PAESAGGIO VERCELLESE CON ZOMBI 07 – PARTE 01

7.

EXQUISITE MAYHEM

1.

L’esplosivo era contenuto dentro dei panetti bianchi attaccati a delle cinture da caccia.

I fratelli Inzirillo misero le cinture a tracolla. Una ciascuno.

Il terzo fratello spiò con un binocolo a infrarossi le case addormentate. Non vide un’anima.

Il primo fratello si allontanò per un sopralluogo. Sotto l’ascella teneva una fondina con una 9 mm.

Il terzo fratello girò attorno alla Lancia Dedra. Avevano parcheggiato a Ovest del paese, dietro ad una baracca di assi. Era una specie di rimessa per le legne. Il terzo fratello mise tra le labbra una sigaretta e aprì una portiera. Schiacciò l’accendino del cruscotto. Mentre aspettava, il primo fratello sparì oltre le case. Il secondo riprese la lettura dei fumetti. Un tic nervoso alla guancia sinistra gli alterò i lineamenti come un quadro di Braque.

L’accendino scattò in su.

Il terzo fratello mise la sigaretta di sbieco e tirò.

Una nuvola di fumo si liberò nella notte blu.

2.

Sandro, Rubino, Micol e Piero arrivarono da est. Un cartello stinto li avvisò di essere a Santagata. Una dozzina di case raccolte a croce e altrettante sparpagliate nel raggio di un chilometro. Superarono una chiesa rettangolare fatta di mattoni rossi, con un campanile alto quattro piani. Su alcune finestre videro brillare la luce delle candele. Superarono un altro cartello giallo con scritto:  ATTENZIONE POZZI ARTESIANI. Poi notarono le macchine ribaltate in mezzo alla strada. Parevano cavalli morti. C’erano vetri dappertutto e mucchi di spazzatura rovesciati.

Rubino fermò la macchina davanti ad una casa gialla a due piani. Dietro alla cancellata, l’edera cresceva lungo il frontone della casa. L’orto era stato abbandonato a se stesso. Sandro abbassò il finestrino. Alcune zanzare piroettarono dentro la vettura, ma nessuno se ne accorse. Erano concentrati sull’ingresso della casa gialla. Era spalancato, con la porta sfilata dai cardini e appoggiata contro uno dei muri.

- Boiafaus, cos’è, la fine del mondo?

Sandro si voltò verso il lottatore. Indossava il body giallo con gli stivaletti rossi ai piedi. In una mano stringeva la maschera.

- Ne sai qualcosa?

Piero scrollò il capo.

Micol accese una sigaretta.

- Non c’è un suono, – constatò eccitata.

Rubino e Sandro rimasero in ascolto. Era vero. Nessun rumore. Nemmeno il latrare dei cani. Rubino suonò il clacson. Due colpi in rapida successione. Non uscì nessuno.

- E quelle auto? – Sandro indicò le carcasse davanti a loro. Un paio di vetture erano bruciate. Rubino mise gli abbaglianti. Videro che tutta la strada era ingombra di rottami.

Il dark batté le mani. Era estasiato.

- Sembra un episodio di  Ai confini della realtà.

- Non mi piace, – Sandro scese dall’auto. A tracolla teneva la videocamera del lottatore.

- EHI, C’E’ NESSUNO? EHI! – gridò alla notte.

Rubino provò ancora col clacson. Altri due colpi. Lunghi e profondi. Nessuno uscì dalle case. Attorno a loro non c’era una luce. Nemmeno i lampioni funzionavano. A parte gli abbaglianti della Escort, c’era solo oscurità e silenzio.

Rubino scese dall’auto.

- Forse c’è stato un black-out, – disse, lisciandosi la cresta punk.

- E la gente?

- Figo! – squittì Micol sollevando il sedile.

Sandro si avvicinò alla cancellata gialla della casa.

Anche le altre abitazioni erano aperte e senza luci.

- Sarà meglio dare un’occhiata, – disse accendendo la videocamera.

Rubino lo seguì fischiettando.  Micol e Piero scesero dalla macchina.

- Davvero non ne sai niente?

Piero si guardò attorno.

- E’ la prima volta che vengo qui, – disse tranquillo.

Rubino lo affiancò.

- E il tuo avversario?

- Rimarrà sorpreso quanto noi.

Oltrepassarono la cancellata. Sotto ai loro piedi, l’erba piena di insetti si sbriciolò come biscotti. Alcune bottiglie di Corona spuntarono qua e là come fossili d’un’epoca remota.

Davanti alla soglia si fermarono un’ultima volta.

Alle loro spalle, la Ford rumoreggiava rassicurante.

- Giusto un’occhiata, – bisbigliò Sandro.

Una strana inquietudine gli era entrata sotto pelle.

Micol e Rubino sorrisero come scolaretti indisciplinati.

Entrarono.

3.

La luna era una falce nel cielo nero.

Il primo fratello perlustrava il paese e pensava al fatto che a Settembre si sarebbe sposato. Con la sua Maria. La sua fedele Maria. Allora avrebbe fatto una festa monumentale e nessuno a Bagheria sarebbe riuscito a dimenticarla. Gli invitati in frac avrebbero portato buste color crema gonfie di denaro per gli sposi. Una vecchia usanza. Una segno di rispetto. Qualcosa d’altri tempi. Le matrone ubriache si sarebbero ingozzate sulle tavole imbandite. Un’orchestra di prima scelta. Musica. Balli. Bagheria tutta illuminata. Sarebbe stato qualcosa di grande. Qualcosa d’altri tempi. Si vide con le spalle strette nella giacca del tight. Avrebbe scaldato con gli occhi la sua Maria, la più bella ragazza di Bagheria. Alla fine avrebbero attraversato la piazza del paese perché tutti potessero vederli, perché potessero abbassare la testa al loro passaggio. In segno di rispetto. Poi qualcuno avrebbe approfittato dell’occasione per chiedere qualche supplica ai suoi fratelli, ma anche quella era una vecchia usanza. Roba d’altri tempi.

Il primo fratello attraversò una delle stradine del paese ed entrò in un vicolo strozzato tra due case basse, identiche. Le case erano grigio seppia con un paio di finestre sprangate.

Sul fondo del vicolo c’erano dei sacchi neri della spazzatura. Dai sacchi traslucidi partì un bagliore metallico. Incuriosito, il primo fratello smise di pensare al suo matrimonio, si turò il naso e andò a vedere. Avanzò stando ben attento a non sporcarsi i calzoni. Con un piede rovesciò alcuni sacchi gonfi e maleodoranti. Una pila di cianfrusaglie si rovesciò sui ciottoli del vicolo. Lattine, bottiglie, assorbenti, riviste, avanzi di cibo e qualche abito. Un altro bagliore metallico. Il primo fratello sbuffò spazientito. Rovistò tra i detriti. Un altro luccichio. Un altro ancora. Il primo fratello alzò la faccia verso il cielo e respirò a fondo. S’inginocchiò sui talloni e aguzzò la vista. Ad un metro da lui, nel buio, un oggetto metallico splendeva attirando la sua attenzione. Si guardò attorno. Il vicolo era desolato. Nessun segno di vita. Quel paese pareva disabitato. Il primo fratello toccò il cinturone di esplosivo che portava di traverso sul petto. Sarebbe stato un peccato sprecarlo per quel posto; ma gli ordini erano chiari e, dopotutto, a lui non importava. Tornò a guardare tra i rifiuti. Dalla tasca prese una pila elettrica. Un piccolo occhio di bue illuminò il punto da cui veniva il bagliore. Era un orologio di grandi dimensioni, argentato, ed era allacciato al polso di una mano. La mano terminava poco sotto il polso.

Un osso e delle vene erano attaccate all’arto.

Il primo fratello balzò in piedi come un gatto dal pelo arricciato. Lasciò cadere la pila e sfilò la 9 mm dalla fondina. Girò su se stesso.

Un uomo bluastro e gonfio di liquidi lo fissò senza vederlo.

