I REDUCI

Ishaq si allontanò dall’entrata e si diresse a passo spedito lungo il corridoio centrale che suddivideva apparentemente in due parti il vagone in cui si trovava. Lo Speed-Train avrebbe dovuto partire fra 8 minuti e, a quanto se sapeva lui, non era mai in ritardo, anche se era davvero molto tempo che mancava da casa e sapeva che molte cose erano cambiate durante la sua assenza. Cambiate profondamente, sarebbe stato meglio dire, chissà…

Quel mezzo di trasporto era un treno che viaggiava quasi due volte più veloce di un vecchio aereo del ventunesimo secolo, e poteva collegare Seattle a Los Angeles in meno di 30 minuti superando i 1500 km/h. Si trattava, di fatto, di una sorta di lunghissimo tubo poggiato su degli alti supporti, dentro al quale correvano ad una velocità maggiore del suono dei lunghi vagoni con passeggeri e merci, sotto la spinta di un campo elettromagnetico. Alcuni lo avevano chiamato, fin dalla sua creazione, ‘Il treno-proiettile’, sebbene quel termine – proiettile, così come tutto ciò che atteneva alla guerra ed alle armi - non fosse ormai molto apprezzato, né più utilizzato oggigiorno dalla popolazione. Per vari motivi… Essendo in grado di auto-generare energia attraverso recettori solari, quello era anche un modo di viaggiare molto rispettoso dell’ambiente, sebbene anche quell’espressione fosse andata in completo disuso, dopo tutto quel che era capitato, si sa.

Mentre stava per sedersi al posto assegnatogli, dopo aver riposto a fianco la lunga giacca marroncina che indossava, Ishaq si accorse di un altro viaggiatore che doveva essere riuscito a salire appena in tempo, rischiando quasi di perdere il treno, e notò subito la particolarità che lo contraddistingueva. Date le circostanze, l’uomo arrestò il passo e decise di tornare brevemente indietro in modo da fornire aiuto a quella persona che appariva decisamente in difficoltà nei movimenti. Come avrebbe potuto essere diversamente, dopotutto?

Non appena Ishaq si avvicinò e si offrì di dare una mano all’ultimo arrivato per consentirgli di portarsi con maggior facilità fino al proprio posto, una strana sensazione si impadronì di lui. Non era certo la prima volta che gli succedeva, da quando era di nuovo in giro, e tuttavia in ogni circostanza quel fatto lo lasciava senza fiato, e decisamente rabbuiato per ciò che vedeva. L’altro passeggero – un vecchio magrissimo e stempiato di circa 75 anni, vestito in modo decisamente trasandato – accettò di buon grado la mano che gli veniva offerta per sorreggersi più facilmente. Tuttavia, non appena alzò lo sguardo e lo vide in faccia, uno stranissimo silenzio imbarazzato scese fra i due e l’occhiata che gli porse fu breve e decisa, ma non priva di significato ovviamente.

Ishaq non disse niente e si limitò a portare a termine quanto si era ripromesso di fare, aiutando l’altro a raggiungere il sedile che gli venne indicato. Dopodiché, il vecchio si sedette, annuendo in un gesto di ringraziamento che tuttavia rimase decisamente particolare e piuttosto teso, senza aprire bocca. Ed il giovane uomo si allontanò dunque per ritornarsene al suo posto, dato che la partenza era prossima oramai.

Lo Speed-Train partì poco dopo, in effetti, e ben presto i contorni del paesaggio visibile attraverso la vetrata divennero sempre più indistinti mentre il mezzo di trasporto aumentava gradualmente la sua velocità fino a raggiungere l’incredibile limite di cui era capace. Mentre se ne stava seduto, Ishaq cominciò a guardare di sbieco il vecchio di prima, dato che era solo a poche file in avanti rispetto alla sua posizione, e poteva fissarlo con facilità senza essere osservati a propria volta. Ogni volta si riprometteva di non farlo, ma era più forte di lui: non riusciva a trattenersi. Forse era dovuto al fatto che era stato lontano così tanto, o che le cose era cambiate molto profondamente durante la sua prolungata assenza.

