LA CACCIATRICE DI SPIRITI 04: IL COMPLOTTO

Giornate tranquille: ecco cosa ci si prospettava davanti a noi cacciatori di spiriti. Giornate di una calma irreale, di niente da fare, giornate di quelle che ti fanno dimenticare qual è il tuo scopo nella vita e ti fanno vivere come se tu fossi una ragazza come tutte le altre. Mi ero portata avanti con gli studi; potevo dire di essere già in tesi e questo per me era un sollievo. Avevo ripreso a farmi viva con gli amici con regolarità e stavolta, quando mi lasciavano nel vialetto di casa, ci entravo per davvero e andavo veramente a dormire. Solo che continuavo a pensare a quanto aveva raccontato la mamma: non tanto al fatto che appartenesse ad una famiglia di stregoni, ma le somme che avevamo tirato insieme quel pomeriggio erano decisamente spaventose. E poi questa pace… e se fosse la quiete prima della tempesta? Dalla turbolenza più assoluta al niente. In casa, parlando con i miei, spiegavo questa mia angoscia. Più che altro l’ansia dipendeva da questo fatto: cosa avrei potuto fare se si fosse scatenata una guerra planetaria? Papà rideva, diceva che ero fantasiosa nel formulare scenari apocalittici, mi diceva anche che c’era una schiera di Cacciatori, di Cavalieri e di Vegliardi che in caso si sarebbero mossi per aiutarmi. Va bé. Odio quando mio padre non mi prende sul serio, però il messaggio che voleva lanciarmi era “Ehi! Rilassati!” e così feci davvero, finché non ebbi un incontro strano.

Ero al supermercato, avevo comprato dell’acqua naturale  in bottiglia di vetro per la nonna, non stava tanto bene e mi aveva chiesto di farle quella piccola commissione. Era un pomeriggio boccheggiante e avevo messo una canottiera verde, nuovissima. Ero in cassa e avevo poggiato la confezione d’acqua sul nastro. Aspettavo il mio turno. Sapete quando avete la sfiga di incappare nella cassiera lenta, un po’ rimbambita? Ecco, l’avevo beccata proprio io. Spesa lunghissima, io mi ero un po’ imbambolata a guardare le caramelle e non mi ero accorta della signora col carrello dietro di me. Evidentemente doveva essere seccata, aveva iniziato a caricare la sua spesa sul nastro con una certa forza, tanto che mi son detta che era meglio non guardarla, prima che mi prendesse a parolacce. Mi limitai a mettere il divisorio tra la sua spesa e la mia cassa d’acqua ma, ad un certo punto, la sentii sibilare una cantilena che mi entrò nelle orecchie e le bottiglie d’acqua esplosero in mille pezzi, vetro e acqua da tutte le parti. Rimasi impietrita, mentre le altre persone accanto a me urlavano e la cassiera chiamava disperatamente affinché qualcuno venisse a pulire il disastro. Istintivamente mi girai verso questa donna: era identica a mia madre, solo che i suoi capelli erano neri come l’ebano. Il suo sguardo mi impressionò molto, cattivissimo, ed era come se il suo corpo emanasse un’aurea bluastra. Mi fissava e fissava il mio tatuaggio. Presa dal panico scappai: quasi non riuscivo nemmeno a guidare da quanto ero spaventata, ma dovevo assolutamente arrivare a casa.

<<Mamma!>> urlai entrando nel vialetto: avevo parcheggiato malissimo, ero scappata dentro lasciando anche la portiera aperta. Stava cucinando e quasi le feci tagliare il dito per le urla che lanciavo. Arrivò anche mio padre, gli era preso un colpo vedendo la macchina abbandonata nel vialetto. Ci misero un po’ di minuti a farmi calmare. Raccontai quanto era successo e dissi che, anche se non l’avevo mai vista in vita mia, avevo incontrato Tahalla, la sorella di mia madre. Quest’ultima si spaventò tantissimo: sua sorella aveva capito chi ero per il mio tatuaggio. Non riusciva a capacitarsi che lei fosse lì, o meglio, che fosse tornata in zona. Ricordate no? Tutti dispersi, condannati all’esilio dai Vegliardi e i capifamiglia relegati in quella cascina al Serio Morto. La mamma e il papà si guardarono preoccupati. Forse quando parlavo di calma prima della tempesta non avevo tutti i torti. Mio padre si alzò, andò al telefono e digitò un numero; dopo una breve conversazione ci disse di prepararci, era necessario che i Vegliardi, i Cavalieri e i Cacciatori si riunissero. Anche la mamma doveva venire, per poter discutere sul da farsi.

