ACQUA ALLA GOLA 11

La città è un fiore scuro, con tante macchie luminose sui petali, si schiude lentamente al calore della sera primaverile. Le insegne di negozi, discount, agenzie, banche, bar, tabaccherie, aziende scivola sui vetri. E’ altra luce, riflessa come il calore del sole dalla luna, che si moltiplica al cospetto di tanti specchi.

La strada d’asfalto conduce liscia e silenziosa, sotto il rombo dell’Audi, all’Outlet che brilla e luccica come un albero di Natale. Una canzone jazz pare liberarsi nell’aria, ma forse è solo un suono formato dalle luci che si intrecciano e si scontrano.

L’Audi si ferma e dall’auto scende Enzo, avvolto in una giacca blu elegantissima di Hugo Boss. Con passo deciso si dirige a un negozio. Dopo alcuni minuti esce dalla porta del negozio con in mano due borse. Percorre un tratto della strada interna ed entra in un altro negozio. Nuovamente, fa ritorno sulla strada dopo alcuni minuti, con altre tre borse per mano.

Lo ritroviamo soltanto diversi minuti dopo, mentre traffica nell’auto per sistemare gli acquisti nel bagagliaio. Poi entra nell’abitacolo e sfreccia via.

 

Un’ombra gigantesca scompare dietro il muro. Si sente il vociare di un televisore. Poi silenzio. Una luce rossa filtra da qualche parte, ma è buio, troppo buio per poter capire da dove. L’ombra enorme fa capolino nuovamente dal muro. E’ la sagoma paffuta di una donna spessa quanto un elefante, una donna cannone. Poi scompare nuovamente inghiottita dalle ombre.

- Pa’, ma’, sono io.

La luce si accende di botto e la penombra si dilegua. Scopriamo l’atrio di un appartamento. Enzo sistema sull’attaccapanni il cappotto blu Hugo Boss e appoggia contro il muro le borse.

Non gli risponde nessuno. Si alza nuovamente il vociare da un televisore, dietro una porta.

L’orologio sul muro segna le dieci. Il nostro uomo apre una porta.

- Papà, ma abbassa il televisore!

- Enzino – si sente uscire una voce flebile di uomo, lenta – guardavo Chi l’ha visto. -

- Va bene, papà. Mamma?

- E’ in camera sua, è tutta la sera che mangia e ora si è messa a letto, stava male.

- Mi tieni compagnia che mangio un boccone?

- Ma Enzino, c’è il caso della ragazza di Avetrana!

 

Il buio dei campi è solo una preghiera lontana, il ricordo di una natura cancellata, dall’asfalto, dai cartelloni pubblicitari, dal cemento. L’Audi è tutt’uno con questo ambiente senza vita, grigio e marmoreo, silenzioso nella sua essenza metallica, svanente come il battito d’ali di una mosca. Il Carrefour è lì: immobile senza vita, in queste ore della notte sembra un tempio abbandonato. L’Audi segue delle traiettorie oscillanti, lungo l’immenso piazzale, poi si ferma. Nell’abitacolo, Enzo ha gli occhi fissati su due vetture parcheggiate nell’ombra, le mani accarezzano la pelle del volante.

- Federica, dove sei? – sussurra stringendo tra le dita la superficie nera del volante.

Nel bagagliaio dell’auto c’è un enorme televisore al plasma. E’ il televisore che Enzo aveva comprato quando si era trasferito nella sua nuova casa in centro. La casa con le pareti esterne in marmo e la tenda verde, l’appartamento che Enzo sperava potesse diventare la tana dell’amore con Federica. Il televisore se ne sta lì, un enorme relitto rimasto intatto dal recente passato. Ora Enzo è tornato a vivere con i suoi genitori. Quella casa vuota, fredda marmorea nel centro della città, era diventata una prigione d’avorio, dopo il distacco da Federica. Non era bastato riempirla di oggetti comprati in ogni negozio che gravitasse attorno alla città. Non era bastato tappezzarla dei più costosi mobili, degli elettrodomestici più innovativi, dei prodotti tecnologici all’avanguardia. Quella casa restava una landa deserta, senza di lei.

