GIORNALE DEL PROFESSORE DI SCUOLA MEDIA 03 – CATERINA E L’UOMO NERO

Luci e colori dovrebbero iniziare a colare nelle pennellate dell’autunno, ma il caldo sembra volersene restare seduto sopra alle spighe gialle di grano, sopra ai batuffoli di riso.

Nelle prime ore del pomeriggio il caldo dipinge espressioni violentemente annoiate sui visi dei miei alunni.

I primi rientri pomeridiani sono pesantissimi.

Mi consolo nelle lame ramate di luce sulle finestre della scuola verso tardi.

Sono le ore che preferisco.

Le persone ancora indaffarate in macchina per rientrare a casa o andare in palestra.

Processioni di invasati del fitness intasano i viali cittadini.

Dopo la campanella, i ragazzi e le ragazze scappano nelle loro tane, connessi al mondo digitale, l’unico che gli interessi davvero.

Io rileggo quanto ho scritto finora.

Appunti metamorfici.

Fotismi e fonismi planetari.

Forse.

Comunque non smetto d’indagare.

E’ un modo per distrarmi dalla paura o dal lavoro.

Su internet, scopro l’esistenza di una rivista di ufologia sperimentale, Il quarto tipo, uscita solo per pochi numeri nei primi mesi del 2009. Al terzo numero la testata cambiava nome in Dark Skies e, poco dopo, falliva. In quel terzo numero era possibile leggere un resoconto di un episodio alieno occorso in un paese della mia provincia, poco distante dai luoghi di cui ho raccontato. Dalle parti di Trino Vercellese, nella frazione di Lucedio, in un bel pezzo di piana affacciata sulle due torri luccicanti dell’ex centrale atomica di Crescentino. Dal sito di Maremagnum riesco a procurarmi una copia della rivista e leggere l’episodio, che, a detta del curatore (tale Molder?), è un puro resoconto stenografico dei fatti. In questo tardo pomeriggio d’inizio ottobre, la scuola ombrosa, piena di polvere m’attira. Nella stanzetta che funge da saletta per gli insegnanti, accendo un computer ingrossato e obsoleto. A parte una bidella al piano superiore, sono solo. Fuori un vento caldo soffia sugli steli d’erba dei giardini. Tiro fuori la copia di Dark Skies e la apro alle pagine dell’articolo che mi interessa. Ne sintetizzo alcuni passi, estremamente familiari. Le erbe intanto fischiano, si piegano, il calore inizia a disperdersi nell’aia.

