SCAMBIO DI TESTE 07

7.

Manolo faceva davvero il bello e il cattivo tempo a Guanabacoa. Non c’era nessuno che potesse pensare di mettere in piedi un’attività o un mercato illegale senza ricorrere alla sua protezione. Lui aveva i contatti giusti persino con qualche poliziotto corrotto. Imperversava come un tornado tra i tetti sconquassati delle case di legno del quartiere. Tutti lo temevano e lo rispettavano e nessuno avrebbe voluto avere da discutere qualcosa con lui. Neppure suo padre e sua madre. Manolo non aveva bisogno di parole per farsi ragione. Lui aveva studiato poco. Risolveva i problemi facendo parlare il coltello che teneva nella tasca dei pantaloni. Secondo lui era il metodo migliore, l’unico che aveva appreso alla scuola della vita. Con le donne non si comportava in modo molto diverso.

“Le donne servono soltanto per scopare” diceva.

Quindi era inutile perdere tempo in romanticherie e conquiste. Lui era l’uomo più forte del quartiere e non ammetteva rifiuti. Se qualcuna si ribellava sapeva come convincerla. Una sera aveva quasi violentato la sorellastra che non voleva saperne di andare a letto con lui. Lei aveva gridato così forte che la lasciasse stare e alla fine erano arrivati anche i genitori. Manolo aveva dovuto intimare a tutti il silenzio con il coltello in pugno.

Se una donna si innamorava di lui lo faceva a suo rischio e pericolo. Manolo non sapeva neppure cosa volesse dire amare. Conosceva soltanto il piacere. Non altro. Il punto di vista degli altri non gli interessava. Floriana, una neretta di appena quindici anni, si innamorò follemente di lui. Lo vedeva forte, coraggioso, temuto da tutti. Manolo divenne il suo eroe. Era uno di quegli amori irrazionali che prendono le ragazzine a quella età e non le lasciano libere di decidere con la ragione. Ciuci  se ne accorse.

“Ti va di venire con me alla festa di Paco?” le chiese un giorno.

“Vuoi dire che sarai il mio cavaliere?” domandò Floriana tutta infervorata.

“Certo”.

La ragazzina accettò con entusiasmo. Manolo passò a prenderla all’ora stabilita, ma quando furono a casa di Paco si accorse di essere l’unica donna della festa. Intorno a lei c’erano soltanto una decina di ragazzi dall’aspetto per niente rassicurante.

“Dove sono le altre ragazze?” chiese impaurita.

“Non ne abbiamo bisogno” le disse Manolo con un ghigno crudele “ci basti tu”.

Era carina Floriana nei suoi acerbi quindici anni, una ragazzina magra, di pelle nera come il carbone, senza un filo di grasso. Quelle bestie la ridussero davvero male. La picchiarono e la violentarono per tutta la notte. Le infilarono nella vulva e nell’ano bottiglie e oggetti di ogni tipo. La penetrarono in tutte le posizioni senza curarsi delle sue lacrime. Alla fine Manolo prese in mano un coltellino dalla lama affilata.

“Tenetela ferma” disse rivolto a due compari.

La bloccarono a un tavolo allargandole bene le gambe.

Manolo impugnò il coltello e con un taglio netto e deciso le lacerò il lembo di carne che va dalla vulva all’orifizio anale facendola gridare a lungo di dolore. La ragazza perse molto sangue e svenne. Quando si svegliò fu Manolo a caricarla sulla sua auto e a portarla via.

“Ho bisogno di un medico” implorava Floriana “sto sanguinando”.

“È un problema tuo, bellezza” rispose Manolo.

E la abbandonò per strada.

“Ricorda soltanto che se vai a raccontare qualcosa di ciò che ti è successo questa volta userò il coltello per tagliarti la lingua”.

Floriana fu condotta in ospedale da alcuni passanti. Non raccontò mai niente di quella terribile notte. Aveva troppa paura.

A Marta successe di peggio. Lei era stata sua compagna per più di un anno. Pareva avesse imparato a sopportarne il carattere violento e gli scatti d’ira. Marta restò incinta di Ciuci e glielo disse.

“Non è mio, bella. Tu non m’incastri” fece lui per tutta risposta.

“Come sarebbe a dire che non è tuo? Sono stata soltanto con te da un anno a questa parte…”.

“Tu sei una puttana come tutte le donne e mi avrai sicuramente tradito. Adesso ti darò quel che meriti”.

