VIRGINIA E LA BAMBOLA: SULLE CENERI DELL’UNDERGROUND VERCELLESE

Ho diletto nello scrivere alcune righe andando a memoria (la mia, praticamente un oblio) sui film amatoriali girati attorno alla provincia vercellese. Mi direte: perché quelli del vercellese e non del novarese o del torinese? Perché a Vercelli vivo e a Novara o Torino no e non conosco nulla. Quanto vado scrivendo potrebbe valere per ogni anfratto della penisola e proprio per questo considero il caso (isolatissimo) di Vercelli un esempio, poiché se anche in un luogo tanto depressivo si sono sviluppati dei percorsi creativi, figuriamoci altrove.

Vercelli è un luogo dove o lavori o dormi o ammazzi a fucilate la famiglia. In alternativa (negli anni ’90) potevi fondare una band (metal) o girare dei film. I giovani autori (lo ripeto: amatoriali) locali si sono bruciati come stelle comete: nel volgere di poche stagioni (alcuni anche solo un biennio, o per un solo lavoro mai terminato) si sono estinti, sparendo coi loro lavori. Per questo, nonostante in venti anni abbia cercato di collezionare tante visioni, non credo di esser riuscito a vedere nemmeno la metà dei lavori girati dagli anni ’90 fino agli anni zero – oggi non ho nemmeno più la pretesa di inseguire i nuovi talenti: da un lato internet ha facilitato la diffusione dei corti, dall’altro li ha centuplicati e banalizzati, rendendo il tutto meno affascinante e carbonaro; ecco, il concetto di carboneria spiega perché mi fermerei agli anni zero, forse prima; mi affascina(va)no i film amatoriali girati con mezzi zero da gente completamente tagliata fuori dai giri seri, ragazzi privi di talento e forse persino di ambizioni. Ne ho conosciuti alcuni che, già dopo il primo filmino penoso, si credevano dei geni, ma alle spalle avevano solo una mamma che lavorava in Fininvest. Di questi non parlerò, tanto ne ho rimosso pure i nomi. Bene. Parlerò di altri loschi figuri, conscio di tralasciarne altri altrettanto salienti.

Le mie visioni (ormai confuse) cominciano da un lontano film degli anni ’80, fine ’80, poi circolato su Italia Uno (per dei brevi spezzoni) nei primi Novanta. Si tratta di Rambo 14 di Fabrizio Bertolone, un tizio coi capelli lunghi, magro, canotta, gins e piglio tamarro. Bertolone girò un’opera in video, credo con una cinepresa in VHS, che si ispirava fortemente al film con Stallone; Fabrizio mostrava le scene originali del film, solo che al posto di Stallone c’era lui; insomma sostituiva certe inquadrature con altre, cercando di rispettare la fotografia, lo stile e il doppiaggio (che, mi pare, rimanesse quello del film con Ferruccio Amendola). Il lavoro (montato nel negozio di elettrodomestici di Florio Video) risultava originale e professionale, oltre che divertentissimo. Fabrizio sostituiva il Vietnam col Sesia e ci aggiungeva torme di ragazzini reclutati per interpretare improbabili guerriglieri della giungla. Rambo 14 non sarà stato il primo lavoro prodotto da un ragazzo senza nessuno alle spalle, ma di sicuro è stato tra quelli meglio confezionati e rappresentativi di un’indipendenza produttiva conquistata grazie alle tecnologie analogiche (VHS, video 8, Hi8). Rambo 14 passò su un programma di Italia Uno che trasmetteva video amatoriali girati in Italia e Bertolone era il primo ad essersi confrontato con un film e ad averlo rifatto. Non ricordo il nome del programma, però ho stampato nella mente la mia sorpresa quando ho visto l’annunciatrice dire che un ragazzo di Vercelli aveva rifatto il film di Stallone. Ho cercato per anni la copia integrale e l’ho trovata in una videoteca di Vercelli che oggi ha chiuso: Bertolone era uno dei clienti e aveva lasciato una VHS in visione ai gestori. Ho duplicato quella VHS col mio videoregistratore e la conservo ancora. Sul nastro Bertolone aveva registrato delle parti di quel programma di Italia Uno e una sorta di backstage, con lui che se ne andava in giro con un macchinone per le periferie disastrate e polverose della città, sempre attorniato da ragazzini con 10 anni meno di lui. Ho avuto anche il piacere di conoscere personalmente Fabrizio Bertolone durante un festival di video amatoriali organizzato parecchi anni fa. Per la prima volta Bertolone salì su un palco e gli fu (tiepidamente) tributato un omaggio, con tanto di proiezione del film e una tavola rotonda con altri autori locali. Durante quell’occasione ho avuto modo di vedere un Fabrizio differente, invecchiato, malinconico, forse risentito per non essere riuscito a girare altri film o a sfondare nel vellutato mondo dei riflettori. Bertolone si sentiva a disagio davanti a un pubblico numeroso e aveva paura di essere deriso. Era sospettoso, insomma, schiacciato dal peso di una vita lavorativa precaria e difficile. Lo vedo ancora mentre si allontana su un altro macchinone d’apparenza, sgommando via come ultimo segno di un riscatto mai giunto. Non ne ho più saputo nulla, eppure il suo film è ancora qui con me; non lo rivedo, perché ho buttato via il videoregistratore e quasi tutte le mie VHS, però provo infinito affetto per quel lavoro, grezzo, possente, ironico, pieno di energia e vita.

