ARCANA 12

Personaggi

- Giorgia Ferrarin, Erika Ferrari & Alessia Leblis, delle adolescenti del luogo.

- Padre Arles, uno strano prete morto da anni.

- Ermanno Burgio, unico abitante rimasto a Saletta, un tossicodipendente.

- Nina Balzaretti, la bibliotecaria di Asigliano.

- Germano Vittone, un proprietario terriero.

- Bruna Bertinetti, la donna coi cani.

- Daniele Pavia, docente di scuola media.

- la pitonessa, sacerdotessa d’una setta di ragazzini che si riunivano al tabernacolo nel 1979.

- la dama bianca, una figura trasparente che si muove lungo i campi, armata di rasoio.

- la bambina bianca, forse una fantasma della mente?

12 – Buio Omega (Goblin)

Le ragazzine non sentirono nulla.

I minuti passavano e il freddo aumentava.

Incapaci di andarsene, incapaci di avanzare.

Le ombre profonde come grotte le assediavano.

Presto la notte le avrebbe sorprese lì.

Al tabernacolo di Saletta.

Si presero per mano, stringendo fortissimo.

Seguirono i passi di Germano.

Arrivarono dinanzi all’ingresso della cripta.

Alessia aveva ancora la sua torcia.

La accese, gettando un fascio di luce nella gola orbata del muro.

La lama di chiarore scalfì appena il velo nero.

Aspettarono ancora.

Infine il ronzio al silicio del cellulare di Ale.

Un sms dalla stanza buia.

Era di Giorgia (veramente lei?).

Diceva di scendere.

Che non c’era niente di brutto.

E Germano?

Che fine aveva fatto?

Non importava.

Giorgia, la loro più cara amica, era lì.

Oltre il velo dissolto.

A pochi metri soltanto.

Oltre i granelli oscuri del sogno.

Oltre i muscosi filamenti del mondo dei vivi.

Erika e Alessia si guardarono.

E ogni cosa disparve.

Avrebbero voluto riprendere il loro gioco.

Addomesticare la paura che torceva le budella.

Accarezzarsi dolcemente le vagine lunari.

Invece oltrepassarono la soglia dell’inferno.

Scesero i gradini putridi di vischio.

Il mondo della scuola, dei loro genitori.

Dei compiti, dei progetti per le vacanze.

Si addormentò alle loro spalle, disparve.

I loro cuoricini di vetro arrivarono oltre il perlaceo lume del buio. L’omega della storia. Questa.

La torcia di Ale danzò sui guasti della pietra rugginosa e singhiozzò su abbozzi di figure umane accovacciate sui mozziconi delle colonne. Loro non potevano riconoscere quei corpi martellati dagli arabeschi strillanti del rasoio. Volti così aperti da far divampare il rosso della carne. Bulbi strappati, lingue mozzate, gole frantumate dagli psycho pensieri d’un vampiro o d’una vampira. Burgio, Daniele, Bruna, Germano. Inchiodati a termine delle colonne, in un cerchio rituale disseccato nel pianto. Al centro della cripta, ardente di sospiri, nuda e lucente, c’era lei, la nuova sacerdotessa, spogliata dalla cappa bianca della dama bianca: Giorgia!

La ragazzina aveva diamanti di corno al posto degli occhi. I capelli lunghi sfioravano le stelle rosa dei seni. Ogni cosa era al suo posto, perfetta. Come una serpe suadente, volteggiò tra i cadaveri e ammiccò alle amiche paralizzate da quella messa in scena teatrale. Come avrebbe potuto spiegare che quello era il suo tesoro, il talismano che doveva portarla lontano, oltre un fato fatto di menzogne e solitudine, di rancori adolescenziali. Oltre il suo aspetto di fanciulla beata c’era dell’altro e lei lo intuiva astrattamente; le bastava osservare sua madre, o quella di Erika, o qualunque genitore. Oltre le radiose illusioni dell’infanzia vi era il nulla eterno, un addio al plutonio spalmato sulle rive infinite della notte. I corvi avevano cominciato a beccarle il petto prima di scoprire quell’articolo. Dentro di lei, dopo la separazione feroce dei suoi genitori e l’indifferenza mercuriale di sua madre, s’era rotto qualcosa. I sogni erano diventati incubi sfuocati, persi in un mondo di sventura, regole e bugie. Saletta rappresentò uno spartiacque. Giorgia nelle fole, nelle leggende, intuì la grandezza di un progetto a cui qualcuno s’era dedicato. Senza dirlo alle compagne, era tornata in quel luogo in cerca di risposte. Così aveva colmato le giornate solitarie, i cupi, goffi, avidi momenti del cuore. Era rimasta in ascolto del tabernacolo e delle voci rimaste intrappolate nella sua pancia. E così intuì il disegno. Un’opera alchemica da compiere. Il tabernacolo la chiamò a sé per insegnarle la legge. Parole cadute, dimenticate dai rosari dei contadini. Archeologie dell’anima astrale. Geometrie dell’aldilà pre-industriale. Modi per non trasformarsi in polvere. Ogni uomo è un condannato, le dissero. L’universo magico è una analogia poetica. Parola dopo parola il corvo rodeva. La convinceva ad essere lei la nuova dama bianca. La nuova dispensatrice. Quei sacrifici l’avrebbero liberata. Le maschere selvagge l’avrebbero nascosta dalla disgregazione…

Giorgia smise di parlare e sollevò la pistola.

