SCAMBIO DI TESTE 05

5.

La parrocchia della Caridad di Alamar si trovava proprio in mezzo alle case popolari, gli alti condomini costruiti negli anni Settanta per dare alloggio ai senza tetto e ai baraccati. La chiesa era il centro vitale del quartiere e un punto di ritrovo importante per i ragazzi. Barbara ci andava ogni giorno, seguiva con attenzione le funzioni domenicali e le messe vespertine.

Quando la guagua si fermò davanti alle case popolari, il mare rumoreggiava in lontananza sotto i colpi d’un vento caldo che da alcuni giorni tormentava la costa. Lei alzò gli occhi al cielo e sospirò. Vide la croce su quel tetto di tegole rosse e il campanile. Non era grande la parrocchia della Caridad, l’avevano costruita ai tempi dello sviluppo edilizio di Alamar in uno stile indefinibile, a metà tra il finto barocco e il neoclassico spagnolo.

Padre Antonio veniva da Porto Rico e su di lui ad Alamar si raccontava da sempre una strana storia. Pareva che lo avessero spedito a Cuba per punizione perché in gioventù l’aveva combinata davvero grossa. Era appena un ragazzo padre Antonio e aveva ottenuto il primo incarico proprio nella sua San Juan. La parrocchia era grande e a lui assegnarono il compito di guidare il gruppo giovanile. Padre Antonio si gettò con entusiasmo nell’incarico. Dirigeva il giornale della parrocchia, organizzava le gite, i campi estivi, le escursioni, le partite di baseball. Divenne il capo carismatico di un gruppo di ragazzi che in fondo avevano soltanto pochi anni meno di lui. Tra quei giovani c’era una mulatta di nome Teresa che per padre Antonio divenne presto qualcosa di più che una devota parrocchiana. Erano due giovani inesperti e passavano troppo tempo insieme. Teresa aiutava padre Antonio in ogni incombenza, era una ragazza molto intelligente ed era diventata la sua segretaria. Purtroppo finì che si innamorarono. Riuscirono anche a nascondersi agli occhi degli altri per un po’ di tempo. Poi la voce cominciò a correre. Lo scandalo fu grande. Troppo grande perché padre Antonio potesse restare a San Juan. Non solo. Troppo grande perché potesse rimanere a Porto Rico, un’isola così piccola non poteva contenere il clamore di un giovane prete innamorato di una parrocchiana. I suoi superiori lo mandarono a chiamare e lo misero davanti a una scelta. Lasciare la chiesa o lasciare Porto Rico. Padre Antonio era pentito di ciò che era accaduto e sentiva forte dentro di sé la vocazione. L’episodio di Teresa era servito a rafforzarla ancora di più. Lui non era entrato in seminario per solitudine ma per fede e adesso non voleva perdere tutto per un errore giovanile. Fu così che fece atto di obbedienza e accettò l’esilio dalla sua terra. Lo mandarono a Cuba, dove nessuno sapeva niente di quella storia. Ma si sa che le voci corrono più rapidamente degli uomini e poco a poco ad Alamar cominciò a girare quel racconto. A padre Antonio l’esperienza con Teresa era servita da lezione perché ad Alamar non accadde mai niente di simile. La sua fede era stata messa a dura prova, lui aveva ceduto alla tentazione, ma non sarebbe più caduto nel peccato. Lo avevano mandato a Cuba per evangelizzare, in un posto dove c’era da lottare contro culti proibiti e sincretismo religioso ma persino contro un regime comunista, che a parole lasciava la chiesa libera ma nei fatti la ostacolava. Lui si era rimboccato le maniche e aveva fatto il possibile, soprattutto aveva confortato i bisognosi, facendosi accettare dalla gente del posto. Conosceva i cubani, anche se non era uno di loro, sapeva che non era con l’intransigenza che avrebbe ottenuto qualcosa. Ormai erano passati così tanti anni da quando aveva lasciato Porto Rico che conservava solo un vago ricordo del suo paese. Con tutta probabilità non ci sarebbe più tornato, non ne aveva motivo, perché nella sua terra natale non aveva più nessuno. Cuba era la sua nuova patria, sarebbe morto ad Alamar, accanto a quel mare solcato da pescatori, in mezzo alla povera gente che viveva in quei giganteschi condomini senza ascensore.

