ARCANA 10

Personaggi

- Giorgia Ferrarin, Erika Ferrari & Alessia Leblis, delle adolescenti del luogo.

- Padre Arles, uno strano prete morto da anni.

- Ermanno Burgio, unico abitante rimasto a Saletta, un tossicodipendente.

- Nina Balzaretti, la bibliotecaria di Asigliano.

- Germano Vittone, un proprietario terriero.

- Bruna Bertinetti, la donna coi cani.

- Daniele Pavia, docente di scuola media.

- la pitonessa, sacerdotessa d’una setta di ragazzini che si riunivano al tabernacolo nel 1979.

- la dama bianca, una figura trasparente che si muove lungo i campi, armata di rasoio.

- la bambina bianca, forse una fantasma della mente?

10 – Chi sta arrivando? (Walter Rizzato)

Le ultime lucertole cercavano riparo nelle pietre porose del colonnato.

Il cimitero di Asigliano sorgeva appena fuori dall’abitato.

Erika superò la cancellata di ferro ed entrò.

Il luogo era deserto.

Cercava l’obelisco di pietra di cui le aveva parlato sua madre. Voleva a ogni costo vedere la fotografia della misteriosa ragazza morta e confidarsi con le sue amiche. Sentiva la testa piena di pensieri. L’incidente di 36 anni prima. Identico all’incidente occorso al figlio della bibliotecaria. Che la maledizione di Saletta fosse vera? Erika temeva per sé e le sue amiche. E se con la loro curiosità avessero risvegliato qualcosa d’arcano e malvagio. La ragazzina si fece più volte il segno della croce, ripensando a quello che aveva fatto con Alessia a Saletta. Se non avesse provato troppa vergogna sarebbe corsa dal prete a confessarsi e mondare ogni peccato. Con quelle idee bislacche nel cervello, iniziò a percorrere i sentierini ghiaiosi del camposanto, in cerca dell’obelisco. La parte vecchia, aveva detto sua madre. Lapidi. Cenotafi ingrigiti. Rose di ferro scolpite sopra a souvenir di tombe marmoree. E poi teste d’angeli bambini, croci stilizzate, presagi di una imago mortis raffigurata sui volti stupefatti dei morti in bianco e nero. Erika trovò l’obelisco schiacciato sul muro di fondo, parzialmente coperto da un cespuglio. Il nome della famiglia era Levi. L’unica persona sepolta era una ragazza morta nell’ottobre del 1979. Una vampata di calore le imporporò le guance. Si chinò leggermente in avanti per veder meglio l’ovale macchiato del ritratto. Il nome era Giulia. Giulia Levi. La ragazza morta in motorino nell’ottobre del 1979. Il viso incorniciato era quello di una ragazza come lei, immortalata dal lampo globulare di un flash, per sempre intrappolata in una bellezza delicata in quel museo immaginario di volti defunti. Giulia aveva dei capelli a caschetto ordinati, un nastrino sopra l’orecchio a forma di rosa e delle guance di papavero. La bocca, piccola come una cordicella attorcigliata in un giorno di festa. Il resto del corpo usciva dall’inquadratura, ma non era difficile immaginare abiti pieni di carne sentimentale, da ginnasta in amore. L’incidente improvviso l’aveva celata nei sotterranei di quel posto. Ora di lei tutto s’era dissolto nel buio solitario della bara. I seni, i fianchi, le decorazioni floreali dei piedi filanti. Tutta la sua divina essenza di vergine ridotta a un liquido denso fluttuante di larve e grumi cenciosi. Se qualcuno l’avesse liberata dal peso di quell’obelisco, un puzzo abnorme avrebbe offeso il pullulare dolciastro dei fiori nel vento. Erika ne ebbe abbastanza. Veloce come una gatta tornò sui suoi passi. Quand’era quasi in vista dell’uscita, notò la figura di Nina Balzaretti venirle incontro con un mazzo di crisantemi. Erika si buttò dietro una lapide sbreccata, schiacciandosi a terra. Nina la superò, diretta verso l’obelisco. La ragazzina, tormentata dal desiderio di darsi alla fuga, si costrinse a tornare indietro, rosa da una curiosità che soltanto a 14 anni è più forte di qualunque terrore. Vide la bibliotecaria posare il mazzo ai piedi della tomba di Giulia e genuflettersi con le ginocchia. La donna mormorava qualcosa. Erika scivolò tra le tombe. Il vento le portò un’unica frase, quasi una preghiera disperata.

- Quante vite vuoi per ridarmi mio figlio?

La ragazza urtò un vaso di marmo.

Il rumore fece girare di scatto Nina.

Erika vide solo un ghigno feroce disegnarsi sul volto della donna, un attimo prima che quella scattasse all’indietro per afferrarla.

- Puttana!

Nina sembrava un demone.

Bestemmiava e inciampava tra i fiori, con le dita aperte da arpia.

Erika fu più veloce e riuscì a raggiungere l’uscita.

Per fortuna l’ecobici partì subito, portandola verso le case di Asigliano; pregava gli angeli e il signore di proteggerla da ogni male…

I caramba in uniforme color kaki scesero nella cripta con le torce. Illuminarono brandelli di corpi minorenni attorcigliati tra loro, vigilati dallo sguardo di cristallo della pitonessa, di Bruna. Presi dal furore dei baci, i ragazzini se ne accorsero solo quando i militari presero a urlare e calciarli. Allora tutta la vergogna senza fine delle loro vite infinitesimali tornò a inchiodarli all’altare del comune pudore. Burgio, frastornato, colpì a casaccio uno dei militi e corse fuori con solo i pantaloni addosso. Germano iniziò a piagnucolare qualcosa su suo padre e le cinghiate che avrebbe preso. Anche lui salì in fretta le scale e gettò giù un caramba giovanissimo, forse più spaventato di lui. Giulia e Nina, entrambe con le bocche immerse nel sesso dell’altra, cercarono gli stracci arrotolati dei loro abiti. La luce impietosa e sadica del brigadiere si soffermava bavosa sugli specchi di seni e glutei. Fu un sasso tirato da Bruna che permise anche a loro di guadagnare l’uscita e correre dietro ai maschi. Arrivarono alla chiesa, dove finirono di rivestirsi. La Giulietta dei militari era lì, incustodita. Burgio ne approfittò per scagliare un masso contro il parabrezza, solo che colpì un faro. Germano spaccò l’altro. Intanto le ombre dei carabinieri con le torce si stavano avvicinando. Ognuno saltò sul suo motorino (Negrini Leprotto, Ciao, Gitan, Califfo) e guadagnò strada. Il buio era fittissimo. Dell’asfalto vedevano solo la porzione illuminata dal fanalino. Dietro di loro sentirono il motore dell’Alfa dei caramba ruggire come una pantera. L’auto li raggiunse subito, avanzando alla cieca, privata dai fari. Giulia, terrorizzata dall’idea di finire sotto gli sguardi costernati dei genitori, continuava a girarsi all’indietro. Un dosso della strada la sbalzò di lato, schiacciandola sotto il motorino. Burgio, Germano, Nina gridarono di fermarsi. Ma l’auto pattuglia non poteva sentirli, intasata dalle bestemmie dei militari e dal rombo del motore. Fu un attimo e la pantera ingoiò le forme aggrovigliate di Giulia e del suo ciclomotore…

(10 – continua)

Davide Rosso