Da quanto poteva notare, sembrava che quell’uomo ormai avanti negli anni fosse stato privato per sempre di una parte del volto, cosa che molto probabilmente, e tristemente, lo costringeva ad alimentarsi e nutrirsi giornalmente mediante flebo mediche, o con metodi alternativi tutt’altro che naturali, ovviamente, a causa della gravissima deformità facciale. Inoltre, gli mancava una gamba e pareva non vedere molto bene dall’occhio destro, forse a causa di qualche altro problema che l’affliggeva e di cui non vi era traccia visibile all’esterno. Ma erano moltissimi i casi segnalati di persone con seri problemi alla vista che erano stati accertati dopo la fine delle ostilità, ovvero subito dopo che le malattie genetiche degli alieni erano state rilasciate nell’aria, e andavano da cose di poco conto a serissime patologie che si aggravano con il tempo, quando non provocavano complicazioni ben peggiori, oltretutto.

La sua carnagione pallida e raggrinzita, inoltre, sembrava molto più malmessa e consunta di quanto non fosse dovuto alla sua età che, seppure avanzata, certamente non era tale da giustificare quei segni vistosi e laceranti che si potevano osservare qua e là, e che non lasciavano presagire niente di buono per il futuro. Certe cose lo lasciavano sempre molto pensieroso, e lo rattristavano profondamente. Fu così che Ishaq tornò con la mente agli eventi di qualche anno prima.

———————————————-

Come si sentiva sicuro di sé quel giorno, indossando la sua divisa grigia decorata con le insegne della Terra sul casco, sulle braccia e spalle, mentre se ne stava rinchiuso nell’armatura da battaglia di Tipo 567- HM. Ishaq si sentiva imbattibile, al di là di ogni dubbio, ed era certo che sarebbe stato assolutamente deciso sul campo a breve, non appena fosse giunto il momento. Capelli neri tagliati molto corti, occhi chiari e penetranti, carnagione scura, 35 anni compiuti, corporatura da atleta, impulsivo ma comunque fortemente motivato, uscito solo da 3 anni dall’Accademia Militare Lunare in cui era stato sottoposto ad un lungo addestramento nelle condizioni di gravità più estreme, il giovane uomo di origine Centrafricana – anche prima di diventare un soldato – era sempre stato una persona piuttosto propensa a risolvere ogni situazione con una prova di forza più che con la diplomazia. Tuttavia la vita l’aveva profondamente cambiato, soprattutto la prigionia patita su quel buoi mondo alieno di cui non avevano neanche mai scoperto l’esatta posizione, oltretutto.

Equipaggiato con il suo fucile mitragliatore ad alta energia, dotato di mira automatica – che se fosse stato tutto in metallo, e non costruito con le moderne leghe super-dense, nessun essere umano avrebbe potuto minimamente sollevare… -  e con l’arma leggera aggiuntiva in polimeri riposta nell’apposito alloggiamento della corazzatura laterale sinistra, tutto sembrava promettere per il meglio quel giorno, mentre stavano silenziosamente schierati sul ponte della corazzata spaziale su cui erano stati alloggiati fino al momento in cui erano entrati nel ‘settore caldo’, ovvero lo spazio attualmente conteso con gli alieni. Di lì a poco sarebbero stati impegnati in combattimento, ed avrebbero fatto vedere agli Hugl-efn-tra di che tempra erano fatti i soldati della Terza SpazioArmata della Terra. Quella sarebbe stata anche un’ottima occasione per vendicare quanto era precedentemente avvenuto alla Seconda SpazioArmata che era stranamente scomparsa alcune settimane prima, non lontano da quello stesso settore, forse caduta a causa di un attacco nemico improvviso, oppure perdutasi fra le sconfinate vastità che si stendevano fra le stelle a causa di qualche inaspettato malfunzionamento dei sistemi di navigazione, che si sapeva bene non erano ancora completamente affidabili come avrebbero dovuto. Certe cosse succedevano, ogni tanto, lo sapeva Ishaq così come i suoi commilitoni… Ogni viaggio spaziale poteva essere senza ritorno. D’altra parte, l’Umanità si era ritrovata a dover correre davvero a perdifiato in quella avanzata oltre il sistema solare, affrettando tutti i preparativi e provvedendo all’invio dei propri mezzi e soldati il prima possibile, se voleva non restare indietro e perdere la fondamentale occasione di rivendicare per sé, una volta per sempre, i molti pianeti ricchi di risorse che si trovavano all’interno di quella vastissima area ancora inesplorata in parte. Poi tutto si era rivelato essere molto diverso da quanto immaginato, ed era finita in un attimo.