Così quella sera ci avviammo verso Bergamo. Guidava il nonno, il papà era seduto davanti con lui e la mamma ed io eravamo sedute nel sedile posteriore. La mamma non aveva più proferito parola: se ne stava imbambolata a guardare fuori dal finestrino, particolarmente triste. Doveva essere una situazione pesante per lei, per quanto potesse essere in rotta era comunque la sua famiglia ed io credevo che lei, in fondo al suo cuore, provasse dell’affetto per quelli che erano stati parte della sua vita. Le strinsi la mano e lei ricambiò, singhiozzando silenziosamente.

Arrivati al castello vidi una donna ammantata di grigio che ci aspettava con una torcia in mano. Ad un cenno del capo del nonno scomparve e la rivedemmo solamente dopo, durante la riunione, che ascoltava silenziosamente.

I Vegliardi erano già tutti presenti e avevano già preso posto al tavolo: i Cavalieri erano seduti su panche poste lungo i muri della sala. I Cacciatori ed io eravamo in piedi, ognuno dietro al proprio capofamiglia. Mia madre se ne stava seduta in un angolo, quasi nascosta dall’ombra. Il nonno incominciò.

<< Vegliardi, Cavalieri, Cacciatori, salute. Ho chiesto che questa sera venisse indetto un incontro speciale perché abbiamo ragione di credere di doverci preparare ad una nuova battaglia con i nostri nemici di sempre, gli stregoni Vlore e Olaf. Pare che stiano facendo tornare presso di sé le loro figlie, venendo  meno all’obbligo dell’esilio che era stato imposto ai tempi dell’ultima lotta. Abbiamo le prove: mia nipote ha raccontato di aver incontrato la stregona dell’acqua. Questa l’ha riconosciuta perché mia nipote era in maniche corte e la visione dello stemma del nostro casato che lei porta sul braccio deve averla innervosita. Mia nipote ha raccontato di bottiglie d’acqua esplose. Inoltre, in relazione a quest’ultimo avvenimento, abbiamo dovuto ripensare a quanto è accaduto nel nostro territorio. O meglio, mi sembra doveroso parlare di quanto non è accaduto: sono settimane che mia nipote è con le mani in mano, nessuno spirito da catturare, nessuna manifestazione malefica. Ecco, noi cominciamo a pensare che questa sia una calma apparente, il principio di un nuovo conflitto.>>.

Tra i Vegliardi ci fu il più assoluto silenzio. Uno di loro, il più giovane membro del Consiglio, dopo un colpetto di tosse, si alzò in piedi, lisciandosi il mantello, e prese la parola.

<< Compagno, se tu avessi ragione questa calma dovrebbe riscontrarsi anche in altre zone. Mi spiace contraddirti, ma il mio cacciatore ha avuto il suo bel da fare ultimamente. Secondo me non c’è nessuna nuova battaglia in preparazione e per quanto riguarda la stregona dell’acqua, non pensi che la tua cacciatrice si possa essere sbagliata? Sappiamo tutti che è la cacciatrice della profezia ed io mi domando: non è che la troppa pressione le abbia fatto inventare questo episodio?>>.

Ci rimasi male: non mi aspettavo che questa persona potesse mettere in dubbio quanto avevo visto. Il nonno però non si fece impressionare e rispose che non aveva motivo di non credere a quanto avevo detto e che, in ogni caso, avrebbe tenuto occhi e orecchie aperte.

