SCAMBIO DI TESTE 14

14.

Non era facile tenere Roberto in casa. Venne il medico e parlò di riposo e medicinali, di vita senza stress e tensioni, di dieta controllata e niente alcol. Tutte cose che Roberto non avrebbe mai fatto. Sua madre poteva dire ciò che voleva. Lui aveva vent’anni e non sarebbe stato uno stupido mal di testa  a impedirgli di uscire con Pedro e gli altri amici per le solite scorribande.

Il giorno dopo infatti era già scappato via di buon mattino. Barbara al risveglio trovò solo un biglietto sul tavolo della cucina.

“Sto meglio. Non aspettarmi per cena”.

Maggio stava finendo e il caldo dell’estate portava turisti a frotte sul lungomare dell’Avana. Per lui erano occasioni per divertirsi e guadagnare dollari. Occasioni che non poteva perdere. Non voleva finire fuori dal giro e lasciare ad altri il suo posto.

Barbara pensò che fossero venuti a prenderlo il suo amico Pedro e il resto del gruppo dei ragazzi che di solito frequentava. Destinazione sicura la Playa del Este, verso Tropicoco, dove non era difficile fare incontri.

Barbara uscì presto, dopo una rapida colazione a base di caffè nero e uova fritte. Era tanto che non andava in chiesa e adesso ne sentiva il bisogno, perché era di nuovo sola. Fuori di casa incontrò la solita vita che era abituata a osservare come una spettatrice sfaccendata e curiosa. E le faceva bene la vista dei venditori di maní alle fermate della guagua, dei bambini diretti a scuola con le divise in ordine e i fazzoletti colorati al collo, degli operai intenti a sistemare i giardinetti pubblici. Non era bella Alamar, però lei c’era nata e non avrebbe voluto vivere in un posto diverso da quello. La bellezza del mare strideva con i palazzoni condominiali che laceravano il paesaggio come un colpo di machete, la campagna di palme e banani si frammentava in colate di cemento e anonimi caseggiati. Poco lontano Cojimar e il suo lungomare sfidavano con una prorompente bellezza quella cadente periferia industriale. Ad Alamar non c’era stato Hemingway e si vedeva, da qui non passavano turisti e tutto era lasciato nel più completo abbandono. In comune con Cojimar c’era soltanto la discarica e quel tratto di spiaggia che emanava odori di pesce putrefatto e faceva da rifugio per gabbiani e avvoltoi. La discarica dove avevano ritrovato Azela, trascinata via dalla corrente. Quel ricordo la faceva star male, solo intuire da lontano lo scarico a mare dei rifiuti era un tormento. Avrebbe voluto scacciarlo, ma il ricordo era troppo recente e si affacciava prepotente alla memoria come un incubo indesiderato.  Immaginava come la dovevano aver trovata, massacrata dalla corrente, preda di avvoltoi e gabbiani, cibo per i pesci. In mezzo ai rifiuti, come un oggetto inservibile, riconsegnata alla terra con il cranio sfondato e gli occhi spalancati in un’espressione di stupore. Lei l’aveva vista soltanto alla centrale, per il riconoscimento del corpo, e adesso immaginava la scena terribile che l’ispettore Abril aveva dovuto vedere.

La parrocchia della Caridad di Alamar la distolse dai brutti pensieri. Era al centro di un quartiere popolare, dove ragazzini correvano per strada e giocavano a baseball, delimitando un campo immaginario davanti al sagrato. Era sempre stata il suo rifugio, sin da bambina. Qui aveva sfogato la rabbia verso Enrique che l’abbandonava per un sogno americano. Qui aveva raccomandato a Dio un bambino da crescere in solitudine e miseria. Qui era venuta a confessare il terribile rito santéro che glielo aveva riportato in vita. E padre Antonio era sempre stato un amico, un confidente prezioso, una persona che aveva compreso i momenti difficili e l’aveva sempre aiutata. Anche quando non l’avrebbe meritato, persino quando era venuta a confessarle che stava per uscire dalla grazia di Dio.

Barbara incontrò padre Antonio in sacrestia. Stava sistemando i quotidiani e le riviste nella libreria in legno appoggiata alla parete. Sulla scrivania tante carte ingiallite e un messale aperto sulle preghiere del mattino. Aveva terminato da poco le orazioni. Poi aveva scorso il Granma, in fretta, leggendo solo i titoli a caratteri cubitali e guardando le foto. Non ci trovava mai niente di interessante su quel giornale e ogni volta che lo apriva pensava che a tutto ci sarebbe dovuto essere un limite. Anche alla propaganda nazionalistica. Anche alle bugie sfacciate. Altrimenti il governo avrebbe finito per rendersi ridicolo agli occhi d’una popolazione stremata dalla lotta per sopravvivere. Secondo lui quello era il pericolo più grande. Non accorgersi della realtà. Non capire. Padre Antonio non era mai stato comunista. Non avrebbe potuto. Aveva passato periodi duri, durante i quali il regime aveva ostacolato a fondo l’operato della chiesa ed era stato difficile anche dire messa ed evangelizzare. Lui però aveva sempre avuto simpatia per quei coraggiosi rivoluzionari, per quell’argentino che avevano trucidato in Bolivia, per quella gente così orgogliosa d’aver fatto qualcosa di grande. E dentro di sé soffriva nel veder cadere anche le ultime illusioni. Cuba moriva di miseria e di corruzione, la sua gente era un popolo in fuga per le strade del mondo. E lui spesso non sapeva che dire a quelli che restavano e chiedevano aiuto. Non sapeva quale consiglio dare e come consolare. Era diventato difficile vivere a Cuba e ogni giorno le cose peggioravano un po’ di più. Soltanto il Granma e la televisione di Stato non se ne accorgevano.