Barbara guardava la chiesa e una voce le sussurrava che doveva farlo. La guagua per Guanabacoa sarebbe transitata tra più di un’ora e c’era tempo prima di andare da Azela. Si incamminò verso l’edificio a passi decisi, attraversando un  giardino condominiale dove alcuni bambini si lanciavano una palla di gomma in un campo da baseball improvvisato. Venivano le solite grida dalle finestre, semplici chiacchierate tra vicini di casa da un terrazzo all’altro, magre galline vagavano per il prato beccando i miseri resti che trovavano. Erano le sei della sera e gli operai facevano rientro a casa, chi dalla raffineria di Guanabacoa, chi dalla manifattura di tabacco. I pescatori avevano tirato in rada le loro barche, rimettevano a posto le reti nelle casupole di legno accanto a palme e banani che si affacciavano sul mare.

Barbara entrò in chiesa. Un acre odore d’incenso penetrò le sue narici facendola rilassare. Le piaceva l’odore dell’incenso, come l’affascinava entrare in quell’edificio, dove si scopriva così piccola di fronte all’immensità. Il tetto era molto alto, al termine della navata centrale, proprio sopra all’altare, bastava alzare gli occhi al cielo per sentirsi una cosa piccola al confronto di un Dio raffigurato da mosaici e affreschi nelle tele laterali e nella cupola della chiesa. Barbara cercò padre Antonio. Era l’ora che di solito confessava, ormai conosceva le sue abitudini. Lo vide in fondo alla navata centrale, aveva appena finito di ascoltare i peccati di una parrocchiana, una delle mansioni che gradiva meno della sua vita religiosa. Padre Antonio venne incontro a Barbara e la abbracciò.

“Non vorrai mica confessarti anche tu?” chiese scherzando.

“A dire il vero ne avrei bisogno.”

Il sorriso lasciò il posto a un’espressione preoccupata.

“Cosa è successo?”

“Si tratta di Roberto.”

“Ci sono novità?”

“Per lui no, purtroppo. Sono io che ho fatto qualcosa di grave.”

“Vuoi parlarne davvero in confessionale?”

“Preferirei di no, se fosse possibile vorrei parlarne da donna a uomo.”

“Parla. Ti ascolto”.

E raccontò tutto. Padre Antonio seguiva le parole di Barbara e si faceva sempre più scuro in volto. Anche a Porto Rico la gente del popolo praticava strani culti africani, ma a Cuba aveva trovato una fede molto diffusa in quelle superstizioni e la cosa lo irritava molto. Ogni volta che sentiva quelle storie assurde raccontate con grande convinzione si rendeva conto che non era facile la sua missione in mezzo a quella gente. A Cuba tutti erano disposti a dar credito al primo ciarlatano che diceva di parlare con gli spiriti dei morti. Ascoltò sino in fondo il racconto di Barbara, facendo sforzi enormi per evitare di interromperla, poi sbottò.

“Cosa vuoi che ti dica? Pensi davvero che questo Armando possa risolvere i tuoi problemi? Credi che mettere in pedi riti e stregonerie sia la via da seguire per salvare Roberto? Fai pure, ma non aspettarti conforto o assoluzione da me perché non posso dartene. Non è il mio compito.”

“Padre Antonio, vorrei soltanto che mi comprendesse. Sono una madre disperata che si aggrappa a ogni possibile speranza.”

“Mi chiedi troppo, Barbara. Tu, piuttosto, cosa intendi fare?”

“Qualcosa ho già fatto. Avevo un peso sulla coscienza e sono venuta a liberarmene. Questa è la mia chiesa e qui sta il mio Dio.”

“Però vuoi fare una cosa che ti allontanerà da lui.”

“Ma devo farla, padre. Che lei lo comprenda o no.”

“Mi chiedi di capire un’eresia…”

“Le chiedo solo di mettersi nei panni di una madre che ha perduto tutto nella vita e che adesso non vuole vedersi portar via anche suo figlio.”