La riunione si concluse subito dopo. I Vegliardi erano rimasti d’accordo che, qualora ci fosse stata qualche novità o situazione particolare, si sarebbero subito sentiti. Si stavano alzando tutti dai loro scranni quando riconobbi, nell’ombra, Shamandala. I suoi occhi luminosi guardavano verso il giovane Vegliardo che aveva messo in discussione quanto avevo visto, come per indicarmelo. Sentii il suo pensiero: mi diceva di stare attenta.

Durante il viaggio di ritorno i commenti si sprecarono: al nonno non era piaciuto essere contraddetto da “un giovanotto che puzza ancora di latte, uno che non sa neanche come si sta al mondo” , mio padre guidava e ascoltava, chiedendomi solamente se ero sicura di quanto avevo visto. Ovviamente ribadii la mia versione e in seguito raccontai di aver visto Shamandala nell’ombra  che mi diceva di stare attenta. Il papà e il nonno si guardarono, sapevano che la strega non mentiva e che se aveva detto questo era evidente che c’era sotto qualcosa. La serata si concluse così: io volevo sapere chi fosse quel giovane ma mi sembravano tutti abbastanza seccati, pertanto mi tenni per me la mia curiosità.

Fin da quando sono piccola il vedere il nonno arrabbiato mi innervosisce. Non che mio padre non mi faccia impressione, è solo che quando lui si arrabbia esplode una mezz’ora, dice qualche parolaccia e, se proprio è furioso, pesta i piedi per terra. Dopo che ha fatto questo, torna ad essere la persona gioviale che è di solito. Mio nonno invece no: se è arrabbiato non gli passa tutto imprecando. Anzi, il suo viso rimane contratto in una smorfia di disappunto per giorni e giorni ed è proprio questa l’espressione che aveva quando ci siamo salutati dopo la riunione. Il mio stato d’animo era indefinibile, invece. Non sapevo se incavolarmi perché avevano messo in dubbio una cosa importante che mi era capitata o altro. Avrei tanto voluto parlare con Shamandala. Ritenevo che fosse logico da parte sua farsi vedere quella notte, parlarmi di quanto successo e di quanto mi aveva indicato e infatti mi ero appena messa il pigiama quando me la vidi, messa comoda sul letto, che mi aspettava. Le sorrisi, mi sedetti sulla sedia e cominciai a riempirla di domande. Shamandala mi fece cenno di tacere e poi, sempre nel suo solito modo, senza muovere un muscolo, mi raccontò del giovane Vegliardo, appartenente alla famiglia dei Brusaporti, di cui era meglio non fidarsi perché pareva che si interessasse, insieme al suo clan, di magia nera. Pareva inoltre, ma queste erano solo voci, che in tempi remoti avessero tentato di imporsi con la forza su tutti i Vegliardi e questi ultimi li avessero combattuti strenuamente, vinti e buttati nelle segrete del castello per decenni. In seguito, dopo una serie di incantesimi per fare uscire dalle loro menti la sete di potere che li aveva caratterizzati, li liberarono. Pare che inizialmente gli altri Vegliardi non volessero che che facessero di nuovo parte del loro gruppo, ma dopo un’analisi della situazione e del loro atteggiamento i Brusaporti furono riammessi fra i Vegliardi e, di conseguenza, fra i Cavalieri e i Cacciatori.

Dissi che però era strano che quel ragazzo, che doveva avere solo una decina d’anni più di me, fosse già un Vegliardo. Come poteva? Shamandala non rispose: era evidente che non sapeva proprio tutto di tutto di quello che riguardava il clan dei Brusaporti, era strano che si appoggiasse a “voci di corridoio”. Rispose a questa osservazione dicendo che, quando provava a concentrarsi sul clan dei Brusaporti, era come se la sua vista fosse offuscata da una nebbia fitta, che non le permetteva di vedere, e anche i rumori e le voci non le arrivavano, era come se si trovasse in una stanza ovattata. Era come se il clan avesse tirato in piedi un muro di protezione ed era evidente che se qualcuno faceva queste cose aveva qualcosa da nascondere. E se questo qualcosa avesse avuto a che fare con la magia nera? Rimanemmo d’accordo distare in guardia e poi lei si dileguò, come al suo solito. Io mi addormentai.