Manolo accompagnò le parole ai fatti. Prese la granata che teneva appoggiata al muro della cucina e cominciò a colpirla con violenza. La percosse a sangue, lasciandoli segni su tutto il corpo. Poi la colpì con calci e pugni. Marta abortì e lui la lasciò.

Soltanto per fare una bravata una volta violentò la figlia d’una cugina che viveva come un vegetale in una sedia a rotelle. La cugina si accorse che era accaduto qualcosa quando scoprì resti di sperma tra le gambe della figlia mentre la cambiava. La ragazza non era per niente autonoma. Incolpò subito Manolo, era l’unico capace di una cosa simile. Lui non si scompose.

“Certo che sono stato io. Ho fatto un’opera buona”.

“Tu sei soltanto un animale” gli disse con disprezzo la cugina.

“Almeno l’ha assaggiato anche lei…” rise Manolo.

Fu il padre di Manolo a calmare la cugina. Sapeva che suo figlio poteva fare di peggio e conveniva lasciar perdere. Suo padre aveva cercato di parlare con lui qualche volta. Chiedeva spiegazioni. Si preoccupava. Temeva che si potesse mettere nei guai.

“Fatti gli affari tuoi” era la migliore risposta di Manolo.

“Ho paura per te” insisteva.

“Senti vecchio, adesso sono grande e porto i soldi a casa. Non ho bisogno di nessuno che si preoccupi per me”  gli aveva detto.

“Sono tuo padre…”.

“Ti ho detto che sono cresciuto e non ho bisogno di un padre”.

Quelle parole potevano voler dire tante cose. Lo scintillare di odio che proveniva dalle pupille di Manolo non faceva stare tranquilli. Suo padre non mise più bocca negli affari del figlio e cominciò ad assecondarlo come una vittima. Ne aveva paura. Una paura folle. Aveva capito che teneva in casa un serpente velenoso che poteva morderlo in qualsiasi momento.

La mamma non si dava pace.

“Manolo, finirai male” diceva.

“Tu pensa alle cose da donna”.

“Io penso anche a te che sei mio figlio”.

“Sono un uomo e so badare a me stesso”.

Tra l’altro Ciuci la galera l’aveva già sperimentata. A sedici anni aveva fatto un paio d’anni di carcere minorile perché aveva rubato e ammazzato un cavallo per venderlo come carne da macello al mercato nero. Raggiunta la maggiore età invece lo avevano messo in prigione per strozzinaggio e per spaccio di droga. Dietro le sbarre aveva imparato che in mancanza di meglio si poteva fare l’amore anche con un uomo. Il suo compagno di cella era un disgraziato di vent’anni di nome Javier che era rimasto folgorato da un fulmine mentre lavorava nei campi. Javier era completamente bruciato e per questo era diventato impotente. Ciuci non poteva resistere troppo tempo senza una donna e si adattò a Javier. Lo obbligò a subire penetrazioni senza protestare. In prigione vigeva la legge del più forte e come sempre era lui a comandare.

“Se parli ti uccido come un cane” lo minacciava.

“Tanto non servi a niente” lo torturava “non ti si rizza neppure…”.

Il ragazzo subì a lungo le violenze di Manolo.

Poi, una mattina, una guardia trovò il corpo di Javier che pendeva senza vita dalla doccia della cella. Il suo cadavere era legato a una striscia di lenzuolo a forma di cappio. Javier non aveva retto le continue umiliazioni.

Ciuci viveva le avventure della notte e seminava il terrore per il  quartiere di Guanabacoa. Faceva innamorare le donne, poi le sfruttava e le spediva per strada a rimorchiare stranieri. Il rapporto cambiava in poco tempo, non era più l’amante ma il protettore che in cambio della sua tutela chiedeva buona parte dell’incasso. Aveva il controllo di un paio di discoteche del quartiere dove smistava donne e un po’ di fumo. Prestava denaro a interessi esorbitanti e ricattava le persone che aveva in pugno. Affittava la casa del padre a gente che praticava orge e festini a base di cocaina e sesso, spesso partecipava anche lui. Controllava il mercato nero e ogni piccolo spacciatore di prodotti illegali se la doveva vedere con lui.

Era il guapo del quartiere.

Adesso però si era ammalato. Roba da niente gli avevano detto. Se la sarebbe cavata con poco. Ma soltanto l’idea di entrare in un ospedale e farsi mettere le mani addosso da degli stupidi medici lo infastidiva. In ogni caso sarebbe uscito presto da quella situazione per tornare all’opera più potente di prima.

(7 – continua)

Gordiano Lupi