E in modo decisamente sconsolante…

———————————-

Ritornando all’attualità, Ishaq ripensò alle gravi deformità che aveva notato poco fa sul volto, e sul corpo, di quell’anziano passeggero che aveva aiutato a sedersi. Era in buona compagnia, purtroppo. Infatti, non erano solo quelle le deformità che si potevano notare attorno, anche su quel medesimo vagone. Ve ne erano fin troppe, e tutte assai vistose, una peggiore dell’altra… Era innegabile!

Il mondo natio a cui era ritornato, dopo la sua lunga prigionia, non era più quello che aveva lasciato, era fin troppo evidente, se ne notavano i segni ovunque uno si guardasse attorno. E precisamente in tutti coloro in cui l’uomo si imbatteva per strada, sui trasporti pubblici e nei luoghi di ritrovo, in tutti quegli individui colpiti da invalidità, resi cioè mutilati, storpi o ciechi per effetto di quelle che potevano essere considerate quali vere e proprie ferite, ricevute in conseguenza di una guerra che non avevano neanche combattuto direttamente! Si trattava di qualcosa senza precedenti, ed impensabile, invero, dato che nessuno avrebbe mai potuto prevedere una cosa del genere, o che potessero essere causate tali sofferenze all’intera popolazione di un pianeta. Certo, un Soldato Spaziale quale era stato lui stesso sapeva a cosa poteva andare incontro quando partiva per un’operazione militare, conosceva i rischi ed era consapevole che avrebbe potuto morire, o non essere più in grado di ritornare alla sua dimora. Tuttavia, l’Armata Terrestre dello Spazio era costituita solo da volontari, professionisti delle armi che erano peraltro ben pagati e ottimamente addestrati per compiere ciò a cui erano destinati, ovunque venissero inviati. La popolazione comune invece non lo era, ovviamente, come avrebbe mai potuto, d’altra parte? E perché, dopotutto?

Mai prima d’ora al termine di nessuna guerra, stando ai resoconti storici del passato, il numero degli sventurati che avevano subito traumi, ferite o mutilazioni durante le ostilità era stato così terribilmente alto, come era avvenuto al termine della guerra contro gli alieni noti come Hugl-efn-tra: a ciò erano giunti soltanto a seguito dei progressi ottenuti da quella specie bellicosa, che non si curava delle proprie azioni e voleva esattamente quello: impaurire, distruggere la volontà di resistenza, stroncare l’orgoglio del nemico e lasciare profondi danni fisici permanenti, condannare l’intero genere umano all’impotenza, ed alla perenne memoria di quella sconfitta. Era fin troppo ovvio che fosse questo il fine ultimo dei loro avversari, lo scopo per cui avevano colpito così violentemente, ed in maniera definitiva.

Gli alieni non volevano sterminare i Terrestri che avevano già sconfitto militarmente, anzi! Essi erano decisi a conservare in vita l’intera popolazione a condizione che vivesse come invalida – un’invalidità causata da essi stessi ad arte – ed impossibilitata a muoversi, agire, operare come aveva sempre fatto, in libertà, nel passato, e senza far soccombere alcuno a causa delle terribili ferite e deformità che erano state loro tragicamente provocate tramite la loro superiore tecnologia batteriologica che aveva dato origine a tutto ciò.

C’era ben poco che si potesse fare ormai, niente che il governo mondiale potesse pensare di organizzare per risolvere definitivamente il gravissimo problema, né era possibile ipotizzare di chiudere tutti costoro in ospedali, ed astutamente celarli alla vista degli altri, o semplicemente dimenticarsi delle loro sofferenze. Erano troppi, erano tutti i membri della popolazione Terrestre ad essere stati coinvolti, neonati, giovani e vecchi, nientemeno! Non vi erano neanche fondi sufficienti per compiere un’operazione del genere, e non vi sarebbero mai stati ovviamente. Non si trattava infatti di predisporre progetti di rieducazione professionale per reinserire questi uomini e donne nella vita civile e riavviarli così alle opere di pace di cui vi era grande bisogno ed al mondo del lavoro, in quanto non stavano ritornando da alcuna guerra, non erano stati colpiti durante i combattimenti, né erano scampati ad un attacco, ma la guerra stessa, nella sua forma più subdola ed atroce, era giunta fino a loro, insinuandosi nei loro corpi, nelle loro menti, e menomandoli pesantissimamente per il resto della loro esistenza. Neanche il notevole progresso che l’Umanità aveva raggiunto in quel secolo in campo medico e sanitario era in grado di por rimedio a quanto era avvenuto. Quello che era stato fatto ai Terrestri, le incredibili e dolorose malformazioni che erano state loro imposte dagli alieni a causa dei loro virus, nulla di tutto ciò poteva essere cambiato…

