SCAMBIO DI TESTE 25

25.

L’ispettore Gerardo Abril pensava che finalmente era tutto finito e che adesso per un po’ lo avrebbero lasciato tranquillo. Anche il caso più importante era risolto e il governo aveva appreso con soddisfazione che il maniaco era stato ucciso. Lo sfregiatore era in manicomio criminale perché era stato giudicato infermo di mente e con tutta probabilità non ne sarebbe più uscito. Il killer vero, invece, quello pericoloso, non ci sarebbe stato bisogno di processarlo. Ci aveva pensato Fernando a giustiziarlo. E lui pensava che in fondo era quel che si meritava. Adesso Fernando avrebbe fatto un po’ di galera ma ne sarebbe uscito in fretta. Aveva ucciso per legittima difesa e la testimonianza di Barbara lo scagionava. In tutta quella storia c’era qualcosa che faticava ancora a capire. Barbara aveva insistito a lungo sulla faccenda di Armando, un santéro che avrebbe praticato un fantomatico scambio di teste. Tra l’altro quel santéro era morto e lui non poteva neppure interrogarlo per saperne di più. Ma in fondo non credeva che sarebbe servito più di tanto a chiarire le cose. Barbara aveva sostenuto a lungo la tesi che suo figlio aveva cambiato personalità dopo che era uscito dall’ospedale. Secondo lei quello scambio di teste provocato dal santéro non era riuscito fino in fondo e nel corpo di suo figlio avrebbe trovato ospitalità un pericoloso assassino. L’ispettore Abril aveva ascoltato quelle che giudicava soltanto una serie di assurdità senza credere a una parola. A suo parere erano le giustificazioni di una madre che non voleva accettare la dura realtà di un figlio assassino. Non aveva verbalizzato niente di quell’interrogatorio. Si era complicato la vita abbastanza.

     Adesso ci manca che mi metta anche a credere alla santería … aveva pensato. I riti santéri non lo avevano mai affascinato. Neppure a oriente, dove tutti credevano. Non si sarebbe convinto adesso che i casi della vita l’avevano condotto alla periferia dell’Avana. La potenza soprannaturale dei babalaos che evocavano i morti e parlavano con gli orishas non era cosa che lo riguardasse. A lui interessavano i fatti. E le carte parlavano chiaro. Roberto era il maniaco che aveva violentato e ucciso cinque donne ed era anche colpevole del turpe commercio di bambini collegato al giro delle pellicole proibite. In un colpo solo aveva risolto due casi. Anzi, il destino glieli aveva risolti. E quel che più contava era che presto sarebbe tornato alla vita tranquilla che amava, senza bisogno di continuare a rimpiangere le campagne di Guantanamo. Non ci sarebbe più stato da far tardi in Centrale ogni sera. Il caso era proprio chiuso. Osservò con soddisfazione la cartella dei documenti e le foto del corpo senza vita di Roberto, quel rivolo di sangue che usciva dalle sue labbra, lo sguardo meravigliato che si perdeva nel vuoto.

     Ti abbiamo preso bello mio, pensò.

Come se il merito fosse stato davvero suo. Domenica per festeggiare se ne sarebbe andato a Santa Maria con la moglie e i bambini. Adesso le spiagge erano di nuovo sicure, di notte come di giorno. E la sera stessa si sarebbe scolato una bottiglia di rum insieme agli amici. Era tanto tempo che non lo faceva e adesso sentiva di averne proprio una gran voglia.

 

Fernando attendeva il giorno del processo nella cella della stazione di Alamar. Aveva ricevuto molte visite, i suoi genitori avevano portato persino i bambini. E lui aveva pensato con rassegnazione che per un po’ di tempo avrebbero dovuto fare a meno anche del padre. Però la visita che lo aveva rattristato di più era stata quella di Barbara. Lei si era presentata vestita di nero, con i capelli scomposti e lo sguardo spento. Pareva invecchiata di dieci anni. Si erano detti poche parole, guardandosi negli occhi. Era stato al momento di salutarsi che lui l’aveva abbracciata forte e le aveva sussurrato in un orecchio: “Perdonami”. Lei l’aveva guardato con dolcezza e gli aveva risposto con decisione: “Sei tu che devi perdonarmi”.