Erika e Alessia tremavano come gocce di cera su uno strapiombo. I corpi avvinghiati in un ultimo disperato abbraccio gutturale, la schiena inzuppata di lacrime, i sessi segretamente sconquassati da un orgasmo di follia. Non capirono nulla. Non intuirono nulla. Nemmeno che stavano per morire. Poi qualcosa sussultò sullo sfondo del trono nero che le incorniciava. Oltre le scale, nella cornice di cielo che indicava l’uscita. Un movimento. Bianco.

Giorgia, invasata, lo notò.

Un volto tondeggiante.

Spettrale.

Informe forma di marionetta.

La chiamò dal suo silenzio incorporeo.

Un angelo alato.

Giorgia dimenticò le amiche.

Anelante.

Convinta di aver trovato una piega.

Una via di fuga nell’altro mondo.

Corse verso le scale.

Verso la bambina.

Superò le amiche.

Uscì dalla cripta.

Corse tra i rovi.

Erika e Alessia si scossero a vicenda.

Sempre allacciate dagli umori dei propri corpi, seguirono Giorgia. La videro mentre correva scomposta sotto i raggi di una luna rossa. Correva dietro a qualcosa o qualcuno che loro non videro. Raggiunse l’estremità del bosco, dove il vallo delimitava un grappolo di mattoni a forma di arco sormontato da brandelli di cancello. Le amiche, rese rapaci dal terrore, la chiamarono a sé e liberarono negli strilli tutto un fiume madreperlaceo di tormenti. Giorgia si voltò per una frazione, forse richiamata indietro, verso l’occulta arteria della vita, dalle voci che un tempo le furono care. Da qualche parte una cornacchia volò smagrita verso la guancia di una quercia. Il volto di Giorgia era un’orribile maschera ghignante. Inciampò in una mandragora del terreno e proiettò il busto in avanti, i palmi aperti per attutire la caduta. Una lancia di ferro aguzza del cancello le trapassò l’esofago, sbucando sulla nuca. La bimba provò a disincagliarsi, annaspando con le dita impreziosite da rimasugli di smalto violetto; sfregò i polpastrelli sul muschio del ferro, provocando fiumi di sangue dalla carne dilaniata. Globuli rossi dal buco sotterraneo della gola scolorita. Come un frutto maturo il corpo di Giorgia scivolò sempre più negli intrecci del ferro, disfandosi nella morte. Dalla barca della bocca stagioni di plasma sgorgarono tra gli ultimi rantoli. Ovunque c’erano flussi rossastri. Infine le sue gambe si spalancarono e la sciabola rigida delle labbra disegnò un’ultima smorfia di sorpresa, come se, affondando nelle dune dell’inanimato, Giorgia avesse finalmente raggiunto una solitaria compiutezza. Dalle sue pupille svanì l’asciutta bimba di bianco che credette di vedere. Solo Erika e Giorgia rimasero accucciate dalla paura, gli occhi di pianto dimenticati sull’ombra addormentata di Giorgia…

…Non conosci la leggenda di Saletta?

- No.

- Se vuoi essere del gruppo devi saperla.

- Va bene.

I bambini si danno la mano. Formano un cerchio. Il bambino più piccolo, quello nuovo, rimane al centro. Muovendo la bocca tutti insieme, come fosse una preghiera, i bambini cominciano a raccontare.

- Ogni tre anni, al terzo giorno del terzo mese, se alla terza ora della notte arrivi al trivio di Sant’Anna e prendi la terza strada, quella per il paese di Saletta, dopo aver guardato le tre Madri sui tre portoni delle tre case, puoi inoltrarti sul viale che porta al tempietto sconsacrato. Devi camminare al centro del sentiero e contare gli alberi che lo costeggiano, sia quelli alla tua destra, che quelli alla tua sinistra. Quando arriverai ai piedi del tempietto, avrai contato cento alberi. Volta le spalle al tempietto e torna indietro, con gli occhi chiusi. Quando sei tornato all’inizio del viale, girati di nuovo e percorri per la seconda volta il sentiero. Conta nuovamente gli alberi. Quando arriverai ai piedi del tempietto, avrai contato novantanove alberi. Perché uno sarà morto. Da dietro l’ultimo albero ti comparirà la bambina bianca.

I bambini smettono di recitare la storia tutti insieme. Lasciano andare le mani lungo i fianchi e si mettono a guardare il novizio.

Il bambino più piccolo si guarda attorno con gli occhi pieni di paura.

- Ma… Io…

-  Sì, Max – fa il capo del gruppo – hai capito bene… Devi andare al tempietto per essere uno dei nostri. -

- Ma Toni, io ho paura… – il piccolo Max ha due minuscoli occhi scuri paralizzati.

- Tutti l’abbiamo fatto, Max – Toni, il ragazzino più grande, allarga le braccia. – anche Mosè e Tullio ci sono andati… – il piccolo capo guarda il novizio con aria severa – è il nostro rito di iniziazione…

BorgoVercelli, settembre – ottobre 2015

(12 – fine)

Davide Rosso