Il primo fratello rimase bloccato, incapace di reagire. L’uomo davanti a lui aveva la gola squarciata e la carotide gli usciva dal collo come una cannuccia rosea. L’uomo aprì la bocca, emettendo una specie di risucchio liquido. Il primo fratello alzò con lentezza la pistola. Cercò di premere il grilletto, ma l’uomo bluastro gli artigliò un orecchio. Il primo fratello avvertì la pelle fredda come metallo dell’uomo. Lo vide aprire la bocca. Una fila irregolare di denti marci. Ghignava e somigliava a una marionetta. L’uomo si chinò in avanti e affondò i denti nella spalla del primo fratello. Questi sentì un bruciore fortissimo irradiarsi dal deltoide. Vacillò indietro. Scivolò sulla spazzatura e finì col culo per aria. La 9 mm volò via. Con entrambe le mani tamponò la ferita. Getti di sangue caldo gli colorarono la faccia. In piedi, l’uomo bluastro mangiucchiò il pezzo di spalla: aveva un volto assente, da sonnambulo.

Il primo fratello cercò di gridare, rotolò coi gomiti sui sacchi neri. Altra immondizia gli finì addosso, macchiandogli il completo Carapaci da due milioni di lire. Cercò di alzarsi ma qualcuno lo tirò per i piedi. Altri volti inespressivi affollarono il vicolo.

Tutti vacui, sporchi, insanguinati. Color gesso.

I volti si chinarono su di lui. Protesero mani incartapecorite, con le unghie lunghe e nere. Gli sfilarono il cinturone con l’esplosivo.

Lo frugarono. Sulla pelle. Altri morsi. Sotto la pelle.

Il primo fratello riuscì a gridare. E fu un suono lungo, gutturale, disumano. Qualcosa d’altri tempi.

4.

- Cos’è stato?

Erano fermi sulla soglia. Sandro, allarmato, controllò i due lati della strada ma non vide nessuno.

- Cos’è stato?

- Sembrava un grido, – disse Rubino, per nulla impressionato.

- Avete sentito?

Il dark tornò alla Escort, aprì il bagagliaio e prese un punto luce.

I fari della macchina rischiaravano un pezzo di strada.

- Restiamo uniti, ok? – disse Sandro prendendo la torcia.

Oltrepassarono l’ingresso della casa gialla.

Dentro era buio pesto. Sandro cercò l’interruttore. Ne trovò uno appena dietro l’entrata. Schiacciò il pulsante ma non si accese nessuna luce. Allora usò la torcia. Avanzarono nel soggiorno. Sulla destra c’era una portafinestra che dava sulla strada. I vetri erano sporchi. Al centro del soggiorno c’erano delle poltrone di cuoio, un tavolo rettangolare di noce con delle sedie di legno e liste di cuoio. Sul tavolo, alcuni bicchieri e delle tazzine da caffè posate sopra un centrino di stoffa intrecciata. Lungo i muri, delle scaffalature di acacia, chiare, con centinaia di libri. Molti volumi erano finiti sul pavimento. Alcuni erano stati  strappati con furia da pazzi. Una porta a vetri tagliava in due il soggiorno. I vetri erano color fumo. Da dietro veniva una debole luminescenza azzurrina.

Micol e Rubino si spaparanzarono sulle poltrone e giocarono alla lotta. Sandro si accostò alla porta a vetri. Sentì un frusciare costante simile al rumore del vento. Aprì la porta.

- C’è nessuno?

Una stanza più piccola, con una grande poltrona semisferica, altri libri gettati sul pavimento, riproduzioni di Monet e Chagall incorniciate sui muri. Qualche quadro era finito a terra, spaccato. Un po’ avanzato rispetto alla poltrona, c’era un mobiletto di noce scura con sopra un Tv color di grandi dimensioni. Sandro non ne aveva mai visto uno così grosso. Il tv color era acceso. L’apparecchio non era sintonizzato su alcun segnale. Sullo schermo comparivano migliaia di puntini luce più o meno azzurri. I puntini vagavano impazziti dentro i quattro lati dello schermo. Non c’era alcuna immagine, solo quelle forme luminose, primordiali. Il volume della tv era bassissimo ed il fruscio era prodotto dall’effetto neve.

- Non è possibile, non c’è corrente, – Sandro smise di bisbigliare.

Si avventò sul televisore e tribolò tra i cavi.

- Guarda qui, – Sandro sollevò la testa dall’elettrodomestico.

Nel pugno stringeva i fili dell’alimentazione. Strappati.

- Che significa?

Piero scrollò la testa.

- Non ne ho idea.

Micol e Rubino entrarono nella stanza. Masticavano delle gomme.

- Giudafaus! – disse il dark.

Rimasero tutti e quattro a fissare lo schermo privo di immagini.

Sopra al televisore c’era una scatolina nera con dei tasti colorati lungo un fianco e un led rosso, lampeggiante. La scatola aveva le dimensioni di una radiosveglia ed era collegata al televisore. Rubino la sollevò senza staccarla e la mostrò agli altri.

- Cos’è?

- Un meter, – fece Piero.

- Che?

- Serve per la rilevazione dell’Auditel.

I tre ragazzi assorbirono in silenzio l’informazione, poi Rubino strappò il cavo e la scatola smise di lampeggiare. TLAC! Il televisore si smorzò. Immediatamente qualcuno gemette al piano superiore.

Fu una specie di lamento rabbioso seguito da un lungo risucchio.

Sandro si schiacciò contro la parete ed urtò un blocco di marmo ottagonale con sopra un telefono. Micol e Rubino smisero di masticare. Nessuno aprì bocca per parecchi minuti.

Il lamento non si ripeté.

Sandro tirò il fiato. I due dark ripresero a masticare.

Sandro illuminò la cornetta del telefono. La sollevò.

Non c’era segnale. In silenzio, tornarono nel soggiorno.

Micol individuò una scala di legno che saliva al piano superiore.

La scala era ovviamente al buio.

- Saliamo a vedere, – disse.

Sandro andò alla porta finestra. Fuori, la Ford Escort tossiva con tutte le luci accese. Poi puntò la torcia ai piedi delle scale.

Micol frugò le mille tasche del suo giubbino di pelle nera.

- Avete ancora sigarette?

Nessuno le rispose. Erano concentrati sul fascio della torcia.

Sul legno chiaro dei gradini, un liquido scuro gocciolava giù.

PLIC! PLIC! PLIC!

Il liquido ruscellava dal piano superiore.

Micol lo toccò con un dito e si ritrasse inorridita.

Come se non bastasse, l’alimentazione della torcia finì, lasciandoli nelle tenebre.

- Merda, – Sandro colpì il punto luce col palmo della mano, ma quello non volle saperne di riaccendersi.

- Usa la videocamera, – disse Piero col solito tono di voce controllato.

Sandro afferrò la tracolla della videocamera e tastò alla cieca. Durante il viaggio in macchina aveva cercato di prenderci confidenza. Individuò la rotellina d’accensione e ci schiacciò contro un occhio.

Attivò la camera per la ripresa. Le cellule frementi del buio invasero il monitor della macchina. Dopo selezionò la modalità di ripresa ad infrarossi. Subito il nero si diradò e delle immagini verdine, granulose, comparvero sul monitor. Il ragazzo puntò la videocamera verso i compagni. Micol e Rubino si frugavano in cerca di una sigaretta. Non erano spaventati, solo infastiditi e avevano gli occhi bianchi come i vampiri. Anche Piero aveva le pupille bianche.

Era l’effetto dell’infrarossi.

Micol smise di cercare. Inclinò la testa sulla spalla.

- Allora?

Senza staccare l’occhio dal mirino, Sandro avanzò verso le scale e indirizzò l’obiettivo verso l’alto. Gli infrarossi resero visibile solo un tratto della scala. Il resto rimase oscuro e impenetrabile.

Sandro abbassò la videocamera. Era confuso e cominciava a pentirsi di essersi fatto trascinare fin lì.

- Che facciamo?

I due dark sembravano troppo stanchi e ubriache per decidere.

- Non possiamo girare la macchina e andarcene, – disse Piero.

- Perché?

- Di sopra c’è qualcuno.

- Hai visto le macchine la fuori? Questo posto è abbandonato.

- Di sopra c’è qualcuno e perde sangue.

- Motivo in più per alzare i tacchi. Raggiungiamo il primo telefono e chiamiamo la pula.

- Mancomorto! Che si fottano gli sbirri! – disse Rubino.

- La città è troppo lontana.

