LA RAGAZZA SUL MAGGIOLONE GIALLO 02

Giugno 2012

Il paese di Strella conta meno di cento anime. E’ una frazione ingrigita e dimenticata, facente parte del comune di Olcenengo. E’ a un tiro di schioppo da Vercelli, capitale italiana del riso, provincia sonnolente della sonnolente Pianura Padana. Una frazione ad un bivio nascosta dai pioppi, un fazzoletto di case basse che sembrano disabitate. Ad un automobilista che passi la notte, Strella potrebbe addirittura sembrare soltanto un abbandonato complesso di cascine.

Uscendo da Olcenengo e voltando a destra al primo bivio, ci si imbatte nel cartello del paese; la strada corre dritta come una bava di metallo e divide il paese in due. Le case sono fatiscenti, con i vetri sporchi e le ringhiere arrugginite; alcune sono abbandonate. Di tanto, ci sono degli svincoli lungo la strada, ma sono solo pochi metri di asfalto che si vanno a buttare nei campi, o in qualche piccola fattoria. Dopo aver percorso settanta metri dall’ingresso nel paese, si incontra la trattoria, unico esercizio commerciale del posto. Poi, ancora case e case, fino a che la strada non perde il suo manto d’asfalto per farsi sterrato e sparire nella campagna.

I pochi abitanti del paese che non abbiano superato la soglia della vecchiaia si ritrovano alla Trattoria I due galli. D’inverno, la trattoria è un antro buio e odoroso di tabacco (eh, qui le leggi sono dure ad attecchire…), mentre d’estate il gestore può comodamente occupare il suolo pubblico con generosi tavolini di plastica, attorno ai quali gli avventori del locale prendono posto, a bere caffè, giocare a carte, mangiare qualche fetta di salame, chiacchierare in santa pace.

In questo pomeriggio d’estate, ad occupare come tanti altri pomeriggi i tavolini esterni della trattoria, si trova un gruppo di amici. Si tratta di un esiguo numero di superstiti che si rifiuta di abbandonare il paese natio. Coloro che sono nati a Strella, infatti, hanno finito presto o tardi per prendere il largo, in cerca di un lavoro, di una compagna di vita, di un marito, o, semplicemente, in fuga da un paese minuscolo e in via di spopolamento. Loro, invece, non hanno mai inforcato la strada che porta fuori da Strella, almeno non in maniera definitiva. Chi per necessità, chi per comodità e chi per paura, hanno finito per continuare a vivere in questo borgo in esorabile estinzione, con tutti i pregi e i difetti che una tale scelta potesse comportare.

Nuccio, i lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, seduto al tavolo con aria disinvolta, è un omone di trentacinque anni che vive ancora con i genitori. Appassionato di film girati a basso costo, si è sempre disinteressato del proprio futuro lavorativo. Lo salvarono le poche conoscenze che i suoi genitori potevano vantare: due anni fa ha trovato posto come guardiano di notte alla stazione ferroviaria di Olcenengo, ormai in disuso.

Seduta al fianco di Nuccio c’è Anna, una giovane donna di ventisette anni, magra e di una bellezza consumata. Ha occhi sottili e stretti come due binari del treno, un naso appuntito e la carnagione pallida. Con Nuccio ha da alcuni anni una storia sentimentale, una relazione sospesa tra amicizia e amore, un legame complicato dal suo lavoro: la prostituta. Anna si trovò orfana a soli due anni e crebbe con il nonno, suo unico e ultimo parente, a Strella. Quando anche il nonno se ne andò, la ragazza aveva diciotto anni, neanche un soldo in tasca e nessuna conoscenza del mondo al di fuori del paese. Tutto ciò che sapeva di quelle città piene di luci che ruotavano attorno come lente meduse nelle notti della pianura, era che i ragazzi con la grana venivano sulla strada di campagna che collega Olcenengo a Quinto, per trovare le lucciole. Anna, che allora aveva un viso fresco e due occhi che ti inchiodano ai tuoi istinti più bestiali, non ci mise molto a farsi buono il pappone di turno e a trovare un posto sulla strada delle lucciole.

Il migliore amico di Nuccio è Cristiano, un ventottenne che non ha mai lavorato un’ora in vita sua. Poco tempo fa, quando Cri ancora si dibatteva nel provare a finire l’università, una sua zia morì, lasciandogli un milione di euro tondo tondo. Il nostro uomo ha incassato la somma senza fare grossi festeggiamenti, ma da allora non ha mai più pensato a cosa fare della sua vita. Vive in una cascina sfasciata all’ingresso del paese che si è comprato non appena ha incassato il gruzzolo. Passa le giornate a prendere il sole, a guardare la tv, a giocare alla playstation. Il suo unico impegno fisso è costituito da Elisa, la sua ragazza di sempre.

Elisa è la classica ragazza di buona famiglia. Ha un anno in meno di Cri, due occhi grandi e un’aria da cerbiatto indifeso. C’è poco da dire su di lei: l’unico obiettivo della ragazza è convincere Cri a sposarla e condurre una vita regolare, con tanto di lavoro, figli e casa con giardino.

Il gruppo è completato da Gianni, un tizio di trent’anni silenzioso e senza grilli per la testa. Basso, con un fisico ben proporzionato e una testa rotonda, è il tipico paesano che non è mai uscito dal suo ambiente. Lavora come bidello alla scuola di Olcenengo e vive nella piccola casa di suo padre, da quando il vecchio se ne è andato. Da giovane, Gianni era una promessa del calcio: sarebbe dovuto diventare una grande mezzala sinistra. Dribbling, cross, fantasia, tocco di palla, tiro, grinta: Gianni aveva tutto per sfondare, arrivare alla Juve o al Milan, lasciare quel buco di paese. Poi arrivò quell’infortunio e Gianni buttò via gli scarpini e bruciò il poster di Adrian Mutu

Il sole sta per appiattirsi sotto le risaie, l’acqua sottile dei campi rigetta in aria gli ultimi raggi. Presto la pianura resterà immobile nel buio. Tra qualche ora Anna sarà in piedi ad aspettare i ragazzi con la grana sulla strada delle lucciole.

(2 – continua)

Daniele Vacchino