LA CADUTA

Sabrina Crivelli è laureata in materie economiche, di mestiere fa l’analista finanziaria, ma non disdegna le lettere classiche, visto che la sua seconda laurea è in tale materia, indirizzo artistico. Studiosa di arte e cinema, dirige Il Cineocchio (rivista digitale) e lavora per Nocturno, ma riesce a trasmettere emozioni anche usando un genere letterario molto classico come il poemetto.

LA CADUTA (100 pagine; 12 euro; Armando Siciliano Editore) si presenta bene sin dalla copertina, perché il Mefistofele protagonista della lirica è disegnato da Sergio Gerasi (Male riflesso, è il titolo dell’opera pittorica), autore Bonelli per Dylan Dog e altri personaggi interessanti. Il poemetto ricorda il percorso dantesco e l’opera di Eliot, ma anche Il maestro e Margherita di Bulgakov e il Faust di Goethe, citando nella parte centrale la leggenda di Dracula e la vera storia di Vlad Tepes, detto l’Impalatore.

Sabrina Crivelli racconta – tra poesia e prosa poetica – il cammino dell’uomo, le sue cadute, il suo percorso tortuoso, gli ostacoli da superare nel correre del tempo. Mitologia, storia, poesia, letteratura, arte, tutto finisce per comporre un’opera intensa ed evocativa, che non si presta a un commento quanto a un’attenta lettura per assaporare ogni frase di una composita struttura lirico – narrativa. Sabrina mette in poesia gli archetipi del Male, i peccati capitali, i destini umani e le inevitabili cadute lungo il percorso della vita.

Abbiamo avvicinato l’autrice per avere una sorta di dichiarazione autentica e per approfondire i motivi che l’hanno condotta a scegliere la forma letteraria del poemetto. Ecco la sua risposta: “Al giorno d’oggi la poesia nell’immaginario collettivo è percepita come lirica, componimenti spesso in verso libero. Al contempo gran parte degli autori, anche con risultati eccelsi, hanno scelto di esprimersi in questo modo. Tuttavia, c’è nella tradizione, classica, come nella grande letteratura italiana (intendo soprattutto l’opera di Dante, di Ariosto, del Pulci e così via) una versificazione differente, che unisce il narrare all’utilizzo di una forma più normata, l’endecasillabo. Si tratta di una forma musicale, in cui la parola e il suo suono si fondono al significato e cullano l’ascoltatore, come accadeva con gli antichi aedi. Credo fortemente nel potere vibratorio della lingua, che va assai oltre al significato stesso dei singoli vocaboli, così ho scelto di scrivere un poemetto, che potesse racchiudere la possibilità di sviluppare una diegesi in maniera estesa, come d’altro canto è proprio del romanzo e allo stesso tempo avere quella musicalità, quell’estrema attenzione alla parola, proprie della poesia. Per questo il poemetto. In realtà si tratta di un prosimetrum, dacché i dialoghi sono in prosa, questo per dare drammaticità allo sviluppo, allo scambio verbale”.

Non resta che leggere qualche verso.

 

Poi la Tenebra d’un tratto gli parve

estremamente familiare, quasi

piacevole. Avvolgente cullava

il suo corpo, fattosi debole, e

la sua mente, più acuta che mai.

Tutto gli parve chiaro. Una forza,

una incredibile forza nacque

dall’odio, la vide davanti a lui,

lui che da anni era reso cieco

dalla costante tenebra. Ora Lei,

proprio Lei, gli permetteva una vista

sovraumana. Così gli apparve.

Un lungo mantello scuro copriva

il suo corpo nudo, di un candore

accecante. Sul capo un cappuccio.

Aveva occhi gialli, ammalianti e

ferini, e lunghi capelli fulvi.

 

Posso entrare? Certo mia Signora!

Mi hai chiamato … Mi sbaglio? E come potreste?

 

La donna sorrise soddisfatta,

poi gli accarezzò il polso e il collo.

 

Sai perché sono qui, vero? Certo, mia Signora!

 

Se ne stupì. Come poteva? Era

una voce dentro di lui, oppure

un’arcana memoria, o un istinto

feroce, di cui la Tenebra s’era

nutrita in quegli anni, divenendo

sempre più forte ed ora era lì.

 

Sei pronto? Ancora un istante, ve ne prego …

 

Un istante per rivivere la sua

umanità, quella poca che gl’era

rimasta. Un’ultima volta la sua

immagine. Elisabetha. Lei, poi

una notte eterna nei suoi occhi.

 

Bene. Sono pronto all’oblìo …

 

È un patto di sangue, questo con me, ma credo tu lo sappia …

 

Sì ed è per l’eternità. Allora porgimi i polsi e poi sarai libero … Libero, finalmente …

 

Gli graffiò la pelle. Un artiglio. Fu

appena percettibile. Poi sentì

il calore del suo sangue. La vide.

Lo versava in una coppa d’oro,

sopra, sparsi, dei rubini tagliati

a goccia brillavano di un rosso

intenso. Lei si tagliò il polso e

allo stesso modo il suo fluido

vitale, di un colore più cupo,

fluì nell’aureo contenitore.

Un lieve vortichìo della mano e

lo porse piano all’uomo, lui bevve.

Gordiano Lupi