Padre Tobia è un prete anticonvenzionale e nonostante i cinquant’anni ben portati, assai giovanile. Ama lo sport e il suo lavoro, eh sì, perché per lui la vocazione è un lavoro ricco di imprevisti e gratificazioni. Padre Tobia, lo chiameremo così per via di certe somiglianze col personaggio dello sceneggiato RAI interpretato da Silvano Tranquilli, ha interessi assai vasti, non limitati al breviario o le messe. Gira quasi sempre in bicicletta, organizza tantissimi tornei di calcetto nella sua parrocchia (frequentatissima dai ragazzini delle Medie e non solo) e ama i fumetti e i film di fantascienza. Pratica arti marziali e non sta mai fermo. E’ alto e asciutto, con la fronte spaziosa, una carnagione olivastra e i capelli corti e neri tagliati all’ultima moda dei calciatori. Contrariamente a quel che ci si potrebbe aspettare indossa un clergyman lungo fino ai polpacci, forse una piccola contraddizione, un contrappunto stilistico. Comunque. Padre Tobia ama la fantascienza. Legge Urania e i vecchi Cosmo che compra ogni terza domenica del mese alle bancarelle di Borgo D’Ale. E chi altri allora se non lui può accorrere in aiuto di una bambina, sua parrocchiana, tale Caterina? Caterina è una bambina di otto anni graziosa come una nuvoletta di lustrini e la vocina dal sibilo melodioso. Vive in una delle pochissime abitazioni nella frazione di Lucedio, a due passi dal tempio di Madonna delle Vigne e dagli ultimi residui di foresta planiziale del Vercellese. La casa di Caterina è una cascina dalla facciata pencolante e dai colori fusi. Per i suoi genitori è un brutto periodo. Il padre, prima bracciante agricolo in proprio, ha visto fallire l’attività di famiglia e si ritrova sommerso dai debiti. La madre, casalinga, è stata costretta a cercarsi delle ore da fare come donna di fatica in casa dei vicini. Una situazione difficile, come tante in questi tempi di difficoltà economica. Forse i problemi dei genitori hanno influito sulla serenità della bambina, prima sempre lieve come quei fiori che chiamano Palloni di Maggio. Negli ultimi tempi, la notte, Caterina dorme male, ha gli incubi e il mattino si alza con certe occhiaie lunghe. Subito a scuola, i professori e le professoresse notano la cosa e imputano il tutto alle risapute difficoltà in casa. Tuttavia, nel cascinale, le cose precipitano velocemente e Caterina non passa notte senza che la paura la assalga. Quando un buio fitto come pece cancella le stelle dal cielo, un’ombra sale fin nella camera della bambina e si mette a spiarla dai piedi del baldacchino, immobile e grave come un lutto inevitabile e atteso. I genitori della bimba intanto, dormono, sfiniti dai pensieri e dalle fatiche della giornata. A svegliarli sono gli strilli rauchi d’uccello della piccina. Caterina chiede aiuto, confessa i suoi tremori e parla dell’ombra notturna. Al principio nessuno le crede, poi, quando anche la salute sembra compromessa, il padre e la madre si rivolgono a Padre Tobia (i soldi per un neurologo non ci sono più, purtroppo). Il prete, sagace, non sottovaluta le descrizioni particolareggiate che Caterina rilascia e decide di vederci chiaro. Una notte, col permesso dei genitori, decide di rimanersene a dormire nel cascinale, a pochi metri dalla cameretta in questione. Padre Tobia, da buon credente, non ha la presunzione di affermare che Dio, nella vastità architettonica del suo Creato, abbia dato agli uomini soli fiato di vita e scienza. La mente stravagante del parroco ha avvertito nei racconti rantolanti di Caterina dei particolari stonati. Se l’ombra, nei pensieri infantili, ricopre il ruolo del babau, dell’uomo nero, perché, prima di ogni sua apparizione, viene preceduta da uno strano ronzio simile a quello di un insetto o al frullare d’ali di un uccello palustre? E perché nel cielo, in concomitanza con le ore in cui il visitatore si mostra, alcuni testimoni del circondario hanno chiamato i carabinieri per segnalare strani globi luminosi nel cielo? Per padre Tobia potrebbe esserci dietro dell’altro. Un complotto dell’Altrove, dalle sponde marose dell’ignoto? Negli anni, sulla Penisola, su quanti avvistamenti o strani incontri soprattutto nelle campagne o nelle località marginali ha letto? Padre Tobia è