FANTASCIENZA STORY 123

IL RITORNO DI KING KONG (1976) – PARTE 02

LA FUGA DI LOGAN (Logan’s Run)

Una gigantesca città, isolata dal resto del mondo, modernissima e indipendente, che vive riciclando ogni suo prodotto, potrebbe forse sembrare il non plus ultra della felicità umana, ma non è così.

Per contenere l’aumento demografico la vita deve cessare a trent’anni: ogni abitante possiede, inserito nel palmo della mano, un cristallo che, al termine del prescritto periodo, si mette a pulsare rivelando la posizione e le eventuali intenzioni di qualche transfuga. Per evitare che questo avvenga esistono speciali addetti che catturano i fuggitivi e li uccidono.

Nonostante questo, ogni tanto, qualcuno riesce a raggiungere un mitico posto chiamato Santuario, dove si può continuare a vivere. Logan 5 (Michael York), guardiano della città e cacciatore di coloro che rifiutano di “rinnovarsi” e cioè morire al termine dei trent’anni, riceve l’incarico di scoprire dove sia questo luogo direttamente dal cervello elettronico che controlla la città: il suo cristallo è reso pulsante ed egli si mette in contatto con altri fuggitivi e con una ragazza, Jessica (Jenny Agutter) con la quale inizia la ricerca del Santuario. Dapprima incontrano un gruppo di giovani ribelli, poi un robot che ha conservato nel ghiaccio tutti coloro che sono giunti fino a lui, per usarli in seguito come cibo.

I due escono dalla città, inseguiti da un amico di Logan, Francis 7 (Richard Jordan, 1937 – 1993), guardiano anche lui e si dirigono fra i resti di una vecchia città del passato. Sono queste le sequenze più suggestive del film: i due che passeggiano attraverso l’erba alta da dove si elevano le sagome di antichi palazzi, ricoperti d’edera e rampicanti. La città è Washington e all’interno di un vecchio edificio essi, per la prima volta, fanno conoscenza con un vecchio, Ballard (un formidabile Peter Ustinov, 1921 – 2004), e con lui tornano verso la città. Mentre il vecchio li aspetta, essi cercano di avvertire la popolazione che all’esterno si può vivere, si può invecchiare; sono però catturati e Logan viene portato davanti al calcolatore elettronico. Qui inizia la parte più debole e scontata del film: Logan, ribellandosi, scatena un corto circuito nel computer che, aiutato da un paio di colpi ben assestati del disintegratore di Logan, semidistrugge la città.

I superstiti spintisi all’aperto fanno così conoscenza con il vecchio e, nel vederlo, apprendono che l’esistenza ha un altro significato.

Parliamo subito degli effetti speciali: scartata la prima idea dell’ologramma (metodo basato sull’utilizzo di laser per creare effetti ottici virtuali), i tecnici si sono sbizzarriti in una orgia di modellini ben fatti e curati. Interessante la scena della disintegrazione del cadavere di un ribelle, realizzata mediante la tecnica delle sovrapposizioni successive: si è prima girata una scena con il morto in posizione e di aspetto normale, poi una nella quale il corpo cominciava a presentare le prime tracce di disfacimento, poi una terza con tracce ancora più evidenti e così via fino a raggiungere l’effetto desiderato. In questo modo, presentando le immagini in rapida successione e dissolvenza, si ha l’idea richiesta: in questo caso un corpo in progressiva dissoluzione.

Piuttosto infelice la scelta del trucco per i disintegratori: le pistolette dovevano emettere lateralmente un raggio luminoso che, colpendo il bersaglio, dovevano disintegrarlo simulando delle piccole esplosioni (microdetonazioni favorite da piccole scariche elettriche)… beh, l’effetto era quello di un lancio di castagnole per Carnevale. Anche il robot lascia alquanto a desiderare: è stato ottenuto, come ovvio, inscatolando un uomo dentro a un’intelaiatura metallica.

Film costosissimo, ha ottenuto negli Stati Uniti uno strepitoso successo. Diretto dal solito Michael Anderson, è basato su uno scontato romanzo di fantascienza di William F. Nolan e G. C. Johnson, La Fuga di Logan, edito dalla Mondadori.

(2 – continua)

Giovanni Mongini