Meglio fare un passo indietro, tornare nella stanzetta dell’adolescenza tappezzata di fumetti e quadri, almeno per sentire qualche voce ogni tanto, per scambiare qualche parola con qualcuno.

- Se ti vedo qui con qualcuno, lo ammazzo – digrigna i denti.

Da una delle auto parcheggiate al buio esce una sagoma. E’ una ragazza con una gonna corta, che si mette a posto con la mano il reggiseno sotto il vestito. Poi balza nell’altra macchina, mandando un bacio nella direzione dell’auto da cui è uscita. Il viso, appena intravisto nell’oscurità, non è quello di Federica.

Quando le due auto sono scomparse nel reticolo di vie della città, l’Audi si mette in moto e comincia a macinare asfalto. Sono oltre le undici di sera e la luce dei lampioni viene riflessa dal monitor dell’enorme televisore rovesciato nel bagagliaio. Perché Enzo si ostina a portarsi dietro quel mostro elettronico di plastica?

In fondo, Enzo era sempre stato così: un uomo che riesce a fare le cose solo a metà. Qualunque cosa facesse, si ritrovava sempre a tornare indietro. Salvo tenersi qualche frammento, un ricordo, dell’esperienza tentata. Saranno state le letture del suo eroe a fumetti, Dylan Dog, quell’immagine del latin lover eterno bambino?

Il nostro uomo, l’ex store manager, però, non poteva più certo vantare la coscienza pulita di un ragazzino, ormai. I fantasmi che nelle notti stracolme di sogni venivano a sedersi ai piedi del letto di Vittorio, avevano cominciato a fargli visita. Erano tre fantocci grondanti sangue, che la notte salivano dalla polvere sotto il letto e si adagiavano come piume sul materasso, gli occhi vuoti come i crateri della luna.

La luna questa notte è proprio solo un enorme occhio azzurro, vuoto come certi mari d’autunno stanchi, che non sanno più amare.

- Sì, Riccardo, ti ricordi di me? – dice Enzo al cellulare, mentre continua a guidare – Ma sì, sono Enzo, ci siamo conosciuti in palestra due anni fa! Ciao! Mi chiedevo se ti andava di farci una birra. Come, sei con la fidanzata al mare?

L’automobile si arresta davanti alla casa del padre di Roberto. Una luce rischiara la finestra della camera da letto, probabilmente la luce di una abat-jour. Roberto, invece, si sta facendo divorare dalle larve, sottoterra. Enzo ha sepolto il suo cadavere e quello di Vittorio (chissà poi se era davvero già morto?) in un angolo del parco, uno di quegli anfratti in cui non ci è mai passata anima viva e che perfino la luce fatica a filtrare, a causa della folta vegetazione.

- Tra qualche giorno verranno a farmi un paio di domandine – dice con un filo di voce alla sua figura riflessa nello specchietto retrovisore.

Già, perché la polizia si è bevuta la morte della vecchia. Ma è difficile pensare che possa non indagare su due amici scomparsi nel nulla. Per ora, gli inquirenti si sono limitati a coinvolgere i parenti dei due dispersi, a mettere immense foto segnaletiche sui quotidiani e far passare le immagini sui telegiornali locali. Ma prima o poi verranno a fare qualche domanda anche a lui, all’ex store manager.

- Collegheranno la morte della zia con la loro scomparsa, prima o poi.

La luce alla finestra si spegne. Forse il padre di Roberto ha preso qualche tranquillante.

- Roberto cosa farebbe?

Forse Roberto avrebbe saputo come comportarsi anche in questa situazione estrema. Con la sua calma, con i suoi metodi sempre pacati, avrebbe escogitato un modo! Forse avrebbe organizzato una fuga, avrebbe fatto scomparire il gruzzolo in qualche paradiso fiscale e avrebbe fatto perdere le sue tracce. Avrebbe potuto fare come il padre, disperdersi in Madagascar, o in qualche altro paese africano in cui la legge è solo una voce inascoltata. Ma Enzo, di soldi, viaggi, piani, non capiva granché.

