AMORE & MORTE SULLA RIVIERA ROMAGNOLA – 06

PERSONAGGI PRINCIPALI

Roberto Santinovi: narratore e protagonista

H e Best: amici di vecchia data di Roberto

Rosi: 25enne milanese

Viola: giovane e bellissima ragazza di cui Roberto si innamora

Vanessa: ex fidanzata di Roberto

Ermanno: gestore della stazione balneare e guardone 

Gina: moglie di Ermanno, gestisce con lui la stazione balneare

Sergio: guardiano notturno della pensione

Nino: violento romeno al soldo della malavita

Anonimo al telefono: amico di Roberto

Mike: barbone che predice il futuro

Tirai su la bascula del garage. Non sapevo cosa avrei trovato davanti a me. Era come tirare un dado, ma che importava? Il destino mi aveva forse riservato altre chance? Avevo trascorso tutta la notte a provare a ricostruire come fossi finito in quel posto. Ma niente da fare. Ciò che mi restava era alzare quella bascula e sperare di non trovarmi di fronte a un distretto di polizia. Non era chiusa da fuori e questo voleva dire che nessuno mi aveva portato in quel luogo, chiudendomici dentro, ma che al contrario ero riuscito a raggiungere quel garage sulle mie gambe.

La leva prese a scorrere con un cigolo. La stanza del garage venne invasa dalla luce. Nascosi il viso, colpito dai raggi. Non so dire per quanti giorni ero rimasto lì, inebetito, senza forze e senza ragione sul pavimento. Quando mi ripresi, potei finalmente guardarmi attorno: mi trovavo all’interno di una costruzione in muratura, altri garage attorno e nessuna anima viva, grazie a Dio. Feci alcuni metri e raggiunsi uno spiazzo all’aperto. Dovevo trovarmi in campagna: nei dintorni vedevo solo campi intervallati da alberi e cascine in lontananza. L’androne in cui si trovavano i garage era la pancia interna di una villa, sul fianco di una collina. La villa doveva essere abbandonata da non molto tempo.

Quel che mi mancava era cercare di capire in quale paese mi trovassi. Dovevo essere nell’entroterra: il mare non compariva in alcuna direzione e da nessun lato facevano capolino le colate di cemento della città.

Come fossi stato in grado di raggiungere un posto del genere nello stato mentale in cui mi trovavo resta, ancora ad oggi, un mistero. In quell’istante, però, non mi soffermai più di tanto su questo interrogativo. Avevo ben chiaro in mente quel che dovevo fare e ci misi poco a eseguire i miei intenti. Tagliando per i campi come un fuggiasco di inizio secolo, mi portai all’altezza di una cascina mal protetta. Qui penetrai in casa e, senza essere scoperto, portai via gli oggetti di cui necessitavo. Raggiunta quindi la sponda di una roggia che costeggiava un campo coltivato, mi tagliai i capelli e mi rasai il viso, lasciandomi solo i baffi. Quindi mi cambiai con gli indumenti che avevo rubato. Nell’acqua osservai il lavoro compiuto: parevo un uomo di fatica, un falegname, con il cappello in testa e la camicia sporca infilata male nei pantaloni in tessuto.

Presi la strada sterrata e lasciai che mi conducesse a una strada d’asfalto. Proseguii, fino a quando raggiunsi una fermata di autobus sulla statale. Entrai sull’automezzo come un uomo comune che non ha nulla da nascondere e mi diressi senza esitare alla città che aveva fatto di me un ricercato.

Quando raggiunsi la città del duplice misfatto, le strade parevano imprigionate in un’ansia congestionata. Le macchine, i mezzi, le persone marciavano a ritmo invariato. I negozi erano aperti come ogni giorno e nei bar le persone sedevano ai tavoli all’aperto. Quel che era cambiato era lo sguardo negli occhi della gente: ruvido e indagatore, gli omini lungo le strade si fissavano l’un l’altro con sospetto. Il maniaco poteva essere uno qualunque di loro e tutti sospettavano tutti. Il vicino guardava il vicino con sfiducia, le mani durante la messa venivano strette con ritrosia. Chi mai avrebbe potuto riconoscermi in un ambiente come questo, in cui l’assassino era individuato nel volto di qualunque persona, in fondo?

