PAESAGGIO VERCELLESE CON ZOMBI 01

1.

9 MAGGIO 1978

1.

Il colonnello portava degli occhiali rayban. Vestiva casual. Una maglietta nera e dei pantaloni di cotone. La maglietta aderiva al torace, mettendo in evidenza i muscoli. Il colonnello sedeva accanto al guidatore e non guardava niente di particolare. Non pensava a niente di particolare. Aspettava. I palmi delle mani poggiati sulle ginocchia. Immobili. Ai suoi piedi una mitraglietta Skorpion 7.65. Il guidatore fumava una Camel senza filtro e buttava il fumo dal naso.

Anche lui portava degli occhiali scuri. E aspettava.

Erano in un parcheggio sotterraneo di qualche palazzo del centro. Potevano sentire il rumore ovattato del traffico, i clacson, il rombo di un motorino; ma nel parcheggio non c’era nessuno.

Solo delle Mercedes scure parcheggiate ai margini.

Il sotterraneo era grande. Mal illuminato. Silenzioso.

2.

Quando si accese la spia rossa dell’ascensore interno, il colonnello scese dall’auto. Il guidatore buttò la cicca dal finestrino e avviò il motore della Renault. Il colonnello si avvicinò all’ascensore. Non si guardò attorno. Non c’è n’era bisogno. Le porte dell’ascensore si aprirono. Due uomini e una donna, sulla trentina, sorreggevano un uomo mingherlino con un cappuccio in testa. L’uomo non emetteva alcun suono. Il colonnello guardò il terzetto. Con un cenno indicò la Renault. La donna aprì il bagagliaio e ci adagiarono dentro il prigioniero. Lo aiutarono a sistemarsi di traverso, proteggendogli la testa dal portello sollevato. Uno dei due uomini sussurrò qualcosa al prigioniero, per confortarlo.

- Stia tranquillo Presidente. Tra poco sarà libero.

Il prigioniero sembrò rianimarsi. Delle scosse gli attraversarono il corpo. Stava tremando. Il colonnello non poteva vedergli il volto, ma sapeva che stava piangendo.

La donna e i due uomini fecero un passo indietro. Avevano le facce tirate e gli occhi tristi. Il colonnello capì che non erano convinti.

La donna, in particolare, aveva una contrazione intermittente alla bocca e gli occhi lucidi.

Uno degli uomini fece per parlare, ma lui lo zittì con un cenno del mento. Il terzetto si accorse delle sagome ferme negli angoli del parcheggio. Uomini vestiti di scuro e occhiali neri. Uomini comparsi dal nulla. Uomini che puzzavano di Servizi.

Stavano immobili accanto alle innumerevoli colonne di cemento del sotterraneo. Attendevano un segnale.

I tre capirono l’antifona e indietreggiarono. Rientrarono nell’ascensore e sparirono. Allora il colonnello si girò verso la vettura e si chinò sul prigioniero. Quello continuava a tremare.

- Presidente. Mi ascolti. Rimanga disteso. Non si muova. Non si levi il cappuccio. Mi ha capito?

L’uomo smise di tremare e non rispose. Il colonnello pensava fosse svenuto. Fece per toccargli un braccio, ma quello parlò con una voce flebile e incerta.

- Dove mi portate?

- A casa.

Il prigioniero rabbrividì un’altra volta.

- Non credevo avreste trattato. Dio vi benedica. Vi benedica tutti.

Il colonnello guardò il guidatore accanto alla portiera e gli fece segno di salire. Anche gli altri agenti sparpagliati nel sotterraneo si dileguarono. Il colonnello chiuse piano il baule. Sorrise. Salì in macchina. Il guidatore stringeva al petto la mitraglietta. Si girò verso il prigioniero e lasciò partire una raffica. I colpi perforarono i polmoni dell’uomo, ma quello continuò a muoversi. Respirava a fatica, emettendo una specie di fischio strozzato. Il colonnello lo finì con il colpo di una Walter Ppk calibro 9. Il prigioniero smise di rantolare. Nel sotterraneo tornò il silenzio mescolato al rumore basso del traffico. La Renault rossa uscì lentamente dal parcheggio. Una delle mercedes scure li seguì a breve distanza. All’aperto. Girarono attorno ad un imponente palazzo con delle spesse inferriate e arrestarono il motore. Il colonnello sfilò il cappuccio dalla testa del cadavere, poi scese dall’auto seguito dal guidatore. La mercedes li affiancò. Prima di salire, l’uomo dei Servizi guardò un’ultima volta il corpo dello statista. Un altro sorriso gli alterò i tratti granitici del volto, poi montò sulla vettura che sparì nel traffico di una Roma blindata.

(1 – continua)

Davide Rosso