Oltretutto, al tormento delle lacerazioni fisiche di cui era pieno il loro corpo, si sommavano altri problemi di non poco conto. Infatti, a numerosissimi individui – e parliamo di milioni di persone… – era stata diagnosticata anche una nuova seria malattia conosciuta come ‘nevrosi da guerra spaziale’, ovvero, una patologia psichiatrica dovuta al forte stress subito da tutti coloro che, vivendo in ogni paese esistente sulla superficie terrestre, erano stati imprevedibilmente sottoposti a tale trasformazione da un momento all’altro, ed erano stati costretti a sopportarne e viverne le terribili conseguenze, giorno dopo giorno, senza possibilità di cambiare la loro situazione, né ora né in futuro.

Questo fece ritornare Ishaq ai tragici fatti di quel giorno, molti anni addietro.

—————————————-

Vi era un andirivieni continuo di squadre militari e singoli tenenti che tenevano a fatica il passo dei loro superiori, accanto ai veloci mezzi multifunzionali posizionati lungo le paratie su cui avrebbero dovuto presto salire a bordo per discendere verso il pianeta desolato ove era stato deciso di costituire il Centro Comando provvisorio, in attesa di nuovi ordini. Fra circa mezz’ora, se veniva confermato quanto sapevano, avrebbero iniziato le operazioni militari di conquista e consolidamento del territorio che si stendeva sotto la loro astronave dall’aspetto corazzato e battagliero.

Ma non tutto andò come previsto. Anzi, era stato proprio da quel momento in poi che ogni cosa aveva cominciato ad andare in malora, senza dubbio.

“Che succede?” chiese ad un certo punto il capitano della sua squadra d’assalto “Perché si sono interrotte tutte le comunicazioni interne?”

“Signore, sta succedendo la stessa cosa anche alle armi… tutti i fucili ed i mitragliatori degli uomini stanno velocemente perdendo energia, non mantengono la carica di cui erano stati riforniti…” precisò il suo assistente in seconda.

“Maledizione, maledizione, maledizione!” cominciò a ripetere in un impeto d’ira il superiore.

“Ci stanno prosciugando le riserve, sembra che l’energia stia venendo risucchiata su tutta la nave…” aggiunse il sergente, un uomo alto e ben piantato che era noto per i suoi modi sbrigativi e ben poco accomodanti anche nei confronti dei più alti in grado. “Di questo passo saremo completamente indifesi!”

“Fra quanto?” il capitano lo incalzò.

“Di fatto, signore, temo che lo siamo già…” rispose l’altro.

“Come hanno fatto? Voglio sapere come hanno fatto, subito!” insistette con voce cupa il corpulento comandante dell’intero Reparto d’Armata che raggiunse correndo il punto esatto in cui si trovava lo stesso Ishaq con i suoi commilitoni ed il capitano. Ancora oggi l’uomo ricordava chiaramente l’espressione sconcertata e priva di sé al tempo stesso che aveva notato nei suoi occhi, come se stesse accadendo di nuovo davanti a lui ora.

“Non funziona davvero più nulla…” esclamò un soldato.

“Qui è tutto offline!” aggiunge un medico accanto a lui.

“Come possono farlo? Che armi utilizzano?” si sentì chiedere da qualche parte, in un ambiente che stava diventando sempre più ingovernabile e confuso.

“Ehi, ci hanno lasciato anche senza luce!” disse poco dopo un altro che gli stava accanto.

E così via, in un susseguirsi di brutte notizie e malfunzionamenti sempre più consistenti e gravi che stavano mettendo in pericolo la stessa navigazione della loro astronave.