Sandro ci rimuginò sopra. Erano in una brutta, brutta situazione e in qualunque modo la girasse gli sembrava sempre pessima. Comunque il lottatore aveva ragione. Non potevano andarsene così. Voleva l’avventura? Beh, era stato accontentato.

- Merda, – disse dopo un po’.

Sandro usò il mirino della videocamera per muoversi nel soggiorno. Oltre al tavolo di noce, c’era un camino incassato nel muro. Di fianco al camino una rastrelliera con degli scopini in ferro e un attizzatoio acuminato. Lo impugnò. Tenendolo davanti all’obiettivo, salì il primo gradino. I dark lo seguirono.

- No, voi tenete d’occhio l’auto.

Micol e Rubino risposero con un saluto militare e sbarellarono sui divani.

Sandro salì un altro gradino. Da sopra non venne alcun lamento.

- Meglio togliersi il dente, giusto?

Il sorriso del lottatore lo rassicurò come il ghigno dello stregatto in un pozzo senza luce.

5.

In cima alle scale vide una stanza sulla sinistra. Con l’occhio appiccicato al mirino della videocamera, Sandro spinse il battente con l’attizzatoio. Aspettò che il night shot decifrasse l’oscurità. Una tavola rotonda, delle sedie impagliate, un armadio a muro e dei vestiti buttati per terra. Nient’altro. Sulla destra c’era un corridoio stretto con della tela di iuta sui muri. Sul fondo vide altre due stanze. Il liquido scuro veniva dalla penultima. Il pavimento era così impregnato che sembrava di camminare su del fango molliccio. Sandro sentì i conati di vomito chiudergli la gola e dovette fermarsi. Da dietro, Piero parlò sottovoce.

- Vado avanti io.

Sandro scrollò la testa e deglutì. Era bianco e grondava sudore a litri. Indicò la videocamera.

- Preferisco tenerla, – disse schiacciando il tasto per la registrazione – Non si sa mai, – e abbozzò un sorriso poco convinto.

Al piano inferiore, i due dark canticchiavano She’s lost control dei Joy Division.

Sandro abbozzò un secondo sorriso, più convinto. Si sentiva come un naufrago dello spazio vicino alla meta più alta. Un’angoscia sottile mista a curiosità lo spingeva a continuare. Forse in quella casa era davvero successo qualcosa ma non poteva andarsene. Per tutta la notte aveva cercato il suo momento. Qualcosa di eccitante da fare, qualcosa che rompesse la monotonia. Per tutta la giornata non aveva fatto altro che girare a vuoto e ogni volta che s’era fermato aveva trovato sua madre ad aspettarlo. Sua madre e le sue follie. Se aveva seguito quello sconosciuto fin lì era stato solo per fuggire un’altra volta. Per ritardare l’inevitabile rientro a casa. Qualunque cosa ci fosse stata in fondo al corridoio non sarebbe stata più orribile di sua madre. Ne era convinto.

Ripresero ad avanzare. Meno di tre metri li separavano dalla penultima camera. Nel monocolo della videocamera identificò l’ultima stanza come un bagno. La porta era spalancata. Dentro non c’era nessuno. Si accostarono alla penultima stanza.

Il lamento riprese bassissimo, accompagnato da uno schiocco e un risucchio. Sandro si voltò verso il lottatore. Era ancora lì. Sulla sua faccia non vide timori. Se ne stava fermo dietro di lui, perfettamente a suo agio. Il simbolino della batteria iniziò a lampeggiare sul monitor della videocamera. Sandro imprecò a denti stretti e strinse l’attizzatoio fino a sbiancarsi le nocche.

La camera era quadrata, con una grande finestra ed un letto matrimoniale che la occupava quasi per intero. Il letto aveva delle spalliere di rame lucidate con cura. Un secondo lettino era messo di traverso ai piedi di quello matrimoniale. Il lettino aveva delle spalliere in legno rialzate con le listelle di legno. Sopra al lettino, una lanterna magica per bambini. La lanterna era costituita da un rullo cilindrico rotante fatto di plastica. Sulle pareti esterne erano ritagliate delle figurine antropomorfe. All’interno del rullo, una lucina gialla rischiarava le figure, proiettando delle ombre lungo i muri. Le ombre giravano con lentezza, animando le pareti con una luminescenza ferale. Figure fiabesche armate di scopa, uncini e corna mulinavano addosso ai due visitatori. La batteria della videocamera smise di lampeggiare e si spense. Sandro non se ne accorse nemmeno. L’oscurità della stanza era attenuata dalla luce della lanterna magica.

I due visitatori si guardarono attorno. Su delle mensole conficcate nel muro stavano appollaiate alcune bambole di porcellana. Le bambole avevano gli occhi spalancati ed esibivano abiti di velluto settecenteschi.

Sandro sentì i piedi zuppi e bagnati. Abbassò lo sguardo. Il liquido scuro ricopriva l’intero pavimento. Scorreva da sotto il letto matrimoniale. Il ragazzo si accostò ad una sponda.

Un altro lamento seguito da brevi strappi e schiocchi venne dalla sponda opposta.

Piero iniziò a raggirare il letto.

L’ombra di una strega strisciò dal muro al petto del lottatore, per proseguire il girotondo nel resto della camera. Sandro indietreggiò verso la porta. Abbassò la videocamera, ma non se la sfilò da dosso. In qualche modo si sentiva più protetto: era come se le piastrine fotosensibili continuassero a testimoniare la realtà che conosceva da sempre. Una realtà che non si sentiva ancora pronto a cambiare.

Al piano inferiore, Micol e Rubino continuavano a canticchiare.

Piero raggiunse l’altra sponda. Lì la trama del buio era ancora fitta.

Un odore pungente di escrementi e cibo guasto ammorbò l’aria.

Il lottatore aguzzò la vista. Davanti a lui, a terra, c’erano tre figure. Una immobile. Due no. Quelle in movimento erano una donna bionda, formosa e una bambina piccola identica alla donna. Entrambe avevano la faccia e le mani bluastre. Stavano mangiando un uomo dal colorito pallido, vestito di scuro, con degli occhiali neri messi di traverso sulla faccia. L’uomo era morto. La donna rosicchiava una mano, spolpando le falangi dai filamenti della carne. La bambina affondava le manine nel costato aperto dell’uomo.

Accanto al corpo c’era un fucile mitragliatore.

La donna e la bambina ruotarono la testa verso Piero. Avevano le bocche piene di carne e nervi e gli occhi appannati come quelli delle bambole. La donna bionda emise un risucchio e cercò di mettersi in piedi. Indossava una vestaglia gialla e rossa ed era scalza.

Ci impiegò un tempo lunghissimo.

Anche Sandro, dalla sua posizione, la vide emergere e avanzare verso il lottatore.

La donna teneva le braccia lungo i fianchi e camminava con rigidità. Un olezzo di marcio si levò dalla sua pelle gonfia e umida.

Sandro sentì la maglietta inzupparsi di sudore gelido. Un piccolo sfiato gli uscì dalla bocca. La donna bionda ruotò il collo nella sua direzione. Ci fu uno scricchiolio dei tessuti. Era come un manichino di stoffa, inamidato. L’essere roteò le pupille nere e annacquate e tornò a concentrarsi sul lottatore. Sollevò di scatto un braccio e gli si lasciò cadere addosso. Piero indietreggiò verso la finestra. Lei sputò i grovigli di carne dalla bocca e arricciò le labbra screpolate. Scoprì i denti. Piero le sollevò la fronte con entrambe le mani e spinse all’indietro la testa. Nel toccarla ebbe la certezza che era morta. Nonostante le movenze meccaniche, era solo un pezzo di carne senza vita e la pelle fredda aveva la stessa consistenza dei biscotti inzuppati nel latte.

- L’attizzatoio, usa l’attizzatoio, – gridò il lottatore, ma Sandro non reagì.

Impietrito, aspettò che la bambina caracollasse fino a lui e lo afferrasse al ginocchio. Il ragazzo si sentì invaso dalla paura. La paura portò le lacrime. Le lacrime sciolsero i muscoli. Allora calciò il viso della bambina. Lo calciò come un pallone. E urlò. Strilli acuti, femminili.

Dal pianterreno, il canticchiare ubriaco dei due dark cessò di colpo.