Era ormai autunno: l’aria era frizzante, al mattino, affacciandosi alla finestra, si vedeva una nebbia alzarsi dai campi e dalle risorgive qui intorno. Se si usciva presto era il caso di mettersi una sciarpa, anche se poi durante la giornata il sole scaldava ancora parecchio. Me ne stavo ancora a letto quando sentii un trambusto pazzesco provenire dal retro di casa. Urla che non avevano a che fare con quelli degli esseri umani, voci che mi chiamavano, proprio me, gridando il mio nome. I miei genitori, fortunatamente a casa entrambi, entrarono in camera mia visibilmente spaventati. Pensavano di trovarmi a letto ed invece io stavo già prendendo la porta  per uscire in cortile con la mia scatola in mano. Quando scesi mi trovai davanti un mostro, una sorta di essere con tre teste ricoperto di squame, con tre occhi sulla testa centrale e una lunga criniera che partiva dal centro della fronte. Le altre due teste erano completamente ricoperte da squame con delle gemme blu e luminose poste al loro centro. Si muoveva contorcendosi sull’erba, sputando un liquido verdastro e strabuzzando gli occhi, mi ricordava tantissimo una lucertola a cui viene strappata la coda. Appena si accorse della mia presenza si tirò in piedi, tutto dritto: era altissimo e non aveva a che fare con gli spiriti visti fino a quel momento. Neanche parlava, sibilava la solita cantilena incomprensibile e appiccava il fuoco agli alberi del mio cortile. Questa confusione aveva attirato il nonno, che osservava il tutto da dietro casa sua, pronto ad intervenire qualora succedesse qualcosa di pericoloso… bé, ovviamente più pericoloso di quanto non fosse già la situazione. Mio padre e mia madre stavano sulla porta, dietro di me, suggerendomi cosa fare: papà voleva che mi trasformassi, come se lo decidessi io, e la mamma semplicemente piagnucolava qualche incantesimo al mostro. Io ero impalata davanti all’essere, non sapevo proprio cosa fare. Alla fine il mio potere non veniva fuori e non potevo neanche attaccarlo con la mia scatola. Fatto sta che dovevo darmi una mossa e, mentre le mie orecchie ascoltavano la cantilena della mamma, iniziai a ripeterla, come se una parte di me la sapesse a memoria. Adesso, a mente fredda, mi viene da dire che forse è il caso che mi metta lì a studiare questa specie di dialetto stregonesco. Comunque, come iniziai la recita di quella formula, il mostro si incavolò ancora di più, però rantolava e si era nuovamente messo a terra, come se stesse bruciando su una graticola inesistente. Mi avvicinai a lui imponendogli le mani e notai che, accanto a me, c’era mia madre, trasfigurata nel suo antico potere. Neutralizzammo il mostro, rimasero nell’erba le gemme delle altre due teste, le raccogliemmo e decidemmo di tenerle al sicuro in casa.

La mamma non aveva dubbi:era stato mandato dalla sua famiglia, quel mostro che assomigliava tanto a quelli che spuntavano nel passato, ai tempi della guerra con i discendenti delle Fate Bianche. Era la prova che Vlore e Olaf stavano preparando un nuovo conflitto. La mamma chiamò il nonno , che aveva continuato ad osservare tutta la scena dal suo cortile. Anche lui era d’accordo con quanto detto dalla mamma, però non se la sentiva di dirlo agli altri Vegliardi. Evidentemente, pensai, non se la sentiva di essere preso in giro un’altra volta dai Brusaporti.