Hanno fatto la loro mossa, ora verranno a finirci…” pensò fra sé il comandante. Mentre già il suo volto si rabbuiava, presagendo forse la triste fine che li attendeva…

Ed Ishaq vedeva volgere a conclusione i suoi giorni gloriosi, che pensava sarebbero cominciati a breve, ancor prima di aver avuto inizio, in realtà…

———————————————-

Quel primo conflitto interplanetario che l’Armata Terrestre aveva tristemente perso, quel tragico errore di proporzioni incredibili era costato in seguito circa 7 miliardi di vittime che erano state ferite e mutilate in quel modo terribile ed inaspettato, di certo mai sperimentato in precedenza da alcuno. E per quale colpa poi? Per essere la stessa specie originaria dell’esercito che li aveva attaccati? Per l’ardire che la popolazione aveva manifestato nel supportare i soldati umani, nel votare per i loro leader politici che li avevano portati a quella battaglia? Oppure, semplicemente per punirli del fatto di vivere sul loro mondo natio? Tutto ciò, oltre ad apparire insensato, era del tutto sproporzionato ed indegno. E tuttavia, erano quegli alieni che detenevano il potere ormai, erano loro ad essere più evoluti, più avanzati tecnologicamente di quanto lo fosse mai stata la Terra, l’esito di quella guerra l’aveva dimostrato oltre ogni dubbio… Se era vero, come si è sempre detto, che la storia la scrivevano i vincitori, di fatto non si era mai visto niente del genere, poiché chi aveva trionfato in tale conflitto si era anche arrogato il diritto di decidere della vita presente, e per il futuro, di un’intera specie che, evidentemente, agli occhi dei loro avversari, si era macchiata delle stesse colpe, e dello stesso orgoglio che avevano mostrato i militari dell’armata sconfitta. Agli Hugl-efn-tra non bastava aver umiliato i loro nemici, volevano anche impedire che si rialzassero per sempre, e non solo i loro soldati, ma anche i genitori, figli, affini, etc., tutti quanti, insomma, coloro che vivevano su quel lontano pianeta da cui era partita l’armata che aveva tentato di stabilirsi entro i confini di un territorio che essi stessi consideravano da sempre di propria competenza, e che aveva fatto tutto il possibile per batterli in battaglia, con esiti disastrosi in conclusione. Volevano che la guerra, o la semplice aspirazione ad una rivincita da attuarsi magari nei fatti negli anni successivi, facesse paura ora e per sempre, perché si traduceva in una varietà infinita di effetti spiacevoli ed incurabili per tutti.

Si era mai sentito di niente del genere? Oppure vi erano altri mondi alieni che già gli Hugl-efn-tra nella loro storia avevano sbaragliato e trattato nello stesso modo crudele in precedenza? Per quanto potevano saperne gli esseri umani, sì, poteva essere già capitato altrove, nelle vastità dello spazio sconfinato, in luoghi di cui nessuno aveva mai finora sospettato l’esistenza. E chissà che ne era stato di quelle popolazioni ancora sconosciute, in seguito… Mostruosità, cattiva costituzione, grave conformazione o imperfezione fisica, atrofia, deformità, era possibile che anch’esse soffrissero di quegli stessi sintomi da cui erano affetti oggigiorno tutti gli esseri umani?