La bambina colpì la spalliera di rame e rimbalzò sul pavimento. Si rialzò subito. Il calcio le aveva asportato il nasino. Al suo posto un piccolo cratere scuro. Dalla ferita non uscì nessun liquido. La bambina non si preoccupò della cosa. Non pianse. Spalancò la bocca e mostrò i dentini frastagliati. Tornò alla carica. Sandro cercò di schivarla, ma finì su una pozza di sangue e cadde all’indietro. Picchiò la testa contro un comò di noce chiara. La vista gli si annebbiò e perse l’attizzatoio.

La bambina gli montò sul petto. Cercò di arrampicarsi verso il viso.

Nella camera entrarono i due dark. Per prima cosa videro la lanterna magica con le sue figure rotanti, Piero alle prese con la bionda e, infine, Sandro al tappeto con la bambina. Nessuno dei due accennò una reazione. Erano indecisi se scoppiare a ridere o altro, poi tornarono sul fagottino biondo mentre raggiungeva la faccia di Sandro e si chinava per morsicarlo.

- Uh, queste due chi cazzo sono, – esordì Rubino.

Il lottatore sferrò un pugno sulla tempia della donna e questa barcollò all’indietro. Non le diede il tempo di riprendersi e la colpì una seconda volta. La donna ruzzolò sul lettino, sfasciando le listelle. Con le braccia urtò la lanterna magica e le ombre sui muri oscillarono impazzite, aumentando la confusione. Il lottatore raccolse l’attizzatoio e lo piantò nel cranio della donna bionda. La fronte cedette come crosta croccante e il cervello spruzzò dal cranio con getti vaporosi.

La donna sforbiciò le gambe e smise di muoversi.

A quel punto Micol e Rubino cominciarono a gridare.

Ai loro piedi, Sandro piagnucolava  mentre la bambina schioccava le mandibole pronta a mangiargli un orecchio.

Piero gliela strappò di dosso e la scagliò contro la finestra.

CRASH!

Il vetro si sgretolò e la bambina precipitò nel prato con un tonfo sordo.

Il lottatore aiutò Sandro ad alzarsi. Il ragazzo non sembrava ferito.

A parte lo shock, stava bene.

- Hai visto i loro occhi? – mormorò Sandro fissando l’attizzatoio conficcato nella testa della donna bionda.

Piero indicò il corridoio.

- Usciamo da qui.

- Hai visto la loro pelle? Cos’aveva la loro pelle? – Sandro non accennava a muoversi.

Anche Micol e Rubino erano inchiodati sulla soglia.

- Era solo una bambina, – mormorò Micol, – solo una bambina, una bambina…

Rubino era ammutolito. In un lampo, il ragazzo strafottente e rissoso s’era volatilizzato.

Piero afferrò le spalle di Sandro e lo scrollò finché non ottenne la sua attenzione.

- Correte alla macchina.

Finalmente qualcosa scattò nella mente del ragazzo. Si asciugò le lacrime e lasciò la camera. Micol e Rubino lo imitarono. Piero rimase nella stanza. Durante la colluttazione aveva perso la maschera. Staccando la lanterna magica dal suo sostegno, fece un po’ di luce sul pavimento.

6.

Mentre scendevano le scale, nessuno parlò.

Micol continuò a sbiascicare qualcosa sulla bambina. Rubino si frugava le tasche in cerca di fumo. Sandro sfilò la videocamera ormai inservibile e la adagiò sui gradini. Dopo quello che aveva visto il suo mondo era andato in frantumi. Il suo nichilismo d’accatto, la sua indifferenza, la sua insofferenza per tutto e tutti erano scomparse. Quello che aveva visto lo aveva spaccato in due. Più che l’intera vita con sua madre. Le sofferenze che aveva vissuto non erano niente a confronto di quello. La realtà s’era aperta, mostrandogli quello che ci stava dietro. Morte! Pura, semplicissima, Morte. Ecco. Una madre, una figlia, anzi, una bambina. Cristo! La bambina non aveva neppure due anni. E i loro occhi. I loro sguardi. La loro pelle. La puzza. E quei movimenti da marionette stanche, senza carica. Stoppate. Dovette trattenere altre lacrime.  In quella camera aveva capito ciò che veramente l’angosciava: il pensiero conturbante e irreprimibile che lo seguiva ovunque, che lo rendeva inquieto. Finalmente aveva capito: non ci sarebbe stata nessun’altra vita per lui. Né a Milano. Né a Roma. Da nessun’altra parte del mondo. Ovunque fosse scappato, quella cosa l’avrebbe afferrato. La morte. Dolcissima e amara l’avrebbe preso.

Come la bambina, avrebbe avuto mani fredde. Occhi senza profondità. Si, Micol aveva ragione. Diventare come i propri genitori non era poi la cosa peggiore.

Arrivarono in fondo alle scale. In soggiorno.

Sulla soglia, confuse nel buio, c’erano altre ombre. Cinque o sei, forse più. E non accennavano alcun movimento.

Sandro, Micol e Rubino si arrestarono sull’ultimo gradino.

Le figure presero ad ondeggiare come piante di granoturco carezzate dal vento. Dalle loro gambe uscì una figura più piccola. L’ombra caracollò verso le scale. Era la bambina. Col suo buco al posto del naso. Gli occhi bui. La pelle guasta.

L’essere atteggiò le labbra in un rictus orribile e iniziò a mugolare.

Sandro riuscì a scuotersi. Evitò la bambina e prese una sedia dal tavolo di noce del soggiorno. Poi la picchiò contro i vetri della porta finestra. Un altro schianto. La sedia finì sul prato, spaccandosi in due.

Senza voltarsi, Sandro corse fuori, verso la macchina. Altre ombre pascolavano nel giardino. Altre ancora erano spuntate nella strada.

Il paese aveva preso ad animarsi.

Sandro arrivò alla Escort. Il motore era ancora acceso. In attesa.

Strinse il volante. Grattò la marcia. Micol e Rubino volarono sui sedili posteriori. Un uomo con occhiali da miope, movenze da automa e pelle color frutta matura, allungò un braccio attraverso il finestrino. Sandro mollò la frizione e schiacciò l’acceleratore.

Contrariamente a quanto accadeva nei film, la macchina partì a razzo, strappando il braccio del miope. L’arto finì sul tappetino del sedile posteriore. Micol lo calciò sotto i sedili, strillando isterica. Rubino non si staccò dalla maniglia della sua portiera. Aveva le pupille sbarrate, tremava e grondava sudore.

Nessuno di loro domandò del lottatore.

Altre figure ossute intasarono la via. Sandro aumentò la velocità. Viste dal lunotto anteriore sembravano tante maschere di Carnevale. In loro c’era qualcosa di sbagliato. Tremendamente sbagliato.

Gli esseri non accennarono a spostarsi.

La Ford Escort investì una donna sui trentacinque con il labbro inferiore strappato e una parte dei denti scoperta. La donna fece una capriola sul cofano e finì gambe all’aria.

Sandro cercò di non pensare. Si concentrò sulla strada, solo sulla strada. In fondo vedeva una macchia di olmi e betulle. Le puntò.

Uomini in camicia a maniche corte e donne in abiti estivi, leggeri, si buttarono sotto le ruote. Birilli. La macchina sobbalzò, come sopra a delle dune. Rumori d’ossa schiacciate e spruzzi di sangue. Sandro cercò di non pensare. Birilli. Andò avanti. A tavoletta. Gli olmi e le betulle si avvicinavano. La Ford virò repentina per evitare una Punto grigia di traverso nella via. Il motore rombò feroce. Uno scoppio d’aria risuonò nella notte. La vettura vibrò con violenza. Lo sterzo prese a tremare. Sandro capì che era scoppiata una ruota nel momento esatto in cui l’auto si cappottava finendo la sua corsa contro un muretto di mattoni.

CRASH!

Le lamiere si accartocciarono come stagnola. I vetri implosero. Sandro abbracciò il volante, incassando la testa. Finì schiacciato sul tettuccio, a testa in giù. Intontito sgusciò dal finestrino. Non aveva niente di rotto. A parte dei tagli e graffi sulla fronte e le braccia, era a posto. Si guardò attorno. Dal fondo della strada, gli esseri mugolavano alla luna e avanzavano piano. Camminavano come dei budelli di carne appesi a dei ganci invisibili. Strascicavano i piedi. Artigliavano l’aria.