Intanto che la mamma preparava il tè, eravamo tutti un po’ agitati, ero scappata di sopra a farmi una doccia e a vestirmi. Avevo combattuto il mostro con un pigiama con i coniglietti rossi stampati sopra. Ridicolo eh? Mentre asciugavo i miei capelli percepii Shamandala nella stanza: aveva visto tutto. Senza fiatare poggiò la sua mano dalle dita lunghe sulla mia spalla e subito ci ritrovammo nei pressi di una cascina, che sembrava poggiata su una collina. Era in rovina, sembrava che qualcuno, dal suo interno,se avesse starnutito avrebbe buttato giù tutto, per intenderci, le implosioni degli ecomostri che fanno vedere a Blob ogni tanto. Capii subito dov’eravamo e Shamandala mi fece cenno di non dire nulla. Aveva fatto un incantesimo, eravamo invisibili e non emanavamo odori, o meglio, io non puzzavo come un essere umano! Ci tenni a precisare che avevo appena fatto la doccia ma lei mi prese per mano e in un attimo fummo in un angolo di una stanza polverosa e umida, con ragnatele spesse di anni che penzolavano giù dal soffitto, ampolle con miscugli strani allineate su mensole attaccate ad un muro, dalla quale si staccava una carta da parati gialla. L’ambiente era reso polveroso anche dalla luce fioca che filtrava dai vetri sporchi e dalle candele, ma la cosa che mi sconvolse fra tutto questo fu il vedere i miei nonni, Vlore e Olaf, troneggiare su delle poltrone sopra un tavolo di legno massiccio al centro della sala. Me li immaginavo enormi,invece erano due vecchietti magrissimi, quasi arrampicati sulle loro poltrone. Olaf aveva una barba candida lunghissima e intrecciata. Mani nodose e occhi meravigliosamente blu. Vlore aveva i capelli intrecciati in una crocchia rosso fuoco, le mani ingioiellate, un abito nero pieno di pizzi sui seni. In mano teneva una sorta di scettro d’oro, sul quale, in cima, era posto un piccolo globo di vetro che, diceva Shamandala, conteneva le anime dei discendenti delle Fate Bianche. Al loro cospetto, ad un’altra tavola a forma di stella a cinque punte, stavano sedute tre donne, tra loro identiche, tranne che per il colore dei capelli, ed identiche a mia madre, con accanto i loro compagni. Ognuna di loro portava un mantello che ricopriva loro le spalle e dei gioielli enormi, come a simboleggiare i poteri che le caratterizzavano. Erano tutti in silenzio: sentii il pensiero di Shamandala, sicuramente attendevano ospiti e questi ultimi non si fecero attendere molto. Nella sala si aprì un cerchio di fuoco da cui uscirono tre persone, che io riconobbi subito guardando il viso di ciascuno. Mi voltai verso Shamandala ma lei, sempre facendo cenno di tacere, pressò le dita sulla mia bocca proprio nel momento in cui mi stava per uscire un’imprecazione. Non mi aspettavo proprio di vedere il tridente dei Brusaporti: Vegliardo, Cacciatore e Cavaliere. Sentii il pensiero della mia compagna, era per questo che lei non vedeva che un muro di nebbia, avevano nascosto i loro intrallazzi tramite la magia nera.