Padre Antonio la guardò pensieroso, Barbara aveva gli occhi arrossati e stanchi, qualche lacrima le solcava le guance mentre parlava. Lui sapeva che ne aveva dovute passare tante in vita sua, dando sempre prova di coraggio da quando era rimasta sola con il figlio. Poi era sempre stata una parrocchiana devota. Si avvicinò a lei, la abbracciò con tenerezza, quella ragazza aveva vent’anni meno di lui e l’aveva vista crescere all’ombra di quel campanile quasi come se fosse stata una figlia.

“Non posso impedirti niente, anche se per me stai facendo una grossa sciocchezza. Spero soltanto che un giorno o l’altro non te ne debba pentire. Qualunque cosa accada sai che qui ci sono io, su di me potrai contare sempre.”

“Grazie, padre Antonio. Era quello che volevo sentire.”

Si salutarono. Il parroco pensò, come sempre gli capitava  davanti a casi simili, che era davvero difficile il suo mestiere in quella regione del mondo.

“Qui non siamo a Roma” pensava spesso “la realtà è ben diversa da come se la può immaginare un cardinale del Vaticano.”

Barbara uscì dalla parrocchia, era tranquilla, aveva fatto il suo dovere confessando quello che stava per fare. Non poteva pretendere l’approvazione, voleva soltanto essere ascoltata e sapere che in ogni caso là dentro avrebbe potuto trovare di nuovo rifugio. Adesso aveva davanti l’occasione di fare qualcosa e non poteva rinunciare.

Nessuno lo farebbe al posto mio, pensò.

Se fosse rimasta senza fare niente si sarebbe rimproverata di non aver tentato. E questa era l’unica cosa che  non poteva permettersi.

Non con suo figlio, almeno.

 

Appena Barbara se ne fu andata, padre Antonio ricordò che una storia come quella era accaduta molti anni prima. Lui non ci aveva voluto credere ma la gente di Alamar anche allora aveva parlato di ossessori e di scambio di teste. Cominciò a rimuginare dentro di sé mille congetture. Frugò tra i ricordi di molti anni prima. Rivide il volto di Felipe, il figlio d’un pescatore che si era ammalato improvvisamente d’un male incomprensibile. Felipe era un ragazzino di quindici anni che frequentava la parrocchia e giocava nella squadra di baseball dell’oratorio. Una sera si era bloccato sul letto con gli occhi spenti rivolti verso il cielo. I medici non sapevano cosa dire. Lo tenevano in vita alimentandolo con le flebo. Padre Antonio si recava a casa del ragazzo tutte le mattine per dare un po’ di conforto, impartire i sacramenti e pregare.

“Dovete avere molta fede” diceva ai genitori.

Anche lui però non sapeva cosa dire.  La malattia era strana e terribile. Felipe era sempre stato un ragazzo sano, non aveva mai sofferto di niente e si era bloccato su quel letto improvvisamente.

Un giorno la rabbia del vecchio pescatore esplose contro padre Antonio: “La tua fede non serve, prete!” gridò.

Lui aveva cercato di capire. Era di fronte a un uomo che stava perdendo suo figlio. Aveva cercato di tranquillizzarlo e poi aveva parlato con la moglie.  Anche la donna pensava le stesse cose del marito. Lei prima lo aveva fissato a lungo, poi aveva concluso: “Se tu esci dalla nostra casa libereremo nostro figlio”.

Padre Antonio aveva cercato di far capire che stavano sbagliando e che la loro unica certezza in quella difficile situazione doveva essere la fede in Dio. Ma era stato inutile. Nei giorni successivi il ragazzo era guarito e per le strade di Alamar era corsa voce della sconfitta di un ossessore, avvenuta per mezzo d’uno scambio di teste. Pareva che in quella casa di pescatori fosse venuto a officiare il rito un famoso santéro dell’Avana.

Padre Antonio scosse la testa e scrollò via i cattivi pensieri.

Le parole di Barbara gli avevano fatto tornare alla mente una vecchia storia che credeva dimenticata. Uno di quei tanti debiti pagati alla  superstizione da quando era venuto a Cuba per servire il Signore. E adesso, all’improvviso, gli sembrava di rivivere il passato.

(5 – continua)

Gordiano Lupi