LA MANTIDE 08

Luigi Vanotti stava sistemando un anello nella vetrinetta in esposizione contro il muro. Un cliente affezionato era appena uscito e prese a squillare il telefono. Il collo gli si fece rigido, come tutte le volte che il telefono prendeva a squillare, dopo quella telefonata… Rispose controvoglia, quasi violentandosi, sperando di non dover sentire quella voce…

- Orafo.

Ma la voce era proprio quella. Stridula e gracchiante, lontana, artefatta, probabilmente contraffatta.

- Ho visto le foto sui giornali. – disse Vanotti sottovoce, irritato, la testa glabra che si imperlava di sudore – Sei un malato, uno schifoso!

L’interlocutore prese a ridere, di una metallica risata frenetica, convulsa. Il commerciante raggelò: mai più di quell’istante credette che il suo interlocutore potesse davvero essere Serena Merini.

- Ma se è morta! – ripeté a se stesso.

- Non intendo più lavorare per te – disse con finta sicurezza Vanotti. Ma il tono tradiva una remota paura.

- Tu farai quello che ti dico – la voce era nitida e impositoria.

Qualcosa nella gola del mercante si serrò, come un ragno che si appallottola.

- Ti pagherò il doppio del prezzo pattuito.

 

Soffiava forte il vento, quel pomeriggio lungo il fiume, e forme filiformi, come fantasmi, traballavano nell’aria, alla ricerca di qualche albero su cui posarsi.

- Che aria tira, in clinica?

Eugenio era rigido in volto e la sua magrezza si sposava malamente con il pallore cadaverico.

- Sono venuti a perquisire tutto, forse credevano di trovarci l’assassino. Ma nulla, tutto pulito.

Giovanni Incaglia pareva un poco stordito; forse gli avevano aumentato la dose di Valium, per agevolare il suo rilassamento.

Dalle vasche bollenti della Clinica si alzava di tanto qualche paziente, in lontananza. Ciondolava debolmente nell’accappatoio, imbottito di Xanax e Tavor, quindi tornava nella piscina a ridosso del fiume o dileguava lungo l’orrido scalone grigio, accompagnato da un’infermiera in camice bianco (forse Laura Donati).

- Senti, Nanni, per quanto riguarda la tua parte, per il colpo dell’altra notte…

- Caro professore, ho capito: vuoi tenerti la refurtiva, sei indietro di certi pagamenti.

- Non è questo…

- Vuoi fare il galante con qualche sgualdrina del paese, ti capisco, qui è pieno di pollastre attaccate al denaro.

- Vecchio, ascolta: l’altra notte, mentre ero giù al cimitero che cercavo la tomba di quel tale…

- Alberto Verdi.

- Esatto.

- Gran bella preda. Piccolo industriale, l’han sepolto carico d’anelli d’oro e di collane, manco fosse un re circasso. Avrai fatto man bassa!

- … Ti dicevo… Là, tra le lapidi, mi sono imbattuto in una processione.

- Cosa vai dicendo?

- Sì, una cerimonia religiosa, un rito di gente incappucciata, tra le cappelle funerarie.

- Questa poi – il vecchio fascista si agitava stancamente sulla seggiola e cercava all’orizzonte un uccello da seguire con lo sguardo.

- Quando ho visto come erano vestiti, me la sono svignata. Ma quelli se ne sono accorti, mi hanno seguito; o forse soltanto uno di loro ha seguito le mie tracce.

- Brutta faccenda.

- Proprio.

- I cimiteri di queste parti non sono luoghi pacifici, te l’avevo pur detto, no?

- Me l’avevi detto.

- Ma ascolta il vecchio Nanni: non te l’ho mai chiesto per prudenza e, dato che ti trovavo un tipo sulle tue… Ma come mai, tu che fai un lavoro onesto come il professore, la notte ti metti a fare il ladro di cimiteri?

Nitti sogghignò, guardingo.

- Mi sono sempre sentito a mio agio nei campisanti. Fin da piccolo, ci entravo di notte, a rubare qualche fiore, una cornice, magari un braccialetto posato in ricordo… Mi faceva sentire bene: era come se disponessi di un mondo, una ricchezza segreta, sotterranea da cui attingere. Non è facile spiegare il motivo per cui una simile predisposizione riemerga nel corso degli anni, quando il lavoro che fai ti stringe lo stomaco come una morsa e, intanto, gli amici che avevi piano piano si dileguano.

- Non mi dire che anche tu…

- Esattamente, vecchio fascista. Anche il professore ha sviluppato una certa allergia al lavoro.