I Brusaporti omaggiarono gli stregoni, si sedettero su delle poltrone comparse dal nulla e cominciarono a discutere. Era una trattativa: i Brusaporti non avevano di certo perso il vizio, volevano neutralizzare i Vegliardi e imporre il loro potere sull’umanità, ovviamente con l’aiuto degli stregoni. Vlore e Olaf ascoltavano in silenzio, era ovvio che l’ultima parola sarebbe spettata a loro e quando il Vegliardo, quel giovane arrogante, finì di parlare, nessuno fiatò. Le figlie continuavano a guardare i loro ospiti con fare invadente. Vlore e Olaf si fissarono per qualche istante e poi dissero che sì, l’offerta era interessante, ma che ci volevano pensare. I Brusaporti rimasero spiazzati, forse credevano che gli stregoni avrebbero accettato subito. Si alzarono in piedi e, senza che avessero il tempo di salutare, Vlore batté lo scettro sul tavolo e loro sparirono. Pensavamo che si aprisse il dibattito fra gli stregoni e invece non fu così, le figlie se ne andarono con i loro compagni e Vlore e Olaf rimasero seduti l’uno accanto all’altra, bisbigliando qualcosa che non riuscivamo a capire. Shamandala mi prese per mano e ci ritrovammo nel mio bagno. La strega era scomparsa ed io corsi subito a raccontare quanto avevamo visto. La mamma iniziò a piangere, singhiozzava asciugandosi le lacrime con uno strofinaccio, mentre mio padre aveva cominciato, come al suo solito, a dire parolacce per scaricare il nervoso. Il nonno era invece in silenzio, seduto, con un’impressione tesa e i nervi tirati come cordoni. << Cosa facciamo?>> chiesi, ma nessuno mi rispose. Non ci pensai a ripeterla, la domanda, mi alzai e andai a bere dell’acqua. Ricordai che però in quella settimana ci sarebbe stata una riunione. Lo dissi, aggiungendo che forse si poteva fare in modo di svergognare i Brusaporti denunciando il loro gioco. Il nonno non era d’accordo. << No e sai perché? Perché sicuramente staranno lavorando per avere altri Vegliardi con i loro rispettivi clan dalla loro.  Non è detto che vogliano prendere il potere con la forza: se gli stregoni dicono di no al loro progetto i Brusaporti, se vogliono davvero comandarci tutti a bacchetta, devono arrivare alla meta in qualche altro modo. Dobbiamo studiare le loro mosse. E’ probabile che cerchino di lavorarsi gli altri per avere un po’ di persone in più per allearsi con gli stregoni…dobbiamo pensarle proprio tutte.>>. Papà, che finalmente aveva smesso di imprecare, era d’accordo e lo stesso la mamma. Va bé, mi sarei regolata di conseguenza a ciò che pensava il mio clan.

Solitamente non sono il tipo di persona che accetta quanto le viene detto senza fiatare, anzi. Sono molto polemica, fin da bambina infatti, quando la maestra ci diceva che gli alberi avevano le foglie verdi a causa della clorofilla, io alzavo la mano e iniziavo a sostenere la tesi che esistevano degli omini verdi che di notte coloravano le piante. Ricordo che ero anche convincente. Ma questo non era un caso da scuola elementare: quanto aveva detto il nonno mi era parso ragionevole perciò non era il caso di farla tanto lunga. Mi ero preparata un sacco per quella riunione. Mi ero esercitata a non fare smorfie, boccacce, a non strabuzzare gli occhi quando sentivo qualcosa di allucinante. Ero decisamente preoccupata, la tensione in casa mia si poteva tagliare con un coltello, benché la mamma cercasse di stemperare il tutto con torte e manicaretti. In più, altra cosa che mi faceva andare fuori di testa, era la latitanza di Shamandala: avevo bisogno della sua presenza algida accanto a me. Doveva aiutarmi. Non si era fatta vedere neanche quando mio padre, mio nonno ed io eravamo all’ingresso del castello. Cavolo, mi sudavano le mani e quando vidi passare il Vegliardo dei Brusaporti, che faceva lo spaccone e mi aveva rifilato un’occhiata da splendido, ecco che mi veniva voglia di spaccargli il muso. L’assemblea dei Vegliardi dell’Ultima Notte iniziò e questa volta noi Cacciatori ce ne stavamo seduti sulle panche con i Cavalieri. Io e mio padre cercavamo di non farci sfuggire niente: occhiate, sorrisi e quant’altro. Ogni tanto ci guardavamo, ma non è che si capisse molto. Intanto i Vegliardi proseguivano con la loro riunione, bilanci, particolari avvenimenti  accaduti nei territori, nuove candidature e altre faccende. Tutto si svolgeva al solito modo, senza che niente potesse attirare la nostra attenzione. Ad un certo punto però vidi che dall’altra parte della sala si trovava Shamandala, con un sorrisetto enigmatico. Lei non poteva essere vista dai membri degli altri clan e, sempre sorridendo, si avvicinò al giovane Vegliardo: gli fece un incantesimo e dalle sue tasche venne fuori un pezzo di carta, che si frantumò prima che lui potesse accorgersi di qualche cosa. Entro breve tempo fummo di nuovo sulla via del ritorno a casa. Il nonno parlava delle sue impressioni e, insieme al papà, tirava le somme dell’incontro. Aveva spiato il giovane Brusaporti ma  lui, che non era di certo uno stupido, era stato in grado di non tradirsi. Arrivati a casa, nel vialetto, il nonno trovò Shamandala: le si ricompose in mano il pezzetto di carta che aveva rubato al giovane e lo mostrò. Il nonno neanche fiatò e ci invitò a seguirlo. Entrati in casa sua scendemmo nella cantina dove teneva le provviste e, dietro ad uno scaffale, si aprì una porta. Era la prima volta che vedevo questa entrata segreta, benché non entrassi spesso nella cantina del nonno. Era una parte della sua casa che mi aveva sempre fatto paura. Rimasi davvero sorpresa quando dentro ci trovai, oltre che Shamandala che, come sempre, ci aveva preceduto, il nostro avo, Idropante Capofreccia, seduto comodamente su una poltrona. Appesi al muro cimeli di famiglia che però non ebbi tempo di guardare poiché, appena entrati nella stanza misteriosa, la porta si chiuse dietro di noi. Shamandala si mosse in una danza recitando una di quelle sue cose incomprensibili e, appena finito, disse che potevamo parlare liberamente, quell’incantesimo ci aveva isolato dal resto del mondo e neanche gli stregoni avrebbero potuto sapere cosa avremmo detto. Il fatto era questo: durante la riunione Shamandala aveva capito che gli stregoni controllavano la situazione. Poi porse il foglietto del giovane Vegliardo al nonno. Lui lo esaminò grattandosi la testa e poi lo fece vedere a mio padre. Idropante, come al solito, si limitava ad osservare quanto accadeva.

