SCAMBIO DI TESTE 21

21.

Il destino pareva accanirsi contro l’ispettore Abril. Lui avrebbe voluto soltanto una vita tranquilla e invece in quel periodo ne stavano accadendo di tutti i colori. C’era un’altra turpe storia sul suo tavolo e anche su quella doveva indagare. Una storia di bambini che venivano ceduti in cambio di denaro a qualche regista cinematografico privo di scrupoli. Pareva che una troupe italiana fosse sbarcata sull’isola e che avesse un set dove girava filmati proibiti, scene di sadismo e depravazione con protagonisti dei minorenni. C’era di sicuro un complice cubano che stava al gioco e che riforniva i cineasti di materiale umano. L’ispettore aveva avuto una soffiata da un informatore ma non si sapeva dove si trovasse il set, di sicuro ogni volta lo spostavano per non dare nell’occhio. Era il cubano che gli interessava, quell’essere spregevole che si era venduto ai capitalisti occidentali e ai loro turpi divertimenti. Abril sapeva bene che i cineasti italiani rischiavano poco o niente. Erano protetti dalle leggi internazionali, al massimo li avrebbero rimpatriati d’urgenza togliendo il visto di soggiorno sui passaporti. Ma per il cubano sarebbe stata tutt’altra musica. Un essere spregevole che speculava sull’innocenza dei bambini sarebbe stato condannato a morte per fucilazione dopo un rapido processo. Gerardo Abril in casi simili avrebbe voluto essere a capo del plotone di esecuzione. Le sue idee comuniste, la morale che un padre giusto e inflessibile gli aveva trasmesso, non potevano neppure concepire certe turpitudini.

     Un’altra brutta storia, pensò l’ispettore mentre sfogliava distrattamente le pagine del Granma. Il giornale ovviamente non ne parlava. Era più che sufficiente che dessero spazio alla faccenda del serial killer che uccideva le ragazze in riva al mare.

In quel momento bussarono alla porta dell’ufficio e l’ispettore fu distratto dalla lettura quotidiana. Mise da parte il giornale, infastidito.

“Avanti!” gridò.

Era un poliziotto che teneva per mano una ragazza.

“Questa donna sostiene di essere stata aggredita” disse il poliziotto.

“Siediti compañera e racconta” la rassicurò l’ispettore.

La ragazza non doveva avere più di diciotto anni, era una creola, dai lineamenti regolari, i lungi capelli neri e un bel sorriso sincero.  Le si leggeva ancora in volto la paura. Sulla guancia destra aveva un lungo taglio come di una lama affilata di coltello.

“Un pazzo mi ha violentata, ispettore. Poi credevo che mi uccidesse quando ha tirato fuori quel coltello, invece mi ha soltanto sfregiata sulla guancia. Ho ancora addosso il suo odore di animale…”.

“Dov’è accaduto?” chiese l’ispettore.

“Ieri notte, sul lungomare di Alamar, vicino al porticciolo dei pescatori. Era molto tardi, non c’era nessuno in giro. Io abito da quelle parti e vado a fare due passi all’aperto quando non riesco a prendere sonno. Lui mi ha aggredita alle spalle e mi ha trascinata dietro le barche. Là mi ha violentata”.

“Lo sai che c’è un maniaco in giro che uccide le donne? Abbiamo dato disposizione alle ragazze di non uscire da sole e di non frequentare zone poco illuminate”.

“Ero a due passi da casa mia. Non ci sono mai stati pericoli”.

“E poi? Ti ha fatto altro?”.

“No. A parte una cosa che mi vergogno un po’ a dire”.

“Parla. Abbiamo bisogno di sapere ogni particolare”.

“Se n’è andato portandosi via le mie mutandine”.

La ragazza era sconvolta. I capelli arruffati, le mani che tremavano. Non doveva aver chiuso occhio per tutta la notte, rimuginando se fosse il caso di andare a denunciare l’accaduto. Poi aveva deciso di farlo, ma adesso era imbarazzata nel raccontare certi particolari a un uomo.

L’ispettore Abril si rivolse al sottoposto.

“Falle firmare una denuncia” disse.

Il poliziotto fece alzare la ragazza e la condusse nel suo ufficio per regolarizzare la pratica e stendere il verbale.

     Una dopo l’altra – pensò Gerardo Abril – di sicuro qui la noia non ci prende…

 

Nei giorni successivi continuarono le aggressioni a ritmo impressionante. Una donna venne violentata e sfregiata  sulla spiaggia di Guanabo, un’altra a Cojimar. Alla Centrale di Alamar si susseguirono denunce fotocopia, tutte dello stesso tenore. Le ragazze dicevano di essere state violentate da un pazzo che le minacciava con un coltello, utilizzato nel momento finale del rapporto per praticare uno sfregio sulla guancia destra.

Gerardo Abril pensava che poteva esserci un collegamento con gli omicidi precedenti. Forse il pazzo stava attraversando un periodo in cui si limitava a violenza carnale e furto feticista. I colleghi di Antares, dopo aver analizzato le ferite da taglio che il pazzo praticava sul volto delle donne violentate, lo dissuasero.

