ARCANA 07

Personaggi

- Giorgia Ferrarin, Erika Ferrari & Alessia Leblis, delle adolescenti del luogo.

- Padre Arles, uno strano prete morto da anni.

- Ermanno Burgio, unico abitante rimasto a Saletta, un tossicodipendente.

- Nina Balzaretti, la bibliotecaria di Asigliano.

- Germano Vittone, un proprietario terriero.

- Bruna Bertinetti, la donna coi cani.

- Daniele Pavia, docente di scuola media.

- la pitonessa, sacerdotessa d’una setta di ragazzini che si riunivano al tabernacolo nel 1979.

- la dama bianca, una figura trasparente che si muove lungo i campi, armata di rasoio.

- la bambina bianca, forse una fantasma della mente?

7 – Ghost Fear (Piero Montanari)

Il prof. Daniele Pavia finì di correggere le verifiche di grammatica e controllò varie volte il cellulare. Il pensiero corse al corpo levigato di Giorgia. La ragazza non aveva risposto per tutto il pomeriggio alle sue chiamate a ai suoi messaggi. Strano, visto quello che le aveva scritto. Notizie su Saletta. E sulla setta. Dopotutto era stato più semplice del previsto, infatti gli era bastato chiedere a suo padre, un insegnante di francese in pensione, che, verso la fine degli anni ’70 aveva insegnato alle Magistrali di Vercelli. L’uomo ricordava vagamente l’episodio, già all’epoca velocemente insabbiato dopo una denuncia fatta dai genitori della ragazza morta contro i carabinieri. I fatti sembravano essere andati come gli aveva riferito Giorgia dopo aver letto l’articolo. Alcuni adolescenti di Asigliano e Costanzana si riunivano sotto il tempietto per le loro ragazzate. Una sera erano arrivati dei carabinieri insospettiti e i ragazzi s’erano dati alla fuga. Una di loro era finita investita dall’auto dei militari. Il nome della ragazza deceduta era Giulia Levi e abitava proprio ad Asigliano. Poi i genitori s’erano trasferiti altrove e non s’era saputo più nulla. Il vecchio professore ricordava anche della ragazza dai capelli rossi, un po’ più grande degli altri, che guidava il gruppo. Allora era bella come un astro, una sacerdotessa pipistrello dall’immaginazione malarica. Anche di lei non s’era saputo nulla. Inghiottita dalla mediocrità. Il nome e il cognome però dissero qualcosa a Daniele Pavia che, dopo la telefonata al padre, aveva già quasi tutti i tasselli del quadro. Gli bastò collegarsi a internet per essere sicuro. Tuttavia Giorgia non richiamava, segno di un diminuito interesse per le combriccole occulte della bassa. Ciò che non diminuiva era l’interesse di Daniele Pavia nei confronti del corpo di Giorgia. L’uomo si vestì in fretta e uscì. Con la macchina guidò fino ad Asigliano, controllando l’ora. La madre della ragazza era ancora a lavoro. Si fermò a un centinaio di metri dalla casa e chiamò ancora il cellulare della giovane. Non rispose nessuno. Allora provò a gironzolare con l’auto per il paese, speranzoso d’incrociarla. Senza accorgersene prese la direzione che portava verso la frazione di Saletta. Ebbe l’intuizione che Giorgia potesse essere proprio lì, irresistibilmente attratta dal padiglione di spettri di quel posto. Daniele non ci veniva da molti anni, da quando, anche lui studente, s’era fatto portare da alcuni amici per sfidare le leggende del posto. Già allora si parlava della ragazza morta mentre scappava col motorino. Delle apparizioni di una bambina bianca (forse la ragazza morta?), di un bambino infilzato nelle punte ferrate di un cancello nei pressi del tabernacolo mentre cercava di scavalcarlo. Altri amici parlavano di motorini e automobili che restavano vittime dell’energia nefasta dei luoghi e si spegnevano. Leggende urbane, miti moderni. Questo pensava Daniele, rievocando i terrori panici dell’adolescenza, quand’era stato a Saletta sul sellino del suo Malaguti Fifty 50 rosso fiamma. Chissà da allora quanti altri giovanotti avevano sfidato la sorte, avventurandosi per quei meandri desolati. Daniele parcheggiò l’auto nei pressi della vecchia chiesa sconsacrata e si guardò intorno. Il tempietto riposava oltre una macchia di alberi. Il prof. superò il cancello chiuso del cimitero abbandonato e iniziò a percorrere il sentiero sui campi inceneriti, penetrando nei flutti dei rami (intanto una donna anziana, fasciata da una tuta da ginnastica blu piena di peli, sbucava dai saliscendi della comunale circondata dai suoi cani; notò subito la figura del professore mentre spariva oltre il boschetto). La rotondità neoclassica del tempio si librò davanti a lui, con le sue colonne graffiate e i mattoni rossi addormentati sotto la linfa del cemento. Daniele fumò una delle sue Marlboro Gold, godendosi la fine d’un pomeriggio ancora caldo. La luce che filtrava oltre il boschetto ingiallito lo rassicurava dai demoni della notte. Ricordava che l’ingresso alla cripta sotterranea stava sul retro. Camminando sopra un tappeto di foglie morte, si spostò davanti al buco che immetteva nell’ambiente circolare sotto la base dell’edificio. Daniele s’avvicinò cauto alla bocca orlata di buio, provando a rischiarare le scale di pietra. Una ragazza ci è morta da queste parti, e non è una leggenda urbana. Basta con queste fesserie, pensò, scacciando il tanfo di muffa e putredine che saliva dal buio. Aspirando il fumo della sigaretta tra i denti, Daniele cercò di ignorare i soffi dell’inquietudine. Si voltò per tornare alla macchina, deciso ad aspettare che fosse Giorgia a farsi viva (meglio non fasi vedere alla corda con queste ragazzine o finisce che ti mettono i piedi in testa!). Fece appena due passi, quando sentì la voce di lei che lo chiamava da oltre il buio. La voce di Giorgia che saliva dalla cripta! Daniele resistette per un pelo alla tentazione di ignorarla e mettersi a correre con le gambe levate (come aveva già fatto anni prima da adolescente), ma il timore che la ragazza fosse veramente là sotto (a far che, cazzo di budda?) e se la ridesse nel vederlo telare via, lo trattennero. Incerto, tornò a osservare l’accesso al sotterraneo.