Nei confronti della polizia, potevo poi contare sull’effetto sorpresa: chi mai avrebbe potuto immaginare che non solo non mi ero allontanato più di tanto, ma addirittura che stessi tornando sulle mie tracce, fino al luogo del delitto?

La verità era, però, che di tutti questi rischi e congetture non mi interessavo: quel che contava non era certo preservare la mia libertà o salvare la mia vita. La mia esistenza non aveva alcuna importanza e l’unico scopo era trovare la persona che aveva ucciso Viola.

Vendica la tua Viola, Roberto!

Attesi tutto il giorno, chiuso in quel bugigattolo. Al buio, il sole che filtrava soltanto a righe tra le fessure del legno e il caldo che mi asfissiava, rovente e pesante, colava su di me che mi trovavo accucciato, in attesa. Sapevo che al tramonto sarebbe passato, per controllare che tutte le porte fossero chiuse. In quella strettoia in fondo, nessuno avrebbe potuto sentirci.

Eccoci. Sentii i suoi passi avvicinarsi e l’ombra comparire tra le fessure del legno. La mano si posò sulla maniglia e aprì la porta. Non appena la luce invase lo spazio della cabina, mi sporsi e vi tirai dentro l’uomo. Quel laido non riuscì a emettere un suono, non aveva nemmeno capito cosa stesse succedendo! Girandolo come un burattino, lo piegai e lo misi a sedere, gli premetti la mano sulla bocca.

- Il nostro guardone – gli dissi cattivo mentre estraevo il coltello dalla tasca.

Gli occhi del gestore della spiaggia si dilatarono dal terrore. Con un gesto lento gli portai un coltello alla gola. Sudava come una spugna, quel porco di Ermanno.

- So che sei stato tu a uccidere Rosi e Viola – la mia voce era come ghiaccio fuso.

Lo lasciai lì a sudare in balìa del mio coltello, con le unghie gli laceravo la pelle attorno alle labbra.

- Ora ti ammazzo. -

I suoi occhi erano spalancati, parevano due bambini che, caduti nella corrente del fiume, cercano di prendere ossigeno.

- Hai due possibilità: mi spieghi esattamente perché le hai ammazzate e io ti uccido in un attimo tagliandoti la gola – feci una pausa, ma continuavo a guardarlo e a infilargli le unghie nella pelle. – Oppure non parli e io ti cavo gli occhi.

Nel mio sguardo non c’era l’ombra di un dubbio. Lo percepii benissimo dal volto di Ermanno: la speranza gli spirava via.

Tolsi la mano dalla sua bocca.

- Uh – il gestore della spiaggia non riusciva a parlare, dalla gola gli usciva solo un fischio sottile.

Lo guardavo senza nemmeno battere le palpebre.

- No, no! – riuscì a bofonchiare – Io non ho ucciso nessuno! – con la schiena cercava di andare indietro, ma i listelli in legni gli impedivano la fuga.

- Sì, tu.

- No, non ho mai ucciso nessuno, lo giuro!

La disperazione per dover scontare una colpa non sua si leggeva sul viso di quel porco.

- Perché dovrei crederti? – lo stuzzicavo.

L’odore acre del piscio si diffuse nella cabina. Il porco si era pisciato addosso, ma io non feci una piega, infierivo su di lui con un mezzo sorriso.

- Io non uccido – continuava a ripetere.

- Ma guardi – gli mostravo i denti.

- Sì, sì, guardo – crollò – mi piace guardare le ragazze, i loro culi, le tette, mentre si spogliano, o quando prendono il sole…

- Perché? – intavolai una breve seduta di psicanalisi. Volevo capire come ragionava la mente di quel perverso.

- Da giovane nessuna me la dava – disse senza esitazioni – e mia moglie… Fa schifo.

- Questo lo so.

- Guardo le giovani, le spio, perché è la sola cosa che posso fare.

- Puoi andare a puttane.

- No, le donne a pagamento non mi piacciono. Mi sento giudicato – disse anticipando la mia domanda.

Strano modo di vedere le cose. Ma tutto mi pareva coerente, per la mente limitata di un porco laido come quello.

- Quindi le spii. E se qualcuna se ne accorge la uccidi.

- No, no. Mia moglie sa già quel che faccio. Per questo non me la dà più.

Gli sputai in faccia.

- Chi ha ucciso le ragazze? – gli premetti il coltello. Un filo di sangue uscì dalla pelle.

