IL CUSTODE DEL CASTELLO DELLA PELLAGRA 04 – LUDWIG

Era un pomeriggio grigio. L’imperatore aveva appena varcato il passo San Marco e stava per incamminarsi lungo la strada che lo avrebbe portato verso la pianura. Nel giro di trent’anni era dovuto partire da Goslar già due volte per venire a riappacificare i suoi vassalli in guerra. Non era una cosa facile, almeno, non lo era per lui. Sempre le solite storie: il diritto di pesca su quel fiume, il prendere quel determinato centro abitato per accrescere il potere della propria casata, il controllo delle vie d’acqua.  Mentre cavalcava alla testa della sua corte viaggiante, Heinrich pensava a quanto fosse pesante per lui essere il capo dell’Occidente e allo stesso tempo rifletteva sul fatto che per lui non ci fosse via di scampo. Era condannato a essere l’imperatore del Sacro Romano Impero per l’eternità. Ad un tratto venne avvicinato dal suo primo cavaliere.

- Vostra Grazia, si sta facendo buio e suppongo che vogliate riposare. Stiamo arrivando a valle, appena è possibile trovare uno spiazzo adeguato, se siete d’accordo, darei l’ordine di montare il campo. Immagino siate d’accordo -

L’imperatore neanche rispose, si limitò a guardare il suo primo cavaliere negli occhi e ad annuire. Gli leggeva sul volto la fatica di sette giorni di viaggio e la pesantezza dell’armatura. Anche Heinrich era stanco, certo però che non poteva dirlo ad anima viva.

Alle prime ombre del tramonto il campo era pronto: la guarnigione si stava rifocillando, la corte viaggiante si trovava all’interno della tenda dell’imperatore per consumare il pasto tutti insieme. Questa compagnia era composta da alcuni membri del casato imperiale, fra cui un giovane chierico, il figlio di una sorella di Heinrich. Il ragazzo aveva da poco compiuto i diciotto anni; lo zio aveva visto bene di portarselo dietro nella sua discesa in Italia per metterlo a capo di un monastero: lì sarebbe stato più utile che a comando di un’abbazia in Franconia. Accompagnato dal suo maestro, avrebbe ricevuto la formazione adatta all’amministrazione di una comunità di uomini, sarebbe stato l’occhio dello zio sul campo italico, spesso riottoso. Il ragazzo aveva un aspetto signorile e contenuto, il volto era fiero, gli occhi non manifestavano nessun sentimento. Era stato educato a combattere ma di più era abituato ad assecondare i suoi parenti e, benché non fosse stato entusiasta di prendere i voti, aveva capito che, con un po’ di attenzione, avrebbe potuto continuare la sua vita da libertino anche dentro il monastero. Era affascinante, nonostante l’abito monacale e i tentativi di mortificazione del suo aspetto, e da sempre aveva avuto molte ragazze che trascorrevano del tempo con lui. In quell’ambiente regale si sentiva a suo agio e aveva l’abitudine di guardare i suoi interlocutori dritto negli occhi, anche lo zio Heinrich.

Nella tenda c’era molta confusione: attorno alla tavola imbandita da portate succulente, il vino non mancava nei bicchieri dei commensali, un po’ storditi e stanchi dopo il lungo cammino. Solamente l’imperatore non mangiava; seduto sulla sedia, osservava gli altri con occhi fiammeggianti. All’apparenza era molto calmo, ma in verità stava riflettendo su quanto ci avrebbe messo ad arrivare a Milano, dove i vassalli riottosi lo attendevano per un colloquio chiarificatore. Ad un tratto il suo sguardo si posò sul nipote, intento a gustare una coscia di montone. Chiamò un servitore e lo mandò da lui, che guardò lo zio con aria seria. Si ripulì, si alzò e si avvicinò al trono.

- Vostra Grazia.

- Ludwig, ho bisogno di te questa notte. Ho bisogno di istruirti su quello che sarà il tuo futuro.

- Vostra Grazia, non voglio essere inopportuno, ma so già quali doveri mi attendono una volta giunto a Milano.

Il ragazzo non andò avanti nella discussione. Suo zio gli aveva preso la mano e lo guardava dritto in faccia. Ludwig si sentiva a disagio, ma allo stesso tempo non riusciva a liberarsi dalla morsa dello zio, che diventava sempre più pressante. Cercò di liberarsi con un sorriso.

- Va bene, Vostra Grazia, ai vostri ordini.

L’imperatore sorrise e tolse la mano, lasciando libero il nipote. La cena terminò e la corte, completamente ubriaca, si sciolse: chi dormiva sulle panche, chi era riuscito a tornare nella propria tenda, chi si trastullava con le prostitute. Ludwig dovette aspettare sveglio nella sua tenda la venuta dello zio. Un po’ lo stava odiando, era davvero molto stanco, poi non capiva tutta questa segretezza: gli aveva intimato di essere da solo, voleva probabilmente svelargli dei segreti. Ad un tratto, il ragazzo sentì una presenza alle sue spalle. Si trattava dell’imperatore, che era entrato nella tenda senza fare il minimo rumore. Era accompagnato da una ragazza molto bella. Si sedettero.