- Giorgia?

La voce gli uscì gonfia e irriconoscibile.

Lei tornò a chiamarlo.

Gli diceva di scendere.

Di andare a vedere.

Cosa?

Daniele si sforzò di rimanere calmo.

La chiamò ancora, questa volta senza tremolii.

S’accostò all’ingresso del pozzo, usando il cellulare per far luce.

La voce veniva appena oltre il lembo di tenebra.

Due mani fasciate da guanti di seta bianca emersero dalle lingue di nero, invitandolo a scendere.

Intanto la voce prometteva paradisi carnali che scacciavano gli incubi panici del tabernacolo.

Daniele sentì di nuovo la febbre dell’erezione mescolarsi alla paura e indebolire i timori.

Decise di scendere e avvicinarsi a quelle mani…

Scelse il tempietto come una coreografia. Per iniettare aghi di meraviglia sotto le palpebre di quegli sciocchi ragazzini. Scelse di spogliarsi per ingannarli col pallore del suo sesso. Promise loro orge sessuali per unirli e sottometterli al suo volere. E lasciò che giocassero alla stregoneria con bambole impiccate ai rami delle querce. Inventò cerchi magici e cerimonie per propiziare le energie latenti del luogo, ma fu solo una scena, un modo per averli attorno a lei, per catalizzare le loro energie e convergerle su di sé. Il prete le aveva spiegato qual era l’obiettivo da raggiungere, ma non il modo. Era morto troppo presto e anche lui aveva fallito, crepando tra fiotti di bava e putredine, soffocato in un lurido letto d’ospedale. Ora toccava a lei, prima che la signora con la falce la ghermisse. Ogni uomo è un condannato le dice. Ognuno è un criminale punito dal Dio biblico con la morte. La putrefazione ammorbante delle carni. Tutte le religioni hanno mentito, promettendo la salvezza. Tutti hanno fallito. Non lei. Loro la seguivano, ipnotizzati dalle movenze umbratili di quel corpo trasparente. Burgio, sempre bisognoso di una guida, di qualcuno che gli dicesse cosa fare, come comportarsi. Giulia, la più piccola del gruppo, fresca rosa parrocchiale in odor di verginità. Germano, figlio di coltivatori del luogo, dal futuro già certo, spianato dai soldi di famiglia…

(7 – continua)

Davide Rosso