Dopo Fabrizio Bertolone sono incappato nelle “voci”, quasi delle leggende urbane, su un fantomatico Ragazzo dal kimono di bronzo, film girato e mai montato da Gianluca Milanino, un ragazzo che aveva frequentato l’ITIS come il sottoscritto. Il film non è mai stato visto da nessuno e nemmeno proiettato, però è stato girato, tante e troppe sono le voci che lo attestano. Pare fosse una scopiazzatura (meno originale e d’effetto rispetto a Bertolone) del film con Kim Rossi Stuart, pieno di ragazzini di 13 anni che si menavano a colpi di kung-fu e stelle ninjia.

Ho avuto la possibilità di vedere parecchi film girati dal gruppo Mario Catalani, composto da vari ragazzi della zona tra cui il sottoscritto, autori di mediometraggi in video 8 girati alla brutta, tutti trash horror ispirati a pellicole famose. I lavori venivano proiettati nei bar o negli oratori della città e alle proiezioni si accorreva col passaparola. Di tante scemenze ricordo un corto pornografico, dove un tizio fingeva di penetrare una ragazza ed era inquadrato a mezzo busto, poi c’erano gli stacchi presi da dettagli di film hard con Peter Norton! Ecco, la Catalani lavorava così. Dopo aver girato un film di zombi dentro una chiesa sconsacrata si sono sciolti. Quel film non è mai circolato perché uno degli attori li aveva minacciati di denuncia e voleva ritirare le copie, in quanto era stato filmato col culo di fuori e un paio di zombi che se lo inchiappettavano (gli zombi erano gay). Dopo questi primi lavori (tutti collocabili negli anni ’90, girati senza mezzi, con telecamere oggi impensabili e mixer audio da 5 mila lire), c’è un salto qualitativo notevole dettato dall’arrivo del computer e di un montaggio più preciso, curato.

Uno degli autori maggiormente conosciuti è stato Guillermo Gonzalez Diez di Santhià. Il ragazzo ha girato un lungometraggio poliziesco con un cast enorme e numerose location: Il giorno del Marsupiale. Il lavoro venne proiettato in un cinema locale e fece il tutto esaurito e l’autore portato fuori in trionfo. Gonzalez girò altri corti, ma senza quella vena ironica e anarchica e via via si perse, diventando un aiuto regista per varie fiction Rai e Mediaset.

Gonzalez girò anche delle cose col patrocinio del comune di Vercelli e fece sodalizio con Camillo Coppa, un educatore intelligente e simpatico che, nel tempo libero, amava cimentarsi coi film. Coppa lavorò a vari corti e produsse i due film di Edoardo Bellone, Le andate (un thrilling commedia) e Noir, lavori di genere assai curati e rifiniti. Entrambi vennero proiettati in un cinema e riscossero un successo enorme.