<< E’ una lista.>> disse il nonno << Pare che i Brusaporti vogliano portare un bel po’ di persone dalla loro parte. Chissà quale argomentazioni porteranno a loro favore…sapete, sono proprio curioso!>>

<< Dunque bisogna prepararsi ad un conflitto vero? Cavoli, avevo ragione da subito!>> esclamai. Forse quello che mi mandava su di giri era il fatto che avevo azzeccato una previsione. Papà domandò cosa si poteva fare. Il nonno ci pensò qualche minuto e poi disse: << Per ora aspettiamo ed osserviamo la situazione come si evolve. Ricordate che non dobbiamo aspettarci niente, questa lista potrebbe essere composta da nomi di persone da convincere, oppure da persone già convinte pronte ad essere schierate con, oppure contro, gli stregoni. Sapete, l’ho già detto, non abbiamo che indizi in mano, dei segni, che possono voler dire tutto e tutto il contrario. Noi non possiamo fare altro che tenere gli occhi e le orecchie aperti e tu, Isa, in più ti eserciterai con tua madre e Shamandala per sviluppare i tuoi poteri.>>. Idropante annuì e per la prima volta sentii il suo pensiero. Diceva che era tutto in mano mia, di darmi una mossa. E poi, come al solito, scomparve.

Aiuto…non sapevo che dire, anche se fare questa cosa mi interessava. Magari avrei anche imparato la lingua degli stregoni, sarebbe stato utile.

Usciti dalla stanza segreta del nonno la strega ci fece un altro incantesimo: ora le nostre case erano sotto una sorta di campana magica. In questo modo nessuno avrebbe scoperto a quanto stavamo lavorando. Inoltre il nonno ordinò a Shamandala di non abbandonarmi mai, almeno finché non sarei stata in grado di difendermi da sola. Lei annuì e poi mi guardò: sembrava  che sorridesse e poi mi sussurrò, con una nota di divertimento nella voce, che per me sarebbe iniziato il carcere duro. Cosa intendeva?

Roberta Lilliu