Si parlava anche dell’esistenza di alcuni soggetti che erano rimasti sfigurati a tal punto da non avere più forma umana. C’era poi chi diceva, fra i reduci come lui che erano stati tanto fortunati da ritornare integri sulla Terra, che la popolazione residente fosse ormai costituita da persone finite, sconfitte nel corpo e nell’anima, dei cadaveri viventi, dal carattere cupo, che si mostravano sempre fuori di sé e sfogavano la loro ira nei modi più violenti con tutti, e con nessuno in particolare. Si parlava anche dell’esistenza di alcuni migliaia di soggetti che erano rimasti sfigurati a tal punto da essere ritenuti solo dei veri scherzi della natura. L’affranto Ishaq non la vedeva così. Era vero, infatti, che non sarebbero mai potuti tornare come erano prima, che non vi era nulla che potesse riportarli al loro stato originario rimuovendo le gravi infermità da cui erano stati colpiti dal giorno alla notte, risvegliando molto diversi da come erano una volta. Né la buona aria, né la sanità del cibo o tutti i trattamenti noti avrebbero potuto fare alcunché e renderli nuovamente pieni di vigoria e salute. E tuttavia erano ancora vivi, potevano dare un grande contributo alla ricostruzione della società umana nella sua totalità, se solo ne avessero avuto la spinta morale, la forza interiore indispensabile in tali casi. Il punto era proprio questo: lo volevano davvero? Lui stesso, se si fosse trovato in quello stato, l’avrebbe mai voluto davvero? Era molto difficile rispondere a tali domande…Ed era anche fin troppo facile per lui vedere le cose dall’esterno e giudicarle con semplicità: non era stato oggetto degli esperimenti tremendi a cui erano stati sottoposti tutti i membri della Seconda SpazioArmata che era stata catturata quasi interamente in precedenza e su cui, per la prima volta, erano stati testati quei virus che gli Hugl-efn-tra avevano poi deciso di diffondere sul loro pianeta per affliggere tutta l’Umanità. Al contrario, la forza militare a cui apparteneva Ishaq, sebbene sconfitta, era stata semplicemente tenuta rinchiusa per alcuni anni, e senza ricevere nessuna spiegazione, con nessun contatto con i propri cari, in pratica fungendo da materiale umano di riserva su cui compiere possibilmente altri terribili esperimenti, qualora fosse stato ritenuto necessario da parte dei loro carcerieri alieni.

I Vigliacchi’, ecco come li chiamavano alcuni fra la popolazione. Dato che loro se n’erano stati buoni buoni nelle carceri degli Hugl-efn-tra  mentre sulla Terra veniva dato inizio a quel piano micidiale che avrebbe portato alla diffusione di quei terribili virus, altri avevano anche cominciato a definirli ‘I Colpevoli’ così come del resto, in generale, i militari che avevano portato tutti loro in quella stupida guerra che tante gravose conseguenze aveva avuto alla fine. In effetti, forse non avevano tutti i torti, sebbene non tutti i prigionieri avessero avuto la loro stessa sorte e fossero stati liberati sostanzialmente sani come prima, più o meno. I soldati della Seconda SpazioArmata non erano stati così fortunati, tanto per dirne una, dato che era proprio su quei poveracci catturati in precedenza che gli alieni avevano fatto i primi e più crudeli esperimenti al fine di testare gli stessi terribili virus che avrebbero presto lanciato verso il pianeta madre degli umani. Con le conseguenze che tutti oggi conoscono…

Invece i membri della SpazioArmata di Ishaq avevano avuto una sorte completamente diversa. Solo perché erano stati presi dopo, e dunque solo per caso…

Sarete un esempio per tutti gli altri Terrestri, un monito per coloro che hanno appreso a proprie spese cosa vuol dire opporsi militarmente a noi. E tutti le volte che vi guarderanno resteranno in silenzio, maledicendo il momento in cui hanno voluto contrastarci, o hanno voltato per i loro rappresentanti politici guerrafondai che hanno tentato di combatterci, e che li hanno portati a tutto questo, subendone le terribili conseguenze sulla loro pelle ovviamente!“. Ecco cosa avevano detto loro i responsabili del campo di prigionia degli Hugl-efn-tra al momento in cui erano stati finalmente liberati per essere poi rispediti al loro mondo con la prima nave spaziale disponibile, come un pacco postale, punto e basta.

Un monito! Quello erano diventati, e niente più… Come avevano potuto arrivare a questo punto? Chi poteva prevedere che le cose sarebbero finite in questo modo, davvero? E d’altra parte, chi avrebbe mai pensato che i Terrestri sarebbero stati sconfitti in modo così chiaro, incontrovertibile e definitivo dagli Hugl-efn-tra, senza possibilità di rivalsa, né di una nuova occasione per scontrarsi in campo aperto un giorno in futuro? In realtà, non vi era più alcun futuro per la nascente potenza militare della Terra nello spazio oltre il sistema solare, così come non vi sarebbero più state spedizioni di conquista da inviare su altri mondi di nuova scoperta per accrescere i territori posti sotto controllo dal pianeta madre. Sarebbero stati altri, e non loro, a condurre il gioco d’ora innanzi. Quello spazio sconfinato che si stendeva oltre i confini abitati fino ad allora dagli esseri umani sarebbe stato solo degli Hugl-efn-tra e delle loro superveloci e supercorazzate astronavi, che avrebbero potuto disporne come meglio volevano. Senza che l’Umanità avesse potuto dire niente, senza nessuna opposizione di alcun genere, almeno fintanto che essi stessi non si fossero imbattuti in avversari più forti ed avanzati tecnologicamente di loro. Sempre che ciò fosse avvenuto un giorno, da qualche parte fra le stelle delle vastità infinite…