Altro nome è/era quello di Davide Losa, uno nato come truccatore amatoriale, poi diventato, con Alberto Riccio, regista di un fenomenale slasher monferrino: Lacrime di Sangue, lavoro proiettato al multisala di Casale, appunto, e capace di riassumere il sottofilone americano, collocandolo però in un contesto sociale tipicamente italiota.

Segnalo il gruppo FantoMarx, geniale sigla di un numero imprecisato di soggetti (tra cui alzo un pochino la mano pure io) che girarono e montarono dei corti surreali, spesso delle inquadrature fisse che omaggiavano i vecchi film del muto e dell’illusionismo. Tra coloro che parteciparono al progetto e girarono (anche dei piccoli gioielli, come The davenport number, su YouTube), segnalo Jacopo Mandelli, Bruno Vacchino e Fabio Ghidoni, oggi attore di fiction per Rai e Mediaset.

Bene.

Il memoriale finisce qui.

Tutto questo era per introdurre un ultimo lavoro, girato da pochissimo, ad opera di due esordienti che conosco bene (e conoscete pure voi lettori della Zona). Uno è Daniele Vacchino, l’altro è Cristiano Chiesa. I due hanno girato all’impronta un cortometraggio, Virginia e la bambola, che potete vedere qui sulla Zona (lo troverete alla fine dell’articolone che ci ha preparato il nostro Davide; il Boss), oppure su YouTube. Si tratta di un thrilling all’italiana singolare, nel quale sono stato chiamato a interpretare il ruolo del maniaco. La trama è involuta, ma poco importa; quel che mi ha colpito (e lo dico senza dover fare a tutti i costi l’avvocato difensore) è stata la realizzazione tecnica. Girato tutto in una sera, in tre ore (a casa del Chiesa), con una sola attrice (la splendida Virginia Malcangi, fidanzata del Chiesa) e senza uno straccio di trama. Il duo ha improvvisato tutto, girando il corto in sequenza e con quasi tutte le scene buone alla prima, tenendosi tutto a mente (e in effetti il montaggio era praticamente fatto, cosa notevole per due che non avevano mai fatto una ripresa in vita loro e manco sapevano usare i programmi di montaggio più elementari). Vacchino ha curato la direzione di Virginia e la continuità, Cristiano ha girato fisicamente tutto con una telecamerina minuscola che viene usata nelle gastroscopie! Sfido anche i grossi nomi del cinema coi soldi a cavarsela in così poco e senza niente. Nonostante i mille limiti, i ragazzi hanno portato a casa un lavoro finito (quasi una graphic novel in movimento, precisa Cri), che mescola il giallo italiano (col classico maniaco in nero che spia una ragazza sola), le bambole, i colori psichedelici saturi e un ritmo lento (rolliniano e punk, precisa Dani) da anti-climax che non vuole portare a nulla di particolare. Mi è parso di notare tracce (involontarie) di surrealismo e dadaismo, anche per il gusto sfacciato con cui si chiude il corto, lasciando tutto in sospeso, confuso, indeterminato, senza senso. Dunque (e lo confronto velocemente con quanto ho visto in questi 20 anni a Vercelli) un film assai libero, montato da due persone a cui non frega nulla del cinema, del diventare famosi, eccetera, due che non hanno (lo posso garantire, questi li conosco bene) velleità e non si credono migliori di altri. Virginia e la bambola è un gioco, lo scherzo di una sera, e crea una certa atmosfera irreale. Il corto è nato spontaneamente dall’amore per la scrittura (qui visiva di Daniele), per la pittura (qui in movimento, di Cri) e anche un pochino dalla noia di una provincia in cui puoi sempre finire a fucilate la tua famiglia.

Meglio allora mettersi al lavoro su un buon film!

Infatti il duo si è così divertito da precettarmi subito per un bis nel ruolo del pazzo seriale; questa volta è pronta una sceneggiatura di 2 pagine [1] e una nuova idea per un corto giallo da girare sul lago di Viverone!

Vi faremo sapere.