pronto a credere agli scintillii che squarciano il buio e agli occhi di brace violacea dell’ombra di cui la bimba ormai ha terrore. In un modo o nell’altro, quella notte, le visite finiranno. Il prete anticonvenzionale, provetto indagatore dell’incubo, armato di coraggio e di una candela presa dalla sagrestia, attende l’arrivo delle ore grevi. E queste arrivano. Quando il buio della campagna, che è altro rispetto ai riflessi elettrici della città, imprigiona il dolce piano della campagna in una bolla soffocante come il coperchio di una bara. Da dove è seduto, Padre Tobia può controllare la porta d’ingresso e il salone da cui proviene la luce azzurrina della tv, davanti alla quale siedono, anche loro in attesa, i genitori di Caterina. Per salire nella cameretta bisogna passare attraverso quel salone. Rimarranno tutti in attesa dell’uomo nero. Le ore procedono e l’oscurità diviene ancora più fitta e sferzante. Il tempo passa e la luminescenza televisiva deve imbambolare padre Tobia il quale, forse s’appisola a intervalli regolari. Poi, l’uomo che non ha paura né degli uomini né dei demoni sente qualcosa. Un lamento lontano. Un pianto dal piano superiore. E’ Caterina! Il cuore sotto il clergyman ha un violento palpito. Subito l’uomo scatta in piedi e corre verso il salone. Le ombre immobili dei genitori si stagliano contro lo schermo azzurro e sembrano immobili. Probabilmente si sono appisolati anche loro. Tobia, nel salire veloce le scale col lumicino, grida qualcosa ai due, per ridestarli dal sonno ipnotico. Mentre sale gocciola sudore freddo. E’ solo. Con la sua candela. Le scale. Un breve corridoio. La stanza socchiusa. Le bambole sui ripiani. La finestra che s’affaccia sull’aia spettrale. Il letto. Il baldacchino. Ombre tutto intorno alla candela. Il ticchettio di unghie sulle pareti. La fiamma vacilla. Ora padre Tobia ha paura sia degli uomini che dei demoni stellari. Il suo cuore ha un palpito violento, gocciola sudore. Alle sue spalle tutte le porte della casa si spalancano da sole. Il ronzio metallico come un grosso alveare. Caterina s’è svegliata con la fastidiosa sensazione di una presenza, di un fresco glaciale che inonda l’intero ambiente. L’uomo nero è lì, a pochi passi da loro. Seminascosto dietro la porta. Il suo corpo è sfumato, semitrasparente. Il suo sguardo supera i limiti mentali. Gli occhi hanno dentro una fiamma di boro, senza palpebre. Aria liquida. Occhi d’oltre tempo. Occhi violetti. Anche la casa, i muri sembrano trasparenti, immaginari. Una nube d’interpretazioni. Cieli cangianti. L’uomo nero come mummia d’ibis. La fiamma della candela vacilla. Padre Tobia sente tutta la vitalità del suo corpo, tutta la sua energia spirituale esaurirsi di colpo, invecchiare e morire. Gli restano le imprecazioni. Le urla. Vede la sua mano lanciare la fiamma verso la figura e girarsi verso la bambina, afferrarla e correre via. Sentire il fuoco crescere e vibrare. Nel salone le sagome dei genitori, ancora pietrificati. Tobia li raggiunge e li scuote. Ma le loro membra sono morbide e giallastre di nicotina, modellate nella cera, i volti lividi, repellenti e contorti. Visi scialbi con le gote gonfie come piene d’acqua. Manichini immobili, sostituti degli originali, trappole. Eh sì, trappole dell’uomo nero. Padre Tobia sente la morte scavargli dentro come un becco. Davanti a lui l’uscio si ramifica indefinitivamente. Le mani di Caterina aggrappate al suo collo come fazzoletti messi ad asciugare in un roseto.”

Testo curioso.

Dovrei cercare pezze d’appoggio.

Dovrei spulciare i quotidiani di quell’anno.

Dovrei verificare l’esistenza di Caterina.

Di Padre Tobia.

La scomparsa dei genitori.

Avranno messo tutto a tacere?

Coperto con una sonnolenza commerciale?

Distratto con gli alfabeti pubblicitari?

La bidella m’avverte dell’ora.

Salvo e spengo il computer.

Esco tra le case di Asigliano.

Adesso non si sentono rumori.

Le cucine sono animate dalla lucerna.

Vecchi fuori dal bar, usci sbarrati.

L’umidità sale dai fossi.

Da queste parti, si raccontano di strani prodigi.

Sopra la piana, il tavolato del cosmo è spento, senza luce, lago d’oscuro minerale, notte dei primordi.

(3 – continua)

Davide Rosso (fotografie di Cristiano Chiesa)