pericoloso.

-       Io li avevo avvertiti, non si può giocare troppo a lungo con gli dei, altrimenti si viene puniti. Vai a vedere, tu che non hai paura.

Aurelius non riuscì a capire se il vecchio lo avesse preso in giro: per stare tranquillo avrebbe dovuto chiuderlo in qualche sgabuzzino e aspettare l’alba per andare a controllare. Oppure, e sarebbe stata la scelta migliore, lasciare che il vecchio se ne andasse per la sua strada e dimenticare tutto.

Aurelius era un uomo di azione, e non amava l’attesa, non l’aveva amata nemmeno sul campo di battaglia. L’attesa logorava gli animi e indeboliva i guerrieri, dando tempo al nemico di rinforzarsi, per cui prese la spada, molto più efficace dell’ascia che teneva in taverna, una torcia e disse al vecchio che voleva andare a vedere. Non aveva idea di quello che si sarebbe trovato di fronte, ma era sicuro che non gli sarebbe piaciuto.

Il vecchio pazzo non si fece pregare: si mosse veloce sotto la luce della luna, tanto che Aurelius quasi faticò a stargli dietro, e arrivarono al sacro recinto in poco tempo. Lo spiazzo di fronte alla caverna era deserto, illuminato solo dalla luce della luna e da quella, fioca, proveniente dall’interno della caverna.

Il vecchio non si infilò nella grotta, ma proseguì verso la torre che ospitava i sacerdoti: Aurelius non era mai stato lì, si era sempre limitato a guardare da lontano, ma che qualcosa di strano fosse accaduto non poteva essere messo in dubbio, visto che non c’era nemmeno una guardiano armato a sorvegliare il riposo notturno dei seguaci del dio, e le molte luci che spesso illuminavano le aperture della torre sembravano tutte spente.

Non c’era nessuna guardia nemmeno all’ingresso e il vecchio gli fece cenno di entrare: poteva anche essere una trappola, ma Aurelius non riusciva a capirne il senso, per cui si limitò a stringere la spada fra le dita e avanzare.

La prima cosa che lo colpì fu l’odore: aveva sentito tante volte l’odore del sangue e della morte che non gli provocò nessuna particolare reazione, mentre era l’altro odore che sentiva a preoccuparlo di più, simile a quello di un animale, ma non gli riuscì di definire quale.

Lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi non lo sorprese: si era aspettato di trovare le stanze riccamente arredate, era ovvio che i sacerdoti facessero la bella vita con i le offerte dei pellegrini, e si era aspettato di trovarle deturpate dalla violenza della morte, dal sangue, dalle vesti lacerate e dalle carni squarciate degli uomini che giacevano riversi per terra, ma in quelle stanze sembrava essere passato un esercito di orchi furiosi, e su tutto aleggiava quello strano odore. Aurelius guardò il vecchio, lo prese per le spalle e lo scosse con forza.

-       Vuoi dirmi chi ha fatto questo?

-       Io gli avevo detto di pentirsi e di temere la vendetta.

Il vecchio non poteva essere il colpevole, e, se era ancora vivo dopo quella carneficina, era probabile che l’assassino o gli assassini non lo avessero visto. Ma lui doveva avere visto qualcosa.

-       Dove sono andati? Dove sono adesso?

Il vecchio mostrò il suo sorriso sdentato, come se non avesse aspettato altro che quella domanda.

-       Nella caverna, è lì che aspetta.

Aurelius non si prese troppo tempo per pensare, alla fine non aveva a disposizione molte possibilità: se avesse lasciato la caverna incustodita, per chiedere aiuto, il nemico avrebbe potuto muoversi in piena libertà. Invece allo spuntare del sole sarebbero arrivati gli altri pellegrini e lui non sarebbe stato più solo, ma per il resto della notte sarebbe stato necessario rimanere a guardia della caverna: se non c’erano altre uscite, il nemico sarebbe rimasto imprigionato dentro in posizione di inferiorità.

Preparare una strategia tranquillizzò Aurelius: non mancavano molte candele all’alba e alla luce del sole qualunque nemico appare più debole. Aveva appena posato la spada a terra, per riposare la mano che cominciava a fargli male, quando lo vide: il vecchio doveva avere avuto un altro dei suoi attacchi di pazzia, visto che era entrato nella caverna, senza portarsi dietro nemmeno una torcia. C’era che la possibilità, alquanto remota, che il vecchio fosse in combutta con il nemico, e lo andasse ad avvertire della presenza di Aurelius. Comunque fosse, non poteva stare fermo ad aspettare gli eventi.