Davide Rosso (locandina opera di Alessia Diliberto)


[1] Vi allego in nota la sceneggiatura che mi ha mandato Vacchino per mail.

Le edicole delle Madonne sulla strada del lago

1 scena: Pomeriggio di sole. Lunga panoramica sul Lago di Viverone. Lo specchio d’acqua, la gente che cammina, il campeggio sulla riva, gli hotel deserti, le piante fiorite, le rive erbose, le colline brune alle spalle del lago.

        Titoli di testa

2 scena: carrellata delle edicole votive in onore delle Madonne erette sulla strada attorno al lago.

3 scena: Un locale all’aperto sulla sponda del lago di Viverone. Arriva una ragazza, Virginia, e si va a sedere al tavolino occupato da una ragazza (Linda. Attrice da definire). Le ragazze si baciano sulla guancia, sono contente di vedersi. Ordinano un caffè e scambiano quattro parole, ma noi le vediamo da distante, da un tavolino in fondo al locale, appartato. L’occhio della telecamera, fisso e ossessivo su di loro, le inquadra mentre si scambiano apprezzamenti sull’abbigliamento, mentre sorridono e consumano raggiose il caffè.

Le ragazze si alzano e sciamano via dal bar. Il tavolino su cui è poggiata la telecamera traballa. Una mano guantata appoggia sul tavolino un bicchiere vuoto, poi infila una banconota sotto il bicchiere. La telecamera si solleva (è la mano guantata che la sta tenendo!) e si muove anch’essa nella direzione dell’uscita.

4 scena: Lago di Bertignano. Linda e Virginia sono sulla riva erbosa del lago. Sono sole e, sedute su un telo, fumano e si godono il calore primaverile. Le vediamo nuovamente da telecamera fissa, un po’ da distante. Le ragazze iniziano a farsi un selfie e fanno le sceme. Con la scusa delle foto, ora si sono avvicinate e Virginia accarezza il fianco dell’amica. Linda si blocca e si gira verso l’amica. Un attimo in cui si fissano, Linda stupita e Virginia furbesca. Virginia schiocca un soffice bacio sul collo dell’amica, che si irrigidisce, ma poi appare apprezzare. Virginia si distanzia e con la mano raccoglie una ciocca dietro l’orecchio all’amica. Ma di colpo, Virginia si gira nella direzione della telecamera. La telecamera traballa e si nasconde dietro un albero. Quando la telecamera torna a guardare nella direzione delle due ragazze, le due hanno raccolto la loro roba e si allontanano. Virginia indica spaventata all’amica qualcosa alle loro spalle. Quando ormai le due ragazze sono distanti, una mano nera compare alle spalle della telecamera e si appoggia all’albero, scivolando nervosamente su di esso.

5 scena: Sul prato attorno al lago, in una carrellata distorta e allungata, con colori da vertigine, vediamo una scarpetta abbandonata, una mutandina strappata, poi un piede, infine il corpo di Linda, distesa senza più vita sull’erba.

6 scena: Tramonto. Una figura prega nella semioscurità, il volto coperto e le mani nascoste dai guanti neri, di fronte ad un’edicola della Madonna. La sua preghiera è un rantolio nevrastenico, inframezzato da singhiozzi e lamenti. Una luce invade la scena: una macchina accosta al margine della strada. Scende una ragazza, che cammina sui tacchi e si incammina nella direzione della figura scura che prega. Vediamo la donna soltanto di spalle. La figura scura si alza e da terra raccoglie una borsa. La figura scura porta un passamontagna e non possiamo capire chi sia. Quando la donna si avvicina, la figura guantata apre la borsa e mostra il contenuto alla donna: è piena di banconote. La donna afferra la borsa, si volta nella nostra direzione: è Virginia!

Tempo di ripresa stimato: un pomeriggio.

Oggetti necessari: una borsa con delle fasce di finte banconote, i guanti dell’assassino, mutandine da donna, un ricambio per la figura di Virginia (da ragazza prima, da signora con i tacchi dopo), un passamontagna, un bomber (quello di Davide), memory bank (3) per la telecamera e per l’i-pad.