Altri rumori vennero dalla Escort cappottata. Micol rotolò in fuori. Anche lei aveva dei graffi sulla fronte e pareva illesa. Micol barcollò incerta. Aveva le pupille dilatate e le labbra serrate per non tremare. Il trucco nero dell’eyeliner le colava sulle guance mescolandosi al cerone. Ricordava un clown spaurito. Sperduto.

- Rubino, – disse a fil di voce.

Sandro controllò il capannello di esseri che avanzavano verso di loro. Poi si inginocchiò accanto al finestrino posteriore. Rubino era di traverso sul sedile. Incosciente. Aveva la fronte coperta di sangue e il collo piegato di lato. Temendo il peggio, Sandro entrò col busto nel finestrino e provò ad estrarlo. Aveva le gambe incastrate. Lo tirò per le ascelle, sollevandolo verso di sé.

Dalla strada, il mugolio si avvicinava sempre di più.

Sandro lo cinse col braccio e tirò ancora. Rubino aprì gli occhi e lo guardò. Sorrise, debole, poi svenne di nuovo. Sandro riuscì ad estrarlo dall’abitacolo per metà. Sentiva la schiena indolenzita e il cuore che rullava nelle orecchie. Controllò la strada. Altri esseri uscivano dalle case alla loro sinistra. Erano a meno di dieci metri dalla macchina. Fece finta di non vederli. Continuò a tirare. Micol, in piedi, lo fissava catatonica. Sandro imprecò al cielo. Puntò i piedi sull’asfalto e strattonò il corpo del dark. Con uno schiocco, le gambe del ragazzo si sganciarono da sotto il sedile. Sandro e Rubino caddero all’indietro. Dal culo della Escort sbucò un uomo dai capelli color saggina. L’uomo li osservò con i soliti occhi neri, inespressivi, e morsicò l’aria. Aveva la camicia squarciata e gli intestini che penzolavano dalla pancia come sanguinacci. Dietro di lui, altre figure d’incubo li accerchiarono. Sandro attese la fine. Raggelato dalla paura, aspettò il tocco freddo degli esseri. L’uomo strisciò verso di lui, ma, a meno di un metro, finì schiantato contro le lamiere dell’auto. Un attizzatoio di ferro gli spuntò dalla gola.

- Verso quell’emporio. Correte.

Piero indossava la maschera color carne col machete di plastica conficcato tra i capelli. Il lottatore agitava l’attizzatoio nella gola dell’essere. La gola si aprì con un rumore vischioso. La carne gommosa si stirò all’indietro e la testa si rovesciò sulle scapole, appesa per i fili nervosi. L’essere continuò comunque a muovere le mani per afferrare il lottatore.

- Forza! Muovetevi!

Sandro era istupidito dall’orrore. Aveva voglia di piangere ma sapeva che quello non era il momento adatto per lasciarsi andare. Fece un lungo sospiro e ricacciò il dolore giù nel petto. Individuò un cartello colorato sull’altro lato della strada. Sul cartello c’era scritto: ORTOFRUTTICOLI&GIORNALI. Era l’unico caseggiato con le finestre sprangate da assi di legno. Sandro afferrò Micol per un braccio e la trascinò via. Piero sollevò Rubino e se lo caricò sulle spalle. Corsero a zig-zag tra le creature liquefatte. Un uomo con la bocca, gli occhi e il naso pieni di uova di mosca gialle, strappò una ciocca di capelli rosa a Micol. La ragazza non urlò nemmeno. Continuò a correre verso l’alimentari.

Il prato davanti alla bottega era  sgombro e ben tosato. L’ingresso era una porticina di legno con due finestrelle quadrate protette da dei battenti. La porticina era chiusa. Sandro ci picchiò contro i pugni. La prese a calci ma i battenti non si spalancarono. Arrivò Piero. Col suo costume giallo e la maschera, risplendeva nella notte. Sulle spalle il corpo del dark. Sandro si scostò dall’ingresso. Si girò verso la strada. No, non farlo, non ora Sandrino, non farlo! Vide il gruppo di cose. Col loro aspetto scarmigliato, i vestiti logori. I movimenti lenti e impacciati. I corpi straziati. Sotto la luce della luna somigliavano a dei fantasmi, a dei mor…No, Sandrino, non pensarlo, non puoi pensare a una cosa simile, se lo fai finirai per impazzire, non potrai dimenticare, mai, mai più. Ogni regola cesserà. La realtà sarà solo un ricordo, una briciola nella follia. Sandrino, finirai come tua mad…

Una mano gelida gli carezzò la nuca, rizzando i capelli.

Quelle cose erano morte. Defunte. Andate. Schiattate. Crepate. Putrefatte. Qualunque cosa fosse successa, quelle non erano più persone. Quello non era più un paese. Ma l’inferno. Sandro abbassò le palpebre. Il pensiero corse a sua madre e sua nonna davanti all’ennesima replica tv. Desiderò essere con loro.

Piero sfondò la porticina con un calcio. SPRAAKKK!

Varcarono la soglia della bottega. Il lottatore si liberò di Rubino e richiuse la porticina. Cercò qualcosa con cui bloccarla. L’interno era scuro. Intravide il congelatore rettangolare dei gelati confezionati. Lo spinse davanti alla porta. Da fuori, gli esseri picchiarono contro il legno. Lo fecero traballare, ma il telaio tenne. Micol s’accocolò a terra accanto a Rubino. Gli accarezzò la fronte insanguinata. Sandro sbatté simultaneamente i denti. Non riusciva a smettere di pensare a quelle cose fuori dalla porta. Un black out gli offuscava il cervello.

Piero sfilò la maschera. Sotto era rosso per la fatica ma non sembrava impressionato. Nelle mani non stringeva più l’attizzatoio.

- Per un po’ saremo al sicuro, – e accese una Marlboro rossa.

Erano in uno spazio angusto, stipato all’inverosimile di roba d’ogni genere: salumi, prodotti confezionati e giornali. L’emporio era buio ma un po’ di luce filtrava dal retro. Doveva esserci una finestra. Piero sperò fosse chiusa. Fece per controllare ma qualcuno uscì da dietro il bancone degli affettati. Era un uomo sulla cinquantina. Ben messo. Impugnava una Magnum Broken Butterfly.

- Sono come insetti, – disse il Colonnello, – un nido di insetti.

E armò il cane.

7.

Il terzo e il secondo fratello Inzirillo videro i fari della Escort sobbalzare e capovolgersi. Da dov’erano, non videro i morti, non sentirono i lamenti. Comunque, l’assenza prolungata del primo fratello bastò a preoccuparli. Misero a tracolla le cinture con l’esplosivo. Presero un paio di calibro 9 e una doppietta calibro 12. Circospetti, scesero in paese. Si separarono. Uno andò a Est. L’altro a Ovest.

8.

Il Colonnello era lucidissimo. Nonostante la ferita alla gamba e il sangue perso, era ancora in partita. Puntava l’arma senza tremare. Come sempre. La cosa che lo trattenne dal premere il grilletto contro quegli sconosciuti fu la curiosità. Non erano del posto, altrimenti avrebbero finito per assomigliare alle altre carcasse ambulanti. Però sapevano. Anche loro sapevano. Lo capiva dai loro sguardi. Sgomenti. Senza speranza. Senza niente. Erano due ragazzi, uno malconcio e svenuto, e una ragazza. Alla ragazza avrebbe dato volentieri una ripassata. Poi c’era un pagliaccio mascherato con una faccia un po’ così, imprecisa, senza connotati, anonima. Il pagliaccio era l’unico a non aver perso la calma. Il colonnello l’aveva visto  bloccare la porta mentre gli altri tre erano nel pallone. Chiunque fosse se l’era cavata benone, meglio dei suoi uomini. Il pagliaccio aveva le palle, ma non sarebbe bastato. Non sarebbe riuscito a scamparla. Nessuno di loro. Con la mano libera, il Colonnello tastò il sacco di iuta legato alla cintola. Attraverso la tela intuì la forma quadrata della black-box. In maniera rocambolesca era riuscito a recuperare la scatola madre. Quella con tutte le informazioni del programma. Se c’era un biglietto di uscita da lì stava in quella scatola. Avrebbe potuto barattarla con quelli dei piani alti. Dubitava della riuscita di quel piano, ma a quell’ora della notte anche lui aveva bisogno di qualcosa in cui credere.