“Padre Antonio, avrei bisogno di parlare con lei” disse Barbara.

Il prete mise da parte le riviste che stava catalogando, chiuse il messale e indossò la stola viola per le confessioni.

“Vuoi che andiamo in confessionale?” rispose.

“Lo sa che non mi piace”.

“Va bene uguale. La facciamo qui. Fatti il segno della croce, non credo che ti faccia male se ogni tanto ti confessi”.

Barbara si sedette accanto alla scrivania di padre Antonio e, dopo essersi segnata, recitò il Padre Nostro con le mani giunte. Le piaceva il Padre Nostro, le dava un senso di pace e la faceva star bene con se stessa. Padre Antonio si pose in ascolto, seduto dietro la pila di libri e riviste abbandonate in disordine sulla scrivania. Era preparato a tutto, ormai. Non c’era niente che potesse sorprenderlo.

“Troppa gente è morta” disse Barbara.

“È morta Azela” la corresse il prete.

“Non solo lei, padre”.

“E chi altro?”

“Rammenta Armando? Il santéro dello scambio di teste…”

Padre Antonio fece una smorfia di disappunto.

Lo rammentava, sì. Certo che lo rammentava.

Barbara era convinta che quel ciarlatano le avesse riportato in vita il figlio, mentre per padre Antonio quella di Roberto era stata soltanto una guarigione imprevista e di lì a dire che il merito fosse di un santéro ce ne correva…

“Come potrei dimenticarlo?” rispose.

“È morto anche lui”.

E raccontò della visita a casa di Armando, della paura di Fernando e della concitata evocazione dello spirito guida che aveva portato la morte del santéro per arresto cardiaco. Riferì quelle strane parole pronunciate da Armando prima di morire. Raccontò che erano scappati da quella casa senza dire niente a nessuno di ciò che era successo. Ma adesso aveva paura.

“Non sono un’assassina e  non voglio finire in galera” concluse.

“Avete fatto un errore a fuggire. Non avevate niente da nascondere. E in ogni caso lo sbaglio più grande è quello di continuare a cercare di risolvere i problemi fuori della casa di Dio”.

“Quell’uomo mi aveva aiutato. Siamo andati là convinti che potesse dirci dove trovare Azela. E qualcosa l’ha ucciso…”

“È morto di arresto cardiaco. Sono le tue stesse parole. Sarebbe potuto accadere in qualsiasi momento”.

“Perché proprio allora? Perché proprio mentre stava per dirci qualcosa d’importante?”

“Non so che dirti, Barbara. Mi chiedi spiegazioni su cose che non posso credere. Posso solo capire e faccio già un bello sforzo. Ho solo un Dio da rispettare e non qualche fantoccio africano camuffato da santo”.

“Padre, in realtà sono qui per avere conforto. Mi sento così sola, adesso. Mio figlio non sta bene. Ha dei terribili dolori alla testa e non si vuol curare. Non mi ascolta. Scappa via di primo mattino e lo rivedo dopo un paio di giorni. Dà la caccia alle straniere, perlustra il Malecón, le spiagge di Tropicoco, la piscina della Villa Panamericana. Una volta o l’altra me lo arresteranno e verrò a sapere che l’hanno portato a oriente, in qualche campo di rieducazione per controrivoluzionari”.

“C’è quel rischio. Hanno inasprito le leggi e hanno cominciato ad arrestare davvero. Per adesso fermano soprattutto ragazze sul Malecón, le caricano su camionette dell’esercito, e dopo averle rapate a zero le spediscono a oriente”.

“E poi Azela, la mia unica vera amica, non c’è più. Mi sento addosso la colpa della sua morte, come mi sento responsabile di quella di Armando. Se dovesse accadere di nuovo qualcosa a chi potrei rivolgermi?”

“A Dio, come hai sempre fatto. Dio è l’unico che non ti ha mai abbandonata e che non lo farà mai. Per quanto tu possa offenderlo lui ti ama incondizionatamente e sa che hai bisogno d’aiuto”.

Poi le dette l’assoluzione. Le disse di pregare per l’anima di quel figlio affinché non si perdesse in una vita senza scampo. Avrebbe dovuto controllarlo di più, scoprire quel che faceva, impedire che finisse in giri pericolosi. Sapeva di dare consigli difficili.

A Cuba nessuno viveva nella completa legalità da quando era cominciato il periodo speciale. Ma quel ragazzo non doveva spingersi troppo oltre. Questa era la cosa più importante. Padre Antonio abbracciò Barbara per farle coraggio e le disse di tornare ogni volta che ne avesse sentito il bisogno. Lui era là per aiutarla, ma soprattutto c’era Dio accanto a lei. E non l’avrebbe mai abbandonata. Neppure fuori da quella chiesa che l’aveva vista bambina.

“Dio te lo porti dentro” concluse padre Antonio.

Barbara sorrise e si sentì pervasa da una forza nuova.

La confessione con padre Antonio le aveva sempre fatto quell’effetto e quando usciva di chiesa si sentiva purificata e piena di voglia di vivere.

Suo figlio aveva bisogno di lei. Solo questo contava.

Nessuno avrebbe potuto portarglielo via dopo quello che aveva fatto per riaverlo. Nessuno.

Appena fuori dalla chiesa alzò lo sguardo verso il cielo azzurro del mattino e accarezzò il volo delle rondini e degli avvoltoi. Palme altissime si lasciavano scalare da bambini in cerca di noci di cocco, la vita correva tra campetti improvvisati di baseball e comari indaffarate per la spesa. Il caldo soffocante dell’estate le rendeva pesanti i movimenti e la faceva sudare, mentre s’incamminava per fare rientro alla sua casa di mare.

“Dio è con me” pensò.

“Nonostante tutto”.

(14 – continua)

Gordiano Lupi