AMORE & MORTE SULLA RIVIERA ROMAGNOLA – 03

PERSONAGGI PRINCIPALI

Roberto Santinovi: narratore e protagonista

H e Best: amici di vecchia data di Roberto

Rosi: 25enne milanese

Viola: giovane e bellissima ragazza di cui Roberto si innamora

Vanessa: ex fidanzata di Roberto

Ermanno: gestore della stazione balneare e guardone 

Gina: moglie di Ermanno, gestisce con lui la stazione balneare

Sergio: guardiano notturno della pensione

Nino: violento romeno al soldo della malavita

Anonimo al telefono: amico di Roberto

Mike: barbone che predice il futuro

Soltanto all’ora di cena del giorno successivo riuscii ad alzarmi dal letto e lasciare la camera. Ero del tutto ristabilito quando discesi le scale e raggiunsi l’androne. Fu qui che la incontrai. Un gruppo di tedeschi stava portando le valigie nell’ascensore. Dietro di loro, una coppia sui cinquant’anni, modesta ma dignitosa, camminava nella direzione della sala pasto. Quando la coppia mi diede il fianco per voltare nella sala, me la trovai di fronte: i suoi occhi neri furono la sola cosa che potei vedere, perché mi catturarono tutto. Fui capace soltanto di intravederne il viso regolare, incorniciato dai capelli neri corvino, dalla pelle morbida, la bocca splendida e tornita come un albero secolare. Quegli occhi mi fissavano come se secoli interi di umanità confluissero nuovamente nelle mie vene. Poi anche lei, come quelli che, a buon diritto, potevo ritenere i suoi genitori, girò e proseguì nella sala.

Quando raggiunsi il mio posto a tavola, lei si trovava già seduta, al centro della stanza, sulla mia destra. Avevo paura a voltarmi nella sua direzione, temevo che un eccessivo interesse da parte mia avrebbe potuto smascherarmi e, in ultima ragione, affossare le mie possibilità con lei, se mai ne avessi avute. Mi sentivo tornato di colpo ragazzino, la spiavo con la coda dell’occhio come ero solito fare quando sedevo tra i banchi dell’università. Il resto del mondo era scomparso dalla mia vista. Teneva gli occhi bassi, composta nella sedia, lenta e con l’atteggiamento di una educanda. Nei gesti, sinuosi ed eleganti, pareva trattenuta; ma si capiva che al momento opportuno il suo corpo avrebbe potuto sprigionare la vitalità che i suoi occhi mi avevano mostrato. I genitori parlavano con tono basso tra di loro; lei masticava e, ogni tanto, portava i capelli dietro le orecchie.

Cercai di porre attenzione a quanto si dicevano tra loro i genitori, ma il tono di voce era troppo basso per distinguerne le parole. Cercavo con arguzia di carpire qualche informazione, possibilmente di intendere il nome della ragazza, qualora l’avessero pronunciato. Dopo poco, fui premiato: la madre allungò una fetta di pane alla figlia, chiamandola Viola.

Non mi ero nemmeno accorto dello strano silenzio in cui era avvolta la sala. In tutti i giorni precedenti, i commensali si erano dimostrati loquaci tra loro, producendo tutti assieme un suono che poteva essere accostato al frastuono. Quella sera era diverso: la cena veniva consumata in doviziosa assenza di baccano, al limite qualcuno lasciava uscire qualche brusio all’orecchio del vicino.

Viola. Viola. Viola. Rosa nera che sovrasta un prato di trifogli, voluttuosa e oscura, nell’immenso giardino degli dei. I soli quando sprofondano sotto il mare non conoscono nemmeno il bagliore dei tuoi occhi neri. Regina del deserto, dea per cui vale la pena di rischiare la vita milioni e milioni di volte. Cos’è stato quello sguardo? Avrebbero potuto uccidermi in quell’istante, se solo tu mi avessi giurato il tuo amore. Ma mi sarei accontentato di meno: bastava un tuo sorriso, esile quadrifoglio, per ridare luce alla mia vita disfatta! Momenti di solitudine crollavano come statue di cera al sole, con il tuo sguardo il sangue tornava a scorrere potente nelle mie secche vene.

Avrei potuto assecondare gli scherzi del destino, una vita di rinunce, la vecchiaia e anche la morte, se Viola mi avesse dato la mano. Le sue esili dita tra le mie, il suo sguardo di sposa convenuta in un voto, le sue labbra come supplizio per le mie notti. Come una bambina, chiedevi la mia protezione; come una donna, invocavi la mia promessa d’amore. Eri come una notte senza stelle, poiché tutta la luce era confluita in te, dea dai capelli e dagli occhi neri.