- Vostra Grazia, mi avete colto di sorpresa… non vi ho sentito entrare…

Ludwig tacque. La sua innata fierezza quella sera lo stava abbandonando.

- Una cosa che tu ignori di me, nipote, è la mia natura. Non ti sei mai domandato perché gli anni non passano mai per me? E non ti sei mai domandato il perché io somigli tanto a mio padre, tuo nonno, col quale condivido il nome di battesimo?

Ludwig ascoltava in silenzio e non capiva cosa lo zio intendesse.

- Non hai poi mai notato che durante i banchetti io non mi cibo di niente? Che non sono mai ubriaco, che non bevo mai quello che bevono gli altri ma che bevo solo dalla mia fiasca dorata che non tocca nessuno all’infuori di me?

Ludwig annuì timidamente.

- Non hai mai notato che se vi è un forte sole e siamo in marcia, io sono coperto dalla testa ai piedi dalla mia armatura? O che se siamo a palazzo, io non esco dalle mie stanze fino all’imbrunire? Ecco, questo è quanto mi rende diverso da voi. Io sono un non-morto, un essere errabondo nei secoli che, per non destare curiosità, finge di morire e scompare per anni, fino a quando non giunge il momento di sedere sul trono imperiale. La mia vita è cominciata molto prima di quello che pensano gli altri e coloro che compongono la mia famiglia sono persone a cui ho fatto credere di essere miei fratelli e sorelle. Ora però ritengo che sia giunto il momento per me di creare un erede, un giovane non-morto che possa prendere il mio posto come imperatore. Ho cercato negli anni una persona che potesse possedere la forza e la tenacia necessarie per governare un impero, ma la ricerca è stata vana, fino a che non ho incontrato te, il figlio di mia sorella. Tu non sei un non-morto, ma presto lo diventerai.

Heinrich si voltò verso la ragazza dagli occhi neri e quella si avventò sul giovane Ludwig, che era come intontito. Lo morse, lo infettò col suo veleno. Il ragazzo cadde in terra come svenuto, venne preso dallo zio che lo nascose nella sua tenda per tutta la notte e nella portantina durante i restanti giorni di viaggio. Quando giunsero a Milano, Ludwig non era più solo un monaco piacente.

Nel giro di qualche mese si trovava a comandare il monastero benedettino di Pellagra. L’abbazia era dispersa nella desolata campagna che correva piatta e senza intermezzi fino al Po. Quella struttura umida in pietra ospitava una piccola comunità di monaci, composta per lo più da anziani che non gradirono di essere comandati da un ragazzino piuttosto esuberante. Per quanto l’abate tentasse di essere discreto, l’avevano visto tutti uscire di soppiatto dal portale d’ingresso e una volta venne seguito: Ludwig si stava recando in un bordello, dove avrebbe placato la fame che attanagliava il suo corpo. La mattina seguente alla prima messa, prima di cominciare, il monaco più anziano si prese la briga di redarguire pubblicamente il nipote dell’imperatore, facendolo incollerire all’inverosimile; ci si aspettava la sua partenza per la Franconia, ma non avvenne questo: il non-morto uccise tutti i suoi fratelli e nel corso degli anni si costruì una nuova comunità, plagiando i contadini della zona affinché diventassero i nuovi monaci, per salvare le apparenze. Non divenne mai imperatore: nella lotta con lo zio Heinrich, questi ebbe la peggio. Tenuto incatenato in un pozzo vuoto, fu felice di morire bruciato dal sole di aprile. Ludwig condusse una vita dissoluta per secoli; la sua arroganza lo portò a far scrivere da un amanuense la sua storia, conservata gelosamente come il più turpe e bello dei segreti. Ludwig non poté fare niente però quando l’arcivescovo di Milano soppresse il suo monastero, alla fine del Cinquecento. Ludwig modificò l’assetto della struttura, trasformandolo in un castello e, visto che a seconda della necessità era in grado di mutare il proprio aspetto, impersonò per diverso tempo il proprietario del palazzo. Poi, per accrescere la propria ricchezza, lo vendette, impersonando il vecchio custode della magione, lo strano personaggio che Olive aveva incontrato.

 

Olive si addormentò davanti alla televisione e l’esserino nero alla finestra se ne andò. Tornato nel maniero, Ludwig ritrovò le sue sembianze di diciottenne. Aveva fame e sentiva dentro di sé crescere la volontà di distruggere quella ragazza che voleva portargli via il suo castello. Frugò dentro un baule posto ai piedi del suo letto: all’interno c’era il suo tesoro più prezioso, la sua storia di non-morto che continuava ad essere scritta. Era necessario evitare che questa venisse interrotta.

(4 – continua)

Roberta Lilliu