- Chi sei?

A parlare era stato il ragazzo sano. Lo fissava spaurito. Un tremore malcelato gli muoveva la mandibola. Il ragazzo aspettava una risposta. Una qualunque. Il Colonnello alzò la canna della 45 verso la pancia del giovane. Questi perse il controllo della vescica. Una chiazza scura si allargò attorno all’inguine, bagnando i jeans. Il giovane abbassò lo sguardo. Il Colonnello sorrise. No, non gli sarebbero serviti in alcun modo. Quattro pallottole in meno non l’avrebbero guastato. Peccato per la ragazza. Nonostante l’acconciatura era davvero scopabile. Forse poteva risparmiarla. Tenerla per ultima. Le ore che lo separavano dalla luce del giorno sarebbero state più liete. Il colonnello sorrise. Delle fossette profonde si aprirono sulle guance.

Il ragazzo svenuto riprese i sensi. Lei lo carezzava amorevole.

Pisciasotto continuava a guardarsi la punta delle scarpe. Il colonnello schiacciò il grilletto e sollevò il cane dell’arma.

SKRRAKKK!! Un urto violento, dal retro bottega, lo fece girare per una frazione di secondo. Bastò. Come un puma, Piero balzò in avanti. Il militare percepì il movimento, ma non fece in tempo a schivare. Il lottatore gli indirizzò un pugno sulla testa. Dalla magnum partì un colpo. Una detonazione fortissima. Il proiettile finì sul parquet tra scintille e pezzi di legno. Piero colpì ancora il Colonnello con il tagli della mano sinistra. Lo colpì alla gola. Questi vacillò all’indietro, si appoggiò con tutto il corpo alla rastrelliera dei giornali e rovinò a terra. La sacca di iuta volò via. Piero non gli diede il tempo di alzarsi. Con un piede lo picchiò con violenza sulla testa. Il Colonnello sparò un secondo colpo. Alla cieca. Questa volta la pallottola finì sul soffitto. Pezzi di malta sbriciolata vennero giù come neve. Poi cercò di ripararsi il volto. Piero lo colpì all’inguine. Il Colonnello si girò sulla pancia e vomitò della bile nerastra, infine si accoccolò in posizione fetale e smise di muoversi. Piero gli sfilò la Broken Butterfly. Nella cintura vide un’altra pistola. Una blacktail 9mm col caricatore pieno. Il lottatore passò la seconda pistola a Sandro. Il ragazzo alzò il viso da terra. Oltre al dolore, alla rabbia e alla disperazione, c’era anche della vergogna.

- Se si muove, sparagli.

Sandro afferrò la canna dell’arma. Piero la trattenne per il calcio.

- Ok?

Il ragazzo fece di si con la testa e si passò una mano sulla faccia esangue.

Sul parquet, Rubino mormorava frasi senza senso e perdeva sangue dalla fronte. Micol cercava di pulirlo con le mani ma finiva col lordarsi le braccia e la maglietta dei Chrisma.

Piero sparì nel retrobottega.

Era uno stanzone pieno di prodotti e scorte alimentari riposti sopra una fila di mensole. Il locale era più luminoso. Lungo i muri c’erano una serie di feritoie strette e rettangolari.

TUM, TUM, TUM! I colpi venivano da una serranda verde. La serranda era abbassata. Piero ci si accostò. Dall’altra parte, i morti parvero fiutarlo e tempestarono con maggior vigore.

Il lottatore frugò tra le mensole. Trovò una grossa fune di perlon. Prese anche uno sgabello in legno di pino e un mannarino per tagliare la corda. Tornò nella bottega. I morti smisero di far rumore. Il Colonnello era ancora steso a terra. Sandro impugnava la pistola con entrambe le mani ed era rosso come un peperone. Gli occhi si erano illuminati e fatti penetranti. Piero usò la fune e legò il Colonnello allo sgabello. Quand’ebbe finito si inginocchiò accanto ai due dark. Rubino apriva e chiudeva gli occhi ma non sembrava cosciente. Micol aveva le braccia coperte di sangue e non parlava. Il lottatore le passò la Broken Butterfly. La ragazza studiò l’oggetto, sollevò le sopracciglia e la prese con due dita. Allora cercò di parlare e le uscì una vocina diafana.

- Hai da fumare?

Le passò l’ultima marlboro rossa e si alzò. Sandro puntava ancora l’arma contro il Colonnello. Il dito accarezzò il grilletto. Piero posò una mano sulla spalla del ragazzo. Sandro voltò la testa di scatto e fissò con durezza il lottatore. L’incertezza e la paralisi sembravano passate. Ora negli occhi aveva solo rabbia. Un mare di rabbia. Un oceano di rabbia.

Senza preavviso, Sandro lo colpì alla testa con il calcio della blacktail. Lo colpì con tale forza che la pistola gli sfuggì di mano. Piero inciampò su una mensola piena di bottiglie di candeggina e biscotti per cani. Dentro la testa il mondo prese a girare. Crollò sulle ginocchia. Schizzi rossastri di sangue gli uscirono da sotto i capelli. Sandro raccolse la pistola. Sentiva i jeans bagnati appiccicarsi all’inguine.

- E’ colpa tua, – disse il ragazzo appoggiando la 9 mm alla tempia di Piero.

- Solo tua, – sibilò a denti stretti.

Sandro si passò una mano sulla faccia. Sentiva uno sciame brulicante rimbombargli nella testa. Accavallargli i pensieri. Si sentiva stanco, umiliato. I suoi occhi avevano dovuto vedere quelle cose. Sopportarne l’idea. Quella notte aveva scoperto profondità di cui nemmeno sospettava l’esistenza. Sotto le due spanne superficiali della sua vita, si agitava un mondo sommerso fatto di ombre e superstizioni. Quella notte le ombre lo avevano agguantato per le palle. Gli avevano guardato dentro e avevano visto che non era poi così speciale. Solo carne. Tubature. Sangue. Come tutti. Quella notte le ombre gli avevano alitato in faccia la verità. Ti credi ancora il più bello? Il più furbo? Ti credi migliore? Un fottuto dio in terra? Quella notte le ombre avevano sorriso. Denti a sciabola. Sandro aveva abbassato gli occhi. Se l’era fatta addosso. S’era chiazzato le mutande di roba. Quella notte le ombre avevano sorriso. Avevano vinto. Da quel momento sarebbero rimaste sempre con lui. Dentro di lui.

Sandro si passò una mano sulla faccia. L’alba avrebbe portato delle risposte? Ora le conosceva. Aveva voluto sapere cosa avesse ridotto sua madre un guscio vuoto? Ora lo sapeva. La paura. La pura, semplice, paura. Le ombre sorrisero. Denti a scimitarra. Ora, lo sapeva.

I morti ripresero a picchiare contro i muri dell’emporio e a mugolare inquieti.

Sandro cercò di premere il grilletto. Canalizzò tutta la sua frustrazione sul lottatore. Era davanti a lui, a terra, indifeso. Il lottatore alzò il viso. Il sangue gli copriva un lato della faccia. La solita faccia, vaga, imprecisa. Il lottatore sollevò gli angoli della bocca, per nulla arrabbiato. Un’ombra antica nuotò dietro le sue pupille.

- Sarà meglio rinforzare la porta, – disse calmo.

Sandro abbassò la pistola. Sentì la rabbia sciogliersi lentamente in scaglie amare dentro il suo petto.  Con le braccia lungo i fianchi indietreggiò contro un ripiano di detersivi in polvere. Ti credi migliore? Un fottuto dio in terra, eh? Sussurrarono le ombre nascoste in qualche angolo. L’odore di piscio che saliva dai pantaloni lo mortificò del tutto. Ti credevi un prescelto, piccolo?

Piero andò nella rimessa. Trafficò un po’ prima di tornare con dei lunghi chiodi da carpentiere e un asse di legno. Rinforzò la porta d’ingresso, incastrando la tavola tra i battenti e il congelatore dei gelati confezionati. Ad ogni colpo di martello, i morti rispondevano con botte e lamenti. Quando finì di inchiodare l’asse anche i morti si zittirono.