- Ma se giù in paese dicono che sei un tale bacchettone!

- Una volta avevo un amico, che detestava stare dentro le gerarchie quanto me, ed odiavamo dover prestare il fianco alla macchina educativa dello Stato. Lo Stato… – Nitti gonfia le gote – … Sognavamo di fare un colpo ad un portavalori e di fuggire nella più piccola delle isole Comore. Pensavamo che là, per lo meno, non saremmo stati obbligati a presenziare alla grande farsa del lavoro collettivo. Tutte le sante mattine a svegliarsi con la speranza di costruire un futuro migliore! Sta di fatto che un bel giorno, quello sciagurato trova una cattedra in un paesino del cazzo e mi viene a dire che insegnare a quei quattro mocciosi gli riempiva le giornate, che lo faceva sentire importante. Gli piaceva, insomma.

- Ti sei sentito tradito.

- Inizialmente, ho preso ispirazione. Ho provato a emularlo: mi cercavo dei cantucci nelle scuole dimenticate di paese e provavo a sopravvivere, in disparte. Anche qui, sono finito con il medesimo intento. Poi, però, qualcosa dentro di me si sgretolava inesorabilmente. La mattina, da dietro la cattedra, mi pareva di far parte di un’inutile mascherata, il diavolo sa il perché. E così ho pensato di andarmene per cimiteri, con il preciso intento di racimolare qualche fortuna, o forse con l’obiettivo inconscio di eseguire un’attività antisociale, chissà.

Nella voce di Eugenio c’era amarezza. Ma il vecchio Nanni, dal fondo dei suoi occhi resi molli dalle pastiglie, poteva intravedere una somiglianza che lo rincuorava.

- Credi che la processione al cimitero sia in qualche modo collegata alla morte di Marta Nercurini? – domandò il vecchio.

- E’ avvenuta la medesima notte. Quanti malati possono esistere in un paese di mille anime che se ne escono la medesima notte?

L’ex camerata fece in su e in giù con il capo, ma un filamento di paura velò il suo viso, per la prima volta, e dovette fare attenzione a non farsi vedere da Nitti.

- Ho letto i giornali. Le foto erano raccapriccianti. Ma una cosa voglio dirtela, dato che ti senti coinvolto nella questione.

Eugenio rivolse lo sguardo ad Incaglia.

- Una fotografia in particolare ha attirato la mia attenzione. La povera Marta Nercurini è stata trovata con un medaglione in gola. Il giornale mostrava il ritratto del reperto investigativo nel dettaglio, con quella strana raffigurazione. Tu non puoi di certo saperlo, dato che al paese ci sei arrivato da poco, e credo che anche molta gente, di quaggiù, non possa più essere a conoscenza della cosa, sia per ragioni anagrafiche, sia perché certe dicerie finiscono con il dileguarsi, Dio sa come… Sai come veniva chiamata la vecchia Serena Merini, qui ad Albiceleste? La Mantide.

- La Mantide? Come la raffigurazione sul medaglione trovato nella gola della Nercurini!

- Proprio.

- Vorresti quindi dirmi che esiste un filo diretto tra le due morti.

- Non sto dicendo questo. Ma ho trovato che fosse una coincidenza troppo forte il fatto che l’erede di Serena Merini sia morta con un medaglione simile nella gola.

Da lontano (Nitti e Incaglia non avrebbero mai potuto nemmeno supporre una cosa del genere), qualcuno li stava osservando. La sagoma di un uomo dietro le vetrate della Clinica Sant’Agata. Si era soffermato da diversi minuti lì davanti al vetro, le braccia conserte, a osservare la conversazione tra i due. Quell’uomo era il direttore Giacomo Sanzi.

Quel che, però, Sanzi non poteva supporre, era che alle sue spalle una quarta persona stava a sua volta osservando i suoi gesti. Era Laura Donati, che da dietro la porta spiava guardinga le mosse del suo direttore.

- Per quale motivo le avevano dato quel soprannome? – domandò lungo il fiume Eugenio.

I due ora camminavano pigramente sulla riva.

- Serena Merini, sebbene fosse di buona famiglia e di piacevole aspetto, non ha mai contratto matrimonio. Quando superò una certa età, circolò voce che si divertisse ad adescare ragazzi molto giovani, alcuni addirittura minorenni, e li portasse al castello, per sottoporli ai suoi giochi erotici. Le malelingue dicevano che gradisse usare quei ragazzi come degli schiavi, per delle pratiche sadomasochistiche.

(8 – continua)

Daniele Vacchino