Aurelius aveva provato la paura sul campo di battaglia, anche se la sua spada e il suo elmo lo facevano sentire sicuro, ma, dentro a quel budello di pietra dove si sentiva solo l’odore della muffa e in cui i piedi erano immersi in una melma fredda e pesante, gli sembrò di provare qualcosa di ancora più acuto. Respirò a fondo: avrebbe scoperto quanto più possibile sul nemico, e poi sarebbe andato a cercare aiuto.

Aveva perso quasi subito le tracce del vecchio, anche se l’uomo si muoveva solo con l’aiuto della fioca luce delle poche torce appese alle pareti: per fortuna non era possibile sbagliare strada, poiché la caverna procedeva in un unico cunicolo sempre più scuro e stretto.

Da quello che aveva sentito raccontare dai pellegrini, l’oracolo si trovava in una enorme stanza, sempre nascosto dietro una pesante tenda scura. Nessuno gli aveva mai saputo dire che aspetto avesse l’oracolo, poiché solo i sacerdoti che parlavano in suo nome avevano il diritto di vederlo: probabilmente quella notte Aurelius ne avrebbe scoperto la vera natura, anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno.

Due fatti lo preoccupavano più degli altri: in primo luogo, il non aver ancora ritrovato il vecchio, e poi l’odore, lo stesso che aveva sentito nella torre dei sacerdoti, che si era ripresentato appena era entrato nella grotta, facendosi via via più forte.

Di colpo la luce si fece più intensa: la grotta non era poi così grande come aveva immaginato e le poche torce appese alle pareti erano sufficienti per illuminarla tutta. Sul fondo, nell’angolo più scuro, c’era una nicchia scavata nella pietra, davanti a cui c’era un pesante tendaggio scuro, per metà strappato dalla parete: lì dietro doveva essere custodito il segreto dell’oracolo di Alacran, ma l’unica cosa che Aurelius riusciva a vedere era una specie di fantoccio fatto di pezzi di stoffa e paglia, con indosso una veste simile a quella dei sacerdoti, gettato ai piedi della tenda.

Non riuscì a trattenere un sorriso, nonostante la tensione: se quello era il famoso oracolo a cui i pellegrini giungevano da paesi molto lontani, aveva sempre avuto ragione a pensare che i sacerdoti fossero degli imbroglioni. Loro incassavano le offerte e i pellegrini credevano di parlare con una divinità, mentre si prostravano davanti a un  pupazzo, a un gioco per bambini.

-       Loro hanno sempre mentito, e sono stati puniti.

Era la voce del vecchio, ma, allo stesso tempo, non era la sua, Aurelius non sentiva più quel tono folle che l’aveva sempre accompagnata. Proveniva da uno degli angoli bui della stanza, e Aurelius fu rapido a girarsi, puntando la spada di fronte a sé.

-       Per molti anni hanno continuato a far credere che il loro stupido manichino fosse l’oracolo e che solo loro, gli eletti, potessero interpretare il volere di Alacran.

Il vecchio fece un passo in avanti e la luce delle torce in parte lo illuminò: era sempre il solito vecchio pazzo, ma non era più lui, e Aurelius non riuscì a spiegarsi il perché. Il portamento si era fatto eretto e il corpo sembrava più tonico, come se l’uomo fosse ringiovanito.

-       Mi hanno sempre preso per un pazzo, anche se ero qui da molto più tempo di loro e conoscevo il potere di questo luogo. Loro non l’hanno mai capito, pensavano fosse un luogo come un altro, buono per i loro imbrogli.

Il vecchio si mosse ancora di qualche passo e Aurelius si accorse che il suo aspetto stava di nuovo cambiando, sembrava mano a mano diventare più alto e grosso, la sua pelle diventava sempre più lucida, tirandosi fino all’inverosimile su ossa e muscoli.

-       Ma io sapevo la verità e loro non lo hanno mai capito, non hanno mai capito quale forza vive in questa montagna, non nel loro stupido fantoccio. Ho aspettato a lungo che uscisse, sapevo che avrebbe scelto me.

Aurelius quasi non lo ascoltava più, ipnotizzato da quello che stava accadendo davanti ai suoi occhi: non c’era più il vecchio pazzo, ma una creatura mostruosa, qualcosa di molto simile a una belva priva di pelo che si ergeva su due zampe: Aurelius aveva sentito parlare di strane creature, ma li aveva sempre ritenuti racconti da ubriachi, ma in quel momento era sobrio e quello che aveva davanti agli occhi era vero. Strinse più forte l’elsa della spada, ma la sua mano tremava. Il vecchio, o quello che era diventato, si fermò davanti a lui, e parlò, con una voce profonda e lenta.

-       Fra poco non potrai più scappare, potrai solo morire.

-       E l’uomo cosa ha fatto? Ha combattuto come un eroe?

Aurelius scosse la testa, mentre un brivido gli correva lungo la schiena.

-       Non esistono eroi vivi!