- E’ solo colpa di Roberto se siamo arrivati a questo punto! – si riscuote.

E così Enzo non avrebbe saputo fare altro che starsene lì, nella sua città natale, ad aspettare la visita della polizia. Li avrebbe attesi tra le quattro mura della casa dei suoi genitori, per non morire di solitudine nel frattempo, almeno.

Rimette in moto e le stelle sono inutili sorrisi d’argento lucidati dal vento.

- Antonio, ciao! Come chi? Sono Enzo! Ma sì, Enzo del corso di pilates – dice al microfono del cellulare -. Senti, ti va di venire con me a Novara stasera? Ah no, hai da seguire il bambino? Ma da quando sei padre?

La città evapora, è un sogno in cui ci balenano dentro le promesse di tutte le persone che ci dormono, “domani voglio comprare la macchina nuova”, “magari il mio responsabile mi farà avere la promozione”, “mio figlio sarà il più bravo della classe”, “se compro quell’appartamento sarà contentissima”, “voglio andare di nuovo in vacanza a San Remo”, “se vinco alla schedina mi compro tutti i vestiti del negozio”. Promesse di un domani migliore, soffici come guance di un bambino, eleganti come statuette in metallo. Oggi compaiono, domani spariscono, si dimenticano, ritornano, sprofondano e si attenuano, riaffiorano.

Enzo spegne il motore in una via senza lampioni. Parecchi metri più avanti, c’è una casa libera sui quattro lati, con la scala ampia e il giardino nascosto dal muro. E’ la casa di Vittorio, o meglio era la casa di Vittorio.

- Chissà se almeno la real doll è ancora a casa sua?

I cani abbaiano dai cancelli delle case attorno. Sopra i muri sono appollaiate alcune telecamere. Gli ingressi sono illuminati da luci acide. Il solo uscio a non essere illuminato è quello della casa di Vittorio.

Il display del cellulare si illumina. Il nostro uomo risponde con voce pimpante.

- Lele, sei tu! Chi sono? Sono Enzo, quello che hai incontrato al corso di cucina. Sì, ti avevo chiamato prima. Per cosa, dici? Eh, volevo chiederti se ti andava una partita di biliardo. Ah, ho capito. Devi stare all’ospedale che tua moglie sta partorendo.

L’ex store manager rimette in moto. Per un attimo gli era parso di vedere la sagoma di Vittorio che lo salutava dalla finestra (ma era davvero già morto? Chi viene sepolto vivo può riuscire a cavarsela?).

L’Audi scivola ancora per le strade della statale e poi della città. Ogni tanto Enzo allunga l’occhio al telefonino, controlla se qualcuno l’abbia chiamato. Ma non l’ha chiamato nessuno. Roberto e Vittorio se li stanno mangiando i lombrichi, i vermi, i collemboli e le formiche. Presto il loro corpo si disperderà nella terra, non saranno mai più un qualcosa di distinguibile dal resto del creato. Saranno materia.

Il televisore al plasma è lì, a dormire nel bagagliaio, lucido, sembra una navicella venuta dal futuro. Chissà se Enzo mai si deciderà a portarselo a casa. Chissà se mai tutte queste persone che ora dormono tranquille nei loro letti si accorgeranno di avere un assassino, tra di loro. Chissà se tutti i sogni che in queste ore si compongono e si decompongono troveranno mai una degna rappresentazione. Chissà se tutti quelli che domani mattina si svegliano per andare al lavoro, decideranno un giorno di spegnere la sveglia e continuare a dormire. Chissà se tutti questi sorrisi, che frusciano languenti come i soldi di mano in mano, inutili e luccicanti come palline di un flipper, cadranno inutilizzati nella polvere. Chissà se tutte queste luci si spegneranno mai, un giorno in cui l’universo finirà di avere energia e tutto andrà a disfarsi, scomparirà, ripiegherà, collasserà nell’immensità accecante di un unico strapotente nero, vuoto e immobile per sempre, senza senso.

(11 – fine)

Daniele Vacchino & Davide Rosso