Intanto il Colonnello era rinvenuto e li guardava con un ghigno strafottente.

Sandro provò il desiderio di spaccargli il grugno ma era troppo distrutto. Intercettò una bottiglia di spuma abbandonata sul bancone dei salumi. La stappò e mandò giù il liquido. Chissà se a quell’ora davano ancora delle repliche del Ferdinando Show. Quella con l’uomo trota era la preferita di sua madre.

Sandro sputò la spuma e scoppiò a ridere e a tossire isterico.

Le lacrime gli salirono agli occhi.

Piero e il Colonnello lo osservarono sorpresi.

Poi nell’emporio piombò il silenzio.

- Non servirà a niente. Vi ammazzeranno.

Il Colonnello si sgranchì il collo e strizzò un occhio verso Micol.

La ragazza non se ne accorse neppure. Continuava a carezzare la testa di Rubino mezzo morto.

- Cosa sono? – borbottò Sandro ridacchiando.

- L’ hai visto, no?

- Voglio sentirtelo dire.

Il Colonnello sorrise e strizzò l’occhi anche a lui.

Piero raccolse il telo di iuta con dentro  la black-box.

Il Colonnello contrasse la mascella, ma fu un movimento impercettibile.

Piero guardò per un po’ il Colonnello.

Questi sostenne lo sguardo senza battere ciglio.

- Non ha gradi né mostrine ma è un militare, – disse Piero.

- Per me è una testa di cazzo, – disse Sandro sputando un sorso di spuma sulla maglietta scura del Colonnello.

- No. Anche quello nell’altra casa era come lui. Hanno armi sofisticate e sono equipaggiati come a un safari.

- Che significa? – Sandro era così abbattuto che gli stava tornando un po’ di sicurezza.

- Non ne sono sicuro. Credo si aspettassero qualcosa.

Sandro si avvicinò al prigioniero.

- E’ vero sacco di merda?

Il Colonnello abbozzò uno sbadiglio.

- Questi sono discorsi da grandi. Prepara il vasino, piscialetto.

Il ragazzo mollò una gomitata sui denti del Colonnello. Per un attimo lo sgabello dondolò all’indietro. Poi tutto tornò immobile.

Sandro respirò piano e si sforzò di ridacchiare. Si sentiva un po’ meglio.

Il Colonnello si massaggiò il labbro con la lingua e puntò il ragazzo.

- Piscialetto!

Sandro scattò di nuovo. Piero lo fermò. Scrollò il capo e mise la black-box sotto il naso del militare. I led rossi lampeggiavano.

- A cosa serve?

Il Colonnello continuò a massaggiarsi il labbro.

- Se non è importante posso romperla, – Piero posò la scatolina sul bancone e prese il martello.

Il Colonnello smise di massaggiarsi il labbro.

- Posso romperla? – Piero sollevò il braccio.

Il Colonnello sospirò, esasperato.

- Quello che potrei dirvi non farà alcuna differenza. Non vi servirà a niente.

- Ci lasci decidere.

Il Colonnello sospirò una seconda volta. C’era qualcosa nel pagliaccio magrolino che lo infastidiva. Non riusciva a mandar giù il fatto che quel tipo fosse riuscito a sorprenderlo e legarlo in quel modo. Era stato veloce. Troppo veloce. E lui cominciava ad invecchiare. La cosa gli rodeva più di tutto il casino fuori dalla bottega. Comunque aveva un’unica consolazione: il pagliaccio non sarebbe vissuto ancora a lungo. Doveva dare spago a quei due, prendere tempo, aspettare il momento giusto. Non l’avevano perquisito e questo era un punto a suo favore. L’altro era la Black-Box. Aveva perso un’intera squadra per recuperarla. Non l’avrebbe lasciata nelle mani di quei due idioti. Si, doveva prendere tempo. Aspettare un giro di carte migliore.

- Io e la mia squadra siamo intervenuti per mettere le cose a posto. Siamo dalla stessa parte, ragazzi.

- Per chi lavora?

Il Colonnello arricciò un labbro. Fu un gesto automatico.

- Gente.

- Quale? – incalzò Sandro.

- Non fare domande di cui potresti pentirti, piscialetto!

- Cosa vuole questa gente?

- Le solite cose. Potere. Soldi. Controllo.

- Perché qui?

- Credo avesse i requisiti giusti per un test pratico. Luogo isolato, piccolo, ma con un numero di soggetti adeguati.

Rubino emise un lungo sfiato. Si girarono verso di lui. La cresta punk s’era afflosciata, appiccicandosi al sangue sulla fronte. Micol gli sfilò la spilla da balia dalla guancia.

- Che tipo di test pratico?

Il Colonnello roteò la testa.

- Esperimenti frettolosi, fatti negli anni. Roba sulla pubblicità subliminale. Diciamo che c’è stato un cambio al vertice. Certa gente era arrivata al capolinea, ma i doppioni hanno pensato bene di continuare sulla stessa riga.

Piero si rigirò la black-box tra le mani.

- Cosa centra questa?

Il Colonnello sorrise. Le fossette si riaprirono sulle guance.

- E’ il cuore della storia.

Sandro afferrò il militare per la maglietta.

- E’questa che li ha ridotti così?

Gli occhi del militare scintillarono feroci.

- Ci sei arrivato, piscialletto.

Piero osservò la black-box.

- Come hanno fatto?

Il militare sbadigliò annoiato.

- Ehi, questa è roba da ingegneri. Resta il fatto che ci sono riusciti. Giusto?

9.

Decisero di ispezionare la casa. Sandro, con la blacktail, salì le scale dietro al bancone. Di sopra c’era un appartamento arredato con una carta da parati verdastra a righe grigie. In un salottino, fra due divani in piume d’oca, trovò un televisore sintonizzato sull’effetto neve. Sopra al televisore la solita black-box col suo occhio rosso. Scollegò la scatola, poi la scagliò contro la parete. L’apparecchio si aprì in due e vari congegni elettrici si sparpagliarono su un tappeto di lana. Anche la Tv si smorzò. Perlustrò altre tre stanze: un bagno, una cucina e una camera da letto. Non c’era nessuno. Nella cucina il frigorifero ronzava piano. Sulla tavola, briciole di pane e piatti sporchi di sugo. Nella camera da letto frugò nell’armadio. Trovò dei pantaloni chiari e si cambiò i jeans. Si sentì subito meglio. Poi aprì la porta finestra della camera. Dava su un piccolo ballatoio sopra la strada. Controllò la situazione. I morti si accalcavano davanti all’emporio, barcollando e strisciando come sonnambuli. Rientrò subito. Prima di scendere notò un’altra scala che saliva verso la mansarda.

Contemporaneamente, Piero gironzolò nel retrobottega. Dietro un mucchio di scope in saggina, scovò una porta di ferro decorata con dei fiori stilizzati. La porta era spalancata, con le chiavi infilate nella toppa. Usò l’accendino per scendere in uno scantinato senza finestre, quattro metri per quattro. C’era un frigorifero verticale e una lavatrice con i bordi in acciaio inossidabile. Sopra alla lavatrice c’era una lanterna elettrica. La accese e la posò a terra.

Un chiarore giallo illuminò i muri nudi.

10.

Il terzo fratello trovò il corpo dilaniato del primo fratello. Era in un vicolo maleodorante. Qualcuno l’aveva ridotto a dei brandelli palpitanti di carne viva. A parte la testa, era irriconoscibile. Sotto la gola era ancora attaccato un lungo tratto di spina dorsale. Somigliava ad uno strano pesce con la lisca spolpata. Dolorante, il terzo fratello si inginocchiò a piangere. Rimase immobile per alcuni minuti, poi si guardò attorno. A mezzo metro dal corpo c’era la cintura con l’esplosivo. Era intatta. Il terzo fratello la raccolse. Poi cacciò via tutto il dolore e si concentrò. Il volto divenne una lastra di ghiaccio. Gli occhi piccoli come le fessure di un bastione. Il terzo fratello uscì dal vicolo insanguinato.

Gli avevano ordinato di cancellare quel paese dalla faccia della terra: ora era diventata una faccenda personale.

11.

- Che facciamo?

- Hai visto tutte quelle macchine la fuori? Dobbiamo prenderne una.

Sandro e Piero parlottavano a bassa voce. Sandro, nervoso, si mangiava le unghie delle mani. Aveva un disperato bisogno di fumare.