Procedevo quasi barcollando verso la spiaggia. Sebbene la mia andatura non tradisse alcuna irregolarità, il mio spirito era tutto frastornato dall’incontro che avevo appena avuto. Poteva davvero un semplice faccia a faccia cambiare così improvvisamente le mie prospettive di vita? Era davvero possibile che una emozione del genere prendesse piede in un animo tanto gualcito come il mio? Domande razionali come queste sfioravano solo impercettibilmente la membrana del mio cervello, ma venivano poi facilmente respinte, sommerse dalla marea delle emozioni irrazionali. Era come se Beatrice fosse apparsa sulla linea della mia vita, per venirmi a porgere la sua illuminazione.

Il mondo mi appariva di colpo sotto una veste completamente rinnovata: luccicante e pieno di diffratte aspettative, geyser di luce che esplodevano con i sospiri. Questa energia, la sua forza come uno sciame d’api, finiva poi per defluire all’improvviso, non appena domande come “La rivedrò mai?”, “Potrò mai fare la sua conoscenza” comparivano dinanzi come bianchi fantasmi. Il colore veniva perciò risucchiato da un nero che toglieva senso a tutto, voracemente.

Senza nemmeno accorgermene raggiunsi la stazione balneare di Ermanno e Gina. La coppia era dietro il bancone e fissava i clienti che, come me, facevano il loro ingresso nella spiaggia. Anche ai tavolini del bar la gente guardava con sguardo indagatore le persone che fluivano. Le donne anziane scrutavano dietro i ventagli aperti e i mariti facevano ballare le pupille ora sull’ingresso, ora sul giornale aperto davanti. Non mi curai di loro e feci per superare l’area occupata dai tavolini. Qualcosa, però, bloccò il mio slancio. Sulla prima pagina di un giornale tenuto in piedi da un tizio, campeggiava, ne ero certo fin dal primo sguardo, la foto di Rosi. “Uccisa” diceva l’immensa scritta al suo fianco. Poi, poco più sotto, scorsi nitido “maniaco”. Mi si gelò il sangue e, per un attimo, restai paralizzato. Gli occhi della gente erano tutti posati su di me, ne ero certo. Cosa fare? Non riuscivo a costruire un pensiero. Ripresi a camminare, infine. Mentre la sabbia scorreva tra le mie dita, cercavo di racimolare le energie residue nel mio cervello. Rosi uccisa? Da chi? Quando? Perché? Non la vedevo dalla notte della nostra uscita… Ma allora…?

Dovevo a tutti i costi recuperare un giornale: era inutile costruire e disfare castelli di carte.

“Ragazza uccisa sulla spiaggia a coltellate. Si cerca il maniaco” recitava il titolo del quotidiano. E la foto di Rosi, in camicia e con lo sguardo perso nel vuoto, campeggiava al centro della prima pagina. Nell’editoriale, l’esperto di nera del piccolo quotidiano locale narrava l’atroce sequela di brutalità a cui la vittima era stata sottoposta: undici coltellate in petto, inferte con un coltello a serramanico. Non un raptus estemporaneo, ma un omicidio premeditato: l’assenza di impronte digitali e altri rinvenimenti della scientifica chiarivano che l’assassino portava un paio di guanti in pelle. Una mano guantata che ha estirpato la giovane vita di Rosi sulla enorme spiaggia libera, nelle ultime ore della notte di… Stavo per trasalire… La notte a cui il cronista faceva riferimento era la notte che Rosi ed io avevamo passato insieme. Come era possibile? L’avevo accompagnata a casa dopo le tre… L’articolo parlava di un omicidio consumato tra le due di notte e le cinque del mattino, in quanto “L’assassino deve esser stato agevolato dall’oscurità”.

Passai agli articoli nelle pagine interne. “L’ombra del maniaco si allunga su di noi” era il titolo della seconda pagina. In grassetto, il monito del giornalista: “Tra gli ombrelloni e sulle giostre, dietro le sdraio e sugli scogli non possiamo dormire sogni tranquilli: c’è un pazzo omicida tra di noi”. Scorsi la pagina alla ricerca dello stato d’avanzamento delle indagini della polizia. Qualcuno della spiaggia poteva aver fatto cenno di me. In fondo, Rosi l’avevo conosciuta così, alla luce del giorno e sotto lo sguardo di tutti. “La polizia è al vaglio delle diverse piste. La giovane donna era qui in villeggiatura, come ogni estate. I parenti della vittima non hanno potuto segnalare alcun sospetto. Poche erano le relazioni che la ragazza aveva intrecciato in questo luogo per lei di vacanza”.

