IL LADRO DI BAGDAD

SCHEDA TECNICA
Titolo originale: The Thief of Bagdad
Anno: 1940
Regia: Ludwig Berger, Michael Powell e Tim Whelan
Soggetto: dal racconto omonimo delle Mille e una notte
Sceneggiatura: Miles Malleson e Lajos Biro
Fotografia: George Perinal e Osmond Borradaile
Montaggio: Charles Crichton
Musica: Miklos Rozsa
Effetti Speciali: Lawrence Butler, Jack Whitney, W. Percy Day, Tom Howard, Ferdinand Bellan, Frederick Pusey e William Cameron Menzies
Produzione: Alexander Korda, Zoltan Korda e William Cameron Menzies
Origine: USA-GB
Durata: 1h 46’
 
CAST
Sabu Dastagir, John Justin, Conrad Veidt, June Duprez, Rex Ingram, Miles Malleson, Morton Selten
 
TRAMA
Nella fiabesca Bagdad si aggira il principe cieco Ahmad con il suo cane. Accolti dalle ancelle di corte, l’umile Ahmad narra di essere stato un tempo sovrano della città ma nel tentativo di comprendere le reali esigenze del suo popolo, spinto dal consiglio del visir-stregone Jaffar, si era travestito da mendicante finendo in prigione, non riconosciuto e bollato come pazzo dallo stesso Jaffar, che prende il potere. Ahmad incontra in cella il simpatico ladro Abu e con lui riesce a fuggire, finendo nel corteo che porta a palazzo la Principessa, figlia del sovrano di Bassora. Il giovane si innamora di lei, ricambiato, ma Jaffar ha le stesse mire, oltre che l’intenzione di estendere i suoi domini, e con l’inganno spinge il sultano, collezionista di giochi meccanici, a cedergli la figlia in cambio di un cavallo artificiale in grado di volare. Per eliminare Ahmed e Abu, rende cieco il primo e trasforma in un cane il secondo, dividendoli. Quando il sultano rifiuta di cedere la figlia, Jaffar lo fa uccidere da una statua meccanica. Abu finisce su una spiaggia deserta, dove trova l’ampolla del gigantesco genio Djinni che gli permette di esaudire tre desideri. Il giovane affronta un ragno gigante nella sua tela e dopo aver recuperato una gemma dal cranio della colossale statua di un tempio lontano, che gli consente di vedere ogni cosa, si riunisce a Ahmad, permettendogli con l’ultimo desiderio di tornare a Bagdad, dove è fatto prigioniero da Jaffar e condannato a morte assieme alla principessa. La giovane ritrova la memoria cancellata dal visir vedendo il giovane. Abu salva ancora la situazione: dopo aver incontrato i Saggi del Mondo della Fantasia, che tornano in vita grazie alla sua purezza, il ladruncolo vola su Bagdad su un tappeto volante, libera Ahmad e la principessa e uccide con un dardo Jaffar, scappato in volo sul cavallo meccanico. La città saluta i due sposi, ma Abu preferisce volare verso nuove avventure.
 
 
NOTE

Nato come rifacimento della pellicola omonima del 1924 diretta da Raoul Walsh e interpretata da Douglas Fairbanks, questo film diretto a sei mani dal trio Berger-Powell-Whelan può davvero considerarsi un capolavoro del cinema, non solo di genere. Ben poche produzioni possono vantare un equilibrio ed un amalgama così perfetto tra racconto avventuroso-esotico, fantastico e fiabesco, con personaggi azzeccati, trama avvincente e sempre in grado di stupire, trucchi ottici e meccanici ancora oggi gradevolissimi e strabilianti in quel periodo, fantasia a briglia sciolta e splendide scenografie ed ambientazioni. Fortemente voluto dai fratelli Korda, che ne hanno impresso una impronta indelebile ciascuno di suo e rispettivamente sul lato pittorico scenografico grazie a Vincent, su quello esotico grazie a Zoltan e su quello organizzativo grazie ad Alexander, senza scordare il fondamentale apporto di William Cameron Menzies, straordinario scenografo poi passato alla regia, Il ladro di Bagdad è una favola fantastica rivolta ad un pubblico senza età, non solo quindi ad una platea di adolescenti (nella storia vi sono diverse morti, ferite a vista nei duelli, un impressionante omicidio compiuto da una bambola meccanica), che contiene in sé tutte le istanze del genere fantasy: eroi e malfattori, re e regine, paesaggi favolosi e terre perdute, stregoni e creature mostruose, demoni ed esseri artificiali, il tema della ricerca, amore e magia, un anelito al recupero della semplicità delle origini e dell’innocenza dell’infanzia, filtrato attraverso il potere “vivificante” della fantasia, quasi un atto di fede (le sequenze in cui Abu incontra i Vecchi Saggi pietrificati, da lui riportati in vita). Fondamentale l’apporto del colore, della musica e soprattutto della scenografia, ora stilizzata ed imponente, ora barocca e particolareggiata. Anche gli interpreti sembrano in stato di grazia: splendido il Jaffar di Conrad Veidt, indimenticabile il genio di Rex Ingram, spontaneo e credibile l’Abu interpretato dall’attore indiano Sabu. Girato per due anni in Inghilterra, poi allo scoppio della guerra passato negli USA, dove le locations del Gran Canyon e lungo il fiume Colorado hanno sostituito gli originali set naturali di Egitto, Arabia e Nord Africa. Una pellicola memorabile, senza tempo, vincitrice di tre Oscar: miglior fotografia, miglior scenografia, migliori effetti speciali. Due remakes, entrambi mediocri, diretti nel 1960 da Bruno Vailati e nel 1978 da Clive Donner, del 2003 è invece il sequel diretto da Dutchen Gersh.

07/11/2007, Michele Tetro