Mentre Ishaq cominciava a raccogliere le proprie cose e si apprestava a scendere alla prossima fermata che veniva annunciata ormai a 3 minuti soltanto da quel momento, la sua mente tornò alle immagini che aveva visto quando era salito sullo Speed-Train alla partenza. I luoghi affollati, anche se non poteva evitarlo, erano posti da cui cercava di tenersi lontano il più possibile. Infatti, nelle aree ove si radunava maggiormente la popolazione urbana, come le stazioni, le piazze, etc., poteva imbattersi più facilmente in quella moltitudine di disperati che costituiva la società oggigiorno. A casa, nella sua piccola dimora a cui era ritornato, era più facile estraniarsi dal mondo, stare lontano da tutto e da tutti – salvo incontrarsi ogni tanto con i pochi reduci che come lui erano ritornati dalla lunga prigionia subita lontano dal loro pianeta – e tener chiusi tutti i dispositivi video in cui poteva trovare filmati, news e quant’altro su quelle disgrazie che erano toccate in sorte all’Umanità. Invero, non era facile, specie nella società moderna completamente informatizzata e sempre collegata a qualche rete-dati, tuttavia Ishaq ci riusciva. Quando però si trovava a passeggiare fra tutti quegli individui, quando posava lo sguardo su quei giovani, o bambini, con un solo occhio, un solo braccio, due teste, con varianti pressoché infinite che includevano l’assenza stessa di uno o più estremità anatomiche, ecco, era in quel momento che il cuore gli veniva meno.

Ed infatti, come temeva, non appena il vagone si avvicinò al punto d’arresto e le porte si aprirono per permettere di scendere, quel variopinto e raggelante ammasso di persone affette dalle più atroci sofferenze e menomazioni comparve ai lati, chi trascinando stancamente i propri arti inferiori contorti e malmessi, chi sostenendosi l’un altro nel caso dei membri di una famiglia che si accingevano a partire, in una sequenza ininterrotta di immagini tristi e sconvolgenti che si insinuavano nei suoi pensieri come tante lame di metallo gelido e pungente che lo trafiggevano ripetutamente.

Senza dir nulla, l’uomo si mise sulle spalle il suo bagaglio, camminò tenendo mestamente il volto verso terra ed affrettò il passo. Cercava di andarsene senza destare troppe attenzioni, tentando di non farsi abbattere moralmente mentre si allontanava, in silenzio, fra tutti quegli uomini, donne, figlie e figlie che stavano male, soffrivano e si disperavano ogni giorno per la loro condizione e le loro presenti invalidità. Lui sano e in salute, si muoveva e viveva in un mondo che sano e salvo non lo era ormai più da molto tempo, con suo grande rammarico. Senza che potesse farci niente, senza che vi fosse la possibilità di cambiare qualcosa…

Era quello il risultato della guerra? O era solo il destino che attendeva tutti gli sconfitti? Difficile dirlo. Per quanto ne sapeva Ishaq, era una sofferenza che affliggeva non solo gli esseri umani che erano stati colpiti da quelle modificazioni genetiche crudelmente indotte, ma anche chi, come lui ed i suoi commilitoni, erano usciti fuori dalle ostilità mantenendo alfine la propria integrità fisica. Che se ne sarebbero mai fatti e che giovamento ne avrebbero mai avuto, in realtà, dato che ovunque andassero, dovunque si rintanassero, quelle immagini e quei volti dei civili sofferenti li avrebbero sempre perseguitati, anche nei loro sonni, rimproverandoli, criticandoli e disapprovandoli per ciò che erano, per come erano rimasti? Forse anche per il fatto di essere semplicemente ancora in vita, a ricordare loro giornalmente, e molto biecamente, con la loro stessa esistenza quello che erano prima? Ciò che sfortunatamente loro stessi non sarebbero mai più stati…

Sergio Palumbo