Se gli inquirenti non avevano ancora scelto una strada definita, era il giornalista ad elencarne alcune: “E’ necessario fare chiarezza sui suoi rapporti qui in riviera. Rosi aveva dei corteggiatori?”. La seconda fiutava la traccia della vendetta: “La giovane donna aveva fatto torto a qualcuno? Aveva forse soffiato l’uomo a qualche ragazza?”. Si seguiva anche la pista proveniente da fuori: “E se l’omicidio in vacanza fosse il pretesto per depistare le indagini, quando invece il misfatto è maturato negli ambienti della sua città, magari per questioni economiche o intrichi privati, di cui ancora nessuno è a conoscenza?”

L’articolo della quarta pagina era un identikit della ragazza: “Rosi Bellocchi, di età 26 anni, nata e residente a Milano, single, di professione addetta commerciale dell’azienda Cobrid S.r.l., figlia di…”

Soltanto alla quinta pagina si cercava di fare luce sulla vita in riviera di Rosi. E proprio in finale di articolo, l’ennesimo giornalista faceva tintinnare il mistero legato all’ultima notte di Rosi: “Con chi ha passato la notte la nostra bella villeggiante? Se, come è lecito pensare, la vittima è stata prelevata dall’assassino (che forse la conosceva ed era con lei in rapporti di reciproca amicizia, o di amore) nei pressi della sua abitazione e poi portata sulla spiaggia in cui è avvenuto l’omicidio…”

Testimoni, al momento, non ne erano saltati fuori. Solo conoscenti della vittima, che, in cambio di una nicchia di visibilità mediatica, avevano raccontato le estati di Rosi, tra pomeriggi in spiaggia, riposi sul lettino, sorrisi ai bagnini e qualche camminata in compagnia di giovinastri delle spiagge vicine. Di Rosi Bellocchi balenava fuori un quadretto dai tratti regolari: una giovane e affascinante donna, ancora in cerca della sistemazione definitiva, che non disdegna la compagnia maschile e che, seppure nella generale sobrietà, sapeva come adoperarsi per godere degli spazi di libertà concessi dalle vacanze sulla riviera romagnola.

A dirla tutta, dagli articoli letti era proprio la riviera romagnola, e non Rosi o l’assassino, a emergere come l’unica e vera protagonista. Lei, la bella dalle spiagge generose come i fianchi ampi, le notti disperate come il luccichio dei monili portati al collo, gli occhi rarefatti come le sue pigre giornate di sole sotto l’ombrellone. Cos’era lei, se non l’eterna giovinezza, la vita che sovrasta anche la morte? Anche un banale e, in fondo, trascurabile omicidio sulla riva del mare, era sopportabile in cambio (più prosasticamente) delle sue deliziose piadine, delle sue discoteche, delle sue pensioni a basso costo?

I miei guai, però, erano tangibili. Se la polizia fosse venuta a conoscenza del fatto che ero io la persona con cui Rosi aveva trascorso la sua ultima notte, sarei di colpo stato catapultato in cima alla lista degli indagati. Come avrei potuto dimostrare che quando lasciai Rosi nell’androne di casa sua, verso le tre di notte, lei si trovava ancora perfettamente viva? Ma non solo: se la notizia avesse fatto il giro delle testate giornalistiche, il mio nome sarebbe balzato agli onori della cronaca e il mio nascondiglio prontamente individuato da Nino e dal suo coltello. Questo elemento mi impediva di andare alla polizia a chiarire la mia posizione. Quale soluzione, dunque? Allontanarmi dalla pensione e far perdere le tracce, oltre che essere un’operazione difficile, avrebbe peggiorato di molto la mia posizione, qualora le indagini mi avessero coinvolto. Ero stretto in una tenaglia: da una parte stava l’esigenza di non mettermi in cattiva luce agli occhi di una eventuale indagine delle forze dell’ordine, dall’altra la paura di ritrovarmi Nino alla mia porta. Chiusi il giornale e lo buttai nel primo bidone della spazzatura che incontrai. Decisi di lasciar fermentare i pensieri, con la speranza di trovare una strategia da applicare.

(3 – continua)

Daniele Vacchino