“Non è lo stesso uomo, ispettore” disse il funzionario medico.

“Perché?”.

“Non uccide. Si limita allo sfregio in segno di disprezzo”.

“Ma ci sono la violenza carnale e il furto delle mutandine”.

“Secondo me questo sfregiatore è soltanto un emulatore. Uno che ha letto gli articoli sul Granma, ha sentito parlare in televisione del killer e adesso si sta immedesimando nella sua personalità. Si ferma dove la sua morale non gli consente di andare oltre. Non uccide”.

“Però la zona dove colpisce è la stessa. Le ragazze sono state violentate e sfregiate a Cojimar, Alamar, Guanabo…”.

“Insisto, per me si tratta solo di emulazione”.

“Quindi ci sarebbero due pazzi pericolosi a piede libero…”.

“Credo proprio di sì”.

Gerardo Abril fece intensificare la vigilanza sulle spiagge e su tutto il litorale. Chiese rinforzi alle guarnigioni vicine. Occorreva uno spiegamento di forze tale da poter setacciare e vigilare tutta la zona dove si verificavano gli episodi di violenza.

     Possono dire quel che vogliono – pensava – ma secondo me è lo stesso uomo. Preso uno li prendiamo tutti e due.

Era un testardo l’ispettore Abril, un tipico testardo orientale.

E quando si convinceva di una cosa non era facile fargli credere il contrario.

 

Fu così che una sera il fantomatico sfregiatore venne catturato.

Accadde alla Playa de Santa Maria del Mar davanti all’albergo Tropicoco. Lui aveva adescato una jinetera e se l’era portata in un luogo appartato tra palme e banani. Non fece in tempo a farle niente, però. La polizia aveva raddoppiato la sorveglianza davanti agli alberghi e lui era stato proprio uno sciocco a colpire nei dintorni di un centro turistico.

Lo arrestarono e venne portato alla Centrale di Alamar.

Fu l’ispettore Gerardo Abril ad accoglierlo con soddisfazione.

     Abbiamo risolto il mistero – pensò – il governo sarà contento.

Dall’interrogatorio vene fuori che il pazzo si chiamava Alonzo Gomez e viveva all’Avana Vecchia in una casa piccola e cadente insieme alla mamma e al suo compagno. La mamma era una vecchia ubriacona separata dal marito che si curava poco di lui. Anche lei venne interrogata a lungo, confessò che suo figlio era scappato di casa da qualche giorno e nessuno sapeva dove fosse andato. Alonzo aveva un aspetto così repellente che di sicuro non aveva mai avuto una donna. Era un mulatto sui trent’anni con i denti a coniglio e gli occhi strabici. L’ispettore provò a fargli qualche domanda ma lui non rispondeva in maniera sensata. Balbettò qualcosa sul fatto che doveva farlo, che le donne se lo meritavano perché erano troppo belle, lui invece era così brutto e nessuno lo voleva. Poi erano sempre state cattive con lui. Tutte cattive, a parte sua madre. Non disse altro. I medici dedussero che Alonzo era infermo di mentre e che aveva dei notevoli deficit intellettivi.

“L’importante è averlo preso. Adesso L’Avana è di nuovo una città sicura” disse l’ispettore alla fine dell’interrogatorio.

Redassero un verbale e lo inserirono nel fascicolo relativo al killer. Gerardo Abril lo chiuse con soddisfazione. Il mistero poteva dirsi risolto. Mancava soltanto il referto medico della polizia scientifica di Antares che stava procedendo all’analisi dello sperma per verificare la compatibilità con quello rinvenuto nell’apparato genitale delle cinque donne uccise.

“Portatelo dentro” disse Gerardo Abril.

Finalmente avrebbe passato una serata tranquilla.

 

Quello che l’ispettore Abril non passò tranquillo fu il giorno successivo. E pensare che era cominciato sotto i migliori auspici: una bella giornata di sole caldo che sembrava di essere a oriente, i complimenti governativi per la brillante operazione, una ritrovata tranquillità. Gerado Abril già stava pensando alla prossima domenica quando se ne sarebbe andato al mare con la famiglia. Avrebbero mangiato fuori, bevuto un po’ di birra, magari qualche sorsata di ottimo rum per festeggiare. Fu a tarda sera che arrivò una telefonata da Antares a mandargli di traverso una tazza di caffè nero ben zuccherato che si stava sorbendo. A lui il caffè piaceva molto dolce e ne beveva in gran quantità, a ogni ora del giorno.

“Ispettore, non è il nostro uomo” diceva il funzionario medico all’altro capo del filo.

“Come sarebbe a dire?”.

“Che avevo ragione io, purtroppo”.

Gerardo Abril riattaccò la cornetta sconsolato. Attendeva il referto medico da Antares per inserirlo nella cartella del killer e scrivere la parola fine su quella brutta storia. Invece dovette chiamare un sottoposto e fare aprire un nuovo fascicolo a nome Alonzo Gomez, detto lo sfregiatore. Erano due i pazzi in circolazione, purtroppo. E loro avevano catturato soltanto il meno pericoloso.

(21 – continua)

Gordiano Lupi