- Io la fuori non ci torno.

- Posso farlo io.

- Ti ammazzano appena esci.

- Questa è la tua parte: ci vuole un diversivo.

- E’ troppo rischioso. Quelle auto avranno la batteria scarica e senza chiavi non andrai lontano. Meglio rimanere qui.

- Finiranno per entrare. Ci hanno fiutato.

- Questo è vero. Di sopra c’è un balcone. Sono tutti lì davanti al prato.

- Quanti sono?

- Non li ho contati. Più di venti. Forse il doppio.

Piero rimuginò sulla situazione.

- Avete da fumare? – chiese Micol senza inflessioni.

Tra le sue braccia, Rubino respirava a fatica. La ferita sulla fronte era molto profonda.

Piero scrollò il capo.

- Non possiamo aspettare. Dobbiamo portarlo a un pronto soccorso.

- Hey, non dimenticatevi del sottoscritto.

Dallo sgabello, il Colonnello li osservava col solito ghigno. Col mento indicò la fasciatura alla gamba.

Sandro gli mostrò il medio e lo ignorò.

- Ci vuole un diversivo, – disse il lottatore.

Sandro guardò il retrobottega. Improvvisamente gli era venuta un’idea.

- Ci serve della benzina.

- Di là ce ne sono un paio di taniche, perché?

- Possiamo svuotare delle bottiglie di latte e riempirle con della benzina. Le tappiamo con uno straccio e lo usiamo come stoppino.

- Una bomba?

- Una molotov. Potrei lanciale dal balcone e aprirti un varco.

Piero ci pensò su. Poi assentì convinto.

- Si può fare, ma devo uscire dal retro. Se tu sei sopra non puoi richiudere la porta una volta che sarò uscito. Ho controllato, la serranda è solo appoggiata. Mi basterà sollevarla e tirarla di nuovo giù.

Il Colonnello fischiò soddisfatto.

- Sembrate due boyscout.

Sandro infilò due dita nella ferita del militare. L’uomo si torse sullo sgabello e cercò di non urlare.

- Il tuo parere non conta, pezzo di merda.

- Piscialetto!

Guardandoli da sotto in su, Micol aggrottò la fronte. Aveva il viso imperlato di sudore.

- Avete dell’erba? – la voce le tremava.

A Sandro si chiuse il cuore. Della ragazza determinata che aveva preso a calci nelle palle il coglioncello sedicenne al Palazzetto dello sport, non rimaneva nulla. Le era andato in pappa il cervello. I pensieri le si erano seccati, riducendosi a poche, stupide, frasi.

- E se quelli cercano di entrare mentre sei fuori?

- Di sotto c’è uno scantinato. E’ piccolo ma sicuro. Non ci sono finestre. La porta è di ferro. C’è già una lanterna accesa.

- E questo stronzo?

Sandro indicò il Colonnello.

- Portiamolo sotto.

Lo sollevarono con tutto lo sgabello e lo trascinarono nello scantinato.

Fecero lo stesso con Rubino.

Micol, muta e inespressiva, rimase a terra, con la Broken Butterfly accanto. I due le girarono attorno. Prepararono le bottiglie: Piero svuotò le bottiglie di latte e le riempì con della benzina. Sandro salì al piano superiore a prendere degli indumenti. Li strapparono in lunghe strisce e le impregnarono di liquido infiammabile. Poi infilarono la stoffa nei colli delle bottiglie.

Da fuori i morti intuirono qualcosa e tornarono alla carica. Batterono sui muri come un martello su un’incudine. La porta dell’emporio tremò tutta. Il legno cominciava a spaccarsi. La tavola inchiodata quasi venne giù.

- Sbrighiamoci.

TUMP…TUMP…TUMP…

Sandro accompagnò Micol nello scantinato. Controllò che fosse tutto a posto. La lanterna era accesa. Il Colonnello legato.

- Se ti da fastidio, ammazzalo, – le disse indicando il militare.

Micol abbassò il mento e si accoccolò accanto al corpo di Rubino.

Il dark abbassava il torace per respirare, ma era un movimento sempre più impercettibile. Dovevano fare in fretta.

Risalì le scale e chiuse a chiave la porta di ferro.

Piero lo stava aspettando. Nel suo body giallo e la maschera di carne nel pugno, gli sembrò un bambino troppo cresciuto pronto a combinare qualche guaio.

TUMP…TUMP…TUMP…

- Mi spiace per prima, – disse Sandro.

- No. Avevi ragione. Vi ho portato io fin qui.

TUMP…TUMP…TUMP…

- Come faccio a sapere se ce l’hai fatta?

- Darò dei colpi di clacson. Parcheggerò davanti alla serranda, poi ti darò una mano a trasportare Rubino.

- Non ce ne daranno il tempo. Se prendi una macchina devi andartene subito. In meno di mezzora puoi essere a Livorno Ferraris o a Bianzè. Lungo la strada ci sono alcune cascine. Lì ci sarà un dannato telefono.

Piero fece di si con la testa.

TUMP…TUMP…TUMP…

Le bottiglie di molotov erano dentro uno scatolone per il pane. Sandro sollevò lo scatolone e salì al piano superiore.

Piero, nel retrobottega, aspettò di sentire i primi scoppi.

TUMP…TUMP…TUMP…

12.

Sandro posò lo scatolone con le molotov sul balconcino.

Sotto di lui, i morti stavano pigiati contro la porta dell’emporio. Altri si spezzavano le unghie contro i muri. Un morto con la pelle liscia e molliccia come quella di un pesce sventrato era riuscito a staccare l’insegna ORTOFRUTTICOLI&GIORNALI e la sventolava nell’aria come una mazza da baseball.

Sandro si appoggiò alla balaustra e afferrò la prima bottiglia.

Dall’altra parte della strada, una donna con le labbra siliconate e la cassa toracica piena di scarafaggi, alzò la testa verso di lui.

Contemporaneamente anche gli altri alzarono la testa verso il balconcino.

Sandro vide le loro pupille senza vita annusare l’aria e cercarlo.

La donna sulla strada protese le braccia e avanzò a scatti. La pelle delle gambe era come mummificata.

Gli altri cadaveri fecero lo stesso. Un odore immondo, di pus, salì dal prato sottostante.

Sandro trattenne il fiato. Con lo zippo accese il primo stoppino.

La fiamma avvampò sullo straccio impregnato di benzina.

Lanciò la bottiglia contro la donna. La molotov le esplose tra le gambe. Un colpo secco. I vetri sprizzarono a raggiera. Subito delle fiamme cremisi la illuminarono come un addobbo natalizio. La donna avvampò in un baleno. Gli scarafaggi si staccarono da lei e saltarono nel prato simili a trottole impazzite. L’essere camminò fin sul prato dell’emporio, poi crollò a terra. Le braccia artigliarono il terreno, mandando un crepitio legnoso.

Sandro lanciò una seconda e una terza bottiglia. Due archi perfetti. Centrò il morto con l’insegna e un bambino sui dieci anni. Anche loro avvamparono di colpo. Altri zombi sbucarono dalle case attorno. I nuovi arrivati girarono attorno ai falò colorati nel prato. Erano incantati dalle fiamme. In mezzo ai morti, il ragazzo vide parecchi bambini. Sentì un brivido percuoterlo ed ebbe un capogiro. Quelle là sotto erano state delle persone esattamente come lui. Ora però erano solo degli affari senza vita pronti a mangiarlo e lui lo sapeva; ma i bambini gli rendevano tutto più difficile. Chiuse gli occhi. Serrò le labbra. E sentì la disperazione crescergli dentro, bussare forte al cuore.

Da qualche parte, un uccello strillò furioso.

Doveva agire. Continuare a lanciare. Non fermarsi. Non pensare.

Strappò un’altra bottiglia. Accese. Lanciò. Gli parve di sentirli gridare. Un urlo quasi umano. Quasi. Continuò a lanciare. Col cuore in agonia. Senza tregua. Accese e lanciò. Accese e lanciò. Accese e lanciò. Un odore di carne bruciata lo avvolse come una pellicola trasparente. Sentì i muscoli contrarsi. Non poteva respirare. Non poteva sopportare oltre.

(7/1 – continua)

Davide Rosso