Poi era sparita dalla sua vita lasciando Fernando a pensare che una donna come quella non era facile incontrarla e che sarebbe stata la compagna ideale per ogni uomo. Lo sarebbe stato anche per lui, una volta fuori da quella galera. Purtroppo erano accadute troppe cose a rendere quel pensiero un sogno impossibile. Il futuro di Fernando e Barbara era segnato dalla solitudine.

 

Padre Antonio si trovò Barbara davanti al confessionale pochi giorni dopo averla accompagnata al funerale del figlio. Lei aveva gli occhi arrossati dal pianto e un’espressione affranta. Non era venuta per confessarsi ma per parlare e nella mente portava ancora impresso tutto il terrore di quella mattina infernale. Vedeva il coltello di Fernando calare sul petto del figlio mentre il suo grido strozzato si perdeva nella stanza. Rammentava il funerale come un incubo e rivedeva le poche mani che le avevano dato conforto, stringendola in un abbraccio.

Suo figlio era morto da assassino e quella colpa se la sentiva addosso come una croce. Perché era lei che ne aveva fatto un criminale. Lei e la sua scellerata ostinazione di voler andare contro la volontà di Dio. Padre Antonio le era stato vicino anche nell’ultimo viaggio di Roberto. Aveva avuto parole di conforto, come sempre. Adesso era di nuovo accanto a lui e gli chiedeva soltanto di essere ascoltata.

“Sono io che merito l’inferno, padre. Aveva ragione lei e non l’ho ascoltata” disse singhiozzando.

Padre Antonio non sapeva che dire. Rammentava la storia dello scambio di teste e la discussione con Barbara. Lui non era d’accordo e l’aveva sconsigliata. Lei aveva voluto fare di testa sua. Adesso tutto quello che era accaduto lo sconcertava e non riusciva più a distinguere il vero dal falso. Cos’era accaduto a Roberto? Perché era cambiato dopo la dimissione dall’ospedale? E come aveva fatto a guarire improvvisamente? Padre Antonio non poteva credere a ciò che Barbara confessava, però doveva ammettere che in quella storia c’era qualcosa di strano.

“La colpa è del destino, Barbara. Quello non si può cambiare”.

Lei lo aveva abbracciato piangendo.

“Sono io che l’ho cambiato, purtroppo. E adesso sono una donna sola che ha perduto tutto nella vita”.

“Ma non hai perso Dio”.

“Credo di aver perso anche lui. L’ho offeso e tradito troppe volte”.

“Dio sa comprendere e perdonare. Te lo ritrovi accanto quando meno te l’aspetti e soprattutto quando ne hai più bisogno”.

Barbara lasciò la parrocchia della Caridad portandosi dietro dubbi e angosce. Le restava Dio, era vero. Ma era una presenza troppo immateriale per sostituire un figlio. Il volto di Roberto le apparve come in un flash della memoria. Era il Roberto che aveva amato, quello buono, comprensivo, quello che diceva che lei era l’unica donna della sua vita. Quel Roberto perduto per sempre sarebbe stato il suo eterno rimpianto.

L’immagine del mostro che l’aveva legata e minacciata di morte con un coltello non faceva più parte dei suoi pensieri.

Non esisteva. Non era mai esistita.

E quando le avrebbero narrato la storia del folle omicida che aveva ucciso cinque donne in riva al mare lei avrebbe rivissuto quelle immagini come in un sogno lontano e maledetto.

Perché era stato soltanto un incubo. Sicuro.

Un maledetto incubo d’una calda estate tropicale.

(25 -fine)

Gordiano Lupi

Scritto in prima stesura da marzo a settembre 2003. Pubblicato come Avana Killing da Sprea, per il circuito delle edicole, ma in versione modificata come thriller soprannaturale. Un piccolo successo. Vendette 7.000 copie ed era distribuito in tutta Italia. Rivisto nella sua versione originale da romanzo horror per La zona morta, da settembre a dicembre 2016.