- Io non lo so – sibilava solo più ormai – Ma so che Sergio, il guardiano notturno della pensione, è uno che quando si innamora di una ragazza…

- Cosa? – abbaiai.

- Si era preso una cotta per Rosi. La seguiva, la spiava sotto casa… Io stesso l’ho visto.

Poteva bastare così. Ermanno non faceva parte dei giochi. Aveva detto la verità, non avevo alcun dubbio.

Gli spinsi il coltello alla gola.

- Se fai parola con qualcuno della mia visita – gli sussurrai all’orecchio – torno e ti uccido.

Me ne andai calpestandolo.

Ermanno era completamente estraneo alla faccenda. Ci avrei scommesso qualsiasi cosa. Peccato: era il mio primo indiziato e la mia improvvisata indagine, basata sui modi rudi della polizia dei regimi totalitari, avrebbe riscosso un immediato successo se fosse stato lui la mano guantata.

Mi trovavo invece con il nome di Sergio, il guardiano notturno della pensione, tra le mani. Il suo volto, lungo e storpiato, era finito nella lista dei miei indagati fin da subito, in quanto era stato uno strenuo corteggiatore di Rosi. Forse lo spilungone aveva assaggiato il sapore della morte e, dopo aver visto Viola e la sua sconfinata bellezza, aveva sentito il bisogno di ripetersi.

Il nome di Viola mi paralizzò il flusso dei pensieri. Per alcuni istanti lo stomaco, che era vuoto da diversi giorni ormai, fu attraversato da flussi acidi, che si trasformarono in conati di vomito. Stavo camminando su una strada poco trafficata e dovetti reprimere l’impulso per non dare nell’occhio. Focalizzai la mia attenzione sull’assassino, misi tutto il mio cervello sul punto che dovevo raggiungere. Dovevo a tutti i costi trovarlo. Il dolore in quel momento non era lecito.

Vendica la tua Viola, Roberto!

Tornai lucido, ma dovevo recuperare le forze. Avrei fatto visita a Sergio non appena avessi escogitato un piano valido. Non mi restava che trovare un posto in cui mangiare qualcosa senza attirare l’attenzione della gente.

Nel frattempo, sfogliavo la margherita dei sospettati. Se Ermanno era uscito dai giochi, non voleva necessariamente dire che si potesse escludere la moglie Gina. Forse il guardone ne era all’oscuro, ma la bruttona dai capelli rossi poteva desiderare di vendicarsi sulle giovani ragazze che il marito spiava. Quella donna scrostata dal logorio del tempo poteva covare rabbia e desiderare di rifarsi spegnendo le vite delle ragazze su cui ancora si posava il bacio della bellezza. Con Gina avrei utilizzato una tecnica differente: Ermanno avrebbe potuto parlarle della mia visita, in fondo quei due sembravano in confidenza, nonostante le apparenze… In quel caso non avrei dovuto muovere un dito: sarebbe stata lei a fare la prima mossa, venendomi a cercare o attirando la mia attenzione per poi eliminarmi.

Quel che non mi convinceva di queste due piste era che erano troppo scollegate rispetto alla mia persona. Se era vero che Rosi e Viola potessero essere considerate semplicemente come due giovani e affascinanti ragazze che frequentavano i medesimi posti, era anche vero che la loro uccisione era stata consumata in entrambi i casi nella notte in cui erano state con me. Inoltre, se per Rosi l’avvenimento poteva anche ritenersi casuale, nel caso di Viola il fatto che il cadavere fosse stato trasportato nella mia camera voleva significare che, per lo meno, l’assassino era a conoscenza della mia persona e intendeva depistare su di me le indagini. Questa riflessione portava dritto allo spettro che albergava nelle mie notti, che come una vespa silenziosa in una camera buia volteggiava su di me: Nino. Forse quel maledetto romeno mi aveva trovato da diverso tempo e aveva avuto ordini di farmela pagare forte. Forse i suoi capi gli avevano ordinato di farmi finire in prigione. In quel caso, alla morte di mia zia (forse erano informati anche di quello), avrebbero avuto buon gioco ad andare da mia madre e rivendicare i soldi che il figlio doveva loro. Un gioco da ragazzi. Nino che girava per l’Italia alla mia ricerca, con il sorriso di un lupo affamato. Nino e quel coltello che portava sempre con sé.

(6 – continua)

Daniele Vacchino