LA STREGA DI BRESCIA

Senza scope magiche e gatti diabolici, senza nulla addosso tranne che un semplice ruvido saio: così si presentava ai suoi concittadini bresciani, accorsi in massa per vederla bruciare sul rogo in piazza Loggia, Benvenuta Pincinella, giudicata strega dall’Inquisizione e arsa viva, come voleva la tradizione, nel mese di luglio del 1518.
E’ un periodo storico oscuro quello in cui viveva e praticava le sue arti Benvenuta, la strega di Brescia: Lutero stava minando l’unità della chiesa, i preti di provincia rinnegavano la dottrina cristiana, mentre la città era da tutti indicata come preda del demonio.
I capi di imputazione della donna parlavano chiaro, era certo una tipa stravagante: aveva fatto le corna al marito con il suo diavolo custode (nella foto a sinistra), usciva di notte con le amiche a festeggiare il maligno, praticava con successo le arti magiche. Molte donne si erano rivolte a lei a chiedere aiuto: incantamenti, cataplasmi, decotti, pozioni, previsioni del futuro.
Al tempo della sua condanna a morte, Benvenuta aveva sessant’anni: dopo essere stata rasata interamente alla ricerca del “marchio del diavolo”, un qualunque neo o una macchia della pelle di forma o colore particolare, la donna fu prima torturata e poi interrogata (nella foto a destra). Ed è facile pensare che, in quel frangente, avrebbe confessato qualunque cosa: la strega, o presunta tale, rivelò di aver partecipato ad un sabba, rendendo omaggio al demonio ed avendo con lui rapporti sessuali, e di aver lanciato sulle persone e sugli animali malefici di ogni genere. Al tempo stesso però le venne riconosciuta la capacità di saper guarire la gente, perfino la figlia di un nobile della città, pertanto le si riconobbe il pentimento. Ma questo non bastò a salvarle la vita.
Benvenuta non era però la sola. Tra il 1400 e il 1600 erano moltissime, in terra bresciana, le adepte della luna falcata.
La zona di Brescia era sempre stata una terra ricca di culti rupestri e tradizioni romane, radici celtiche e sincretismi religiosi tra pagani e cristiani: già San Filastro nel IV secolo d.C. indicava la Valcamonica come un luogo difficile alla penetrazione evangelica, ricco com’era di superstizioni e credenze popolari, legate soprattutto al culto della Dea Madre della Natura. Si trattava per lo più di una sorta di parareligione, di ispirazione femminile, principalmente seguita da guaritrici e levatrici capaci di leggere la sorte nella cera colante delle candele e di preparare filtri, decotti e pozioni naturali.
L’Inquisitore di Brescia chiamato a giudicare Benvenuta è però un vero “osso duro”, uno di quelli formati nientemeno che da Jakob Spranger e Heinrich Institoris, famosi padri del “Martello delle Streghe”, il testo ecclesiastico ufficiale della persecuzione contro le streghe, esperti di “ars diaboli”, fiduciati da Papa Innocenzo VIII: fu lui a organizzare le grandi cacce alle streghe nel nord Italia, principalmente nei vescovadi di Milano, Brescia e Bergamo. Fantesche, donne sole, vedove, giovani senza famiglia né marito. Tutte hanno per l’Inquisitore un comportamento sospetto. Pertanto, sono streghe!
Ma come apparivano agli occhi dei teorici del Santo Uffizio queste incantatrici? Erano femmine maliarde, un po’ patrizie nel portamento, libere nel muoversi senza alcun vincolo maschile, parlavano senza abbassare lo sguardo e si intrattenevano in sodalizi non sorvegliati da uomini: solitamente erano accompagnate da folletti e spiriti in forma di gatti neri o altri animali di pelo scuro e, se avevano nei, macchie o altre particolarità fisiche come le iridi bicolori, allora erano “certamente segnate dal demonio”. In sostanza, erano donne un po’ stravaganti non soggiogate da alcun uomo e, secondo il medievalista George Duby, il germe della caccia alle streghe è proprio da ricercarsi nell’intolleranza verso le donne libere, considerate sovversive e non sottostanti alle regole patriarcali, viventi nel nubilato e aventi quelle conoscenze che anche alla maggioranza degli uomini, tranne gli alchimisti, erano negate.
Bastava poco a quei tempi per essere additate come streghe e i processi seguivano uno schema ben preciso, con un interrogatorio pregiudiziale dove a priori si presupponeva che l’accusata fosse diabolicamente furba e che quindi mentisse. Per Benvenuta, inesperta certo in arte oratoria, fu facile cadere in contraddizione, segnando così la sua colpevolezza. E, quando le domande incalzanti e capziose non riuscivano a far breccia, si ricorreva alla Sibilla, una treccia di tortura utilizzata apposta per le dita delle donne.
Celebri sono, nello stesso periodo, i processi del frate inquisitore Antonio Petoselli nella ribelle Valcamonica, i tumulti, i dissidi, le denunce degli umanisti contro i roghi delle streghe e, per contro, al pullulare di maghe e indovine da estirpare, fiorirono negli ambienti di clausura, le sante e le mistiche, vero e proprio rovescio della medaglia.
Dunque, chi erano queste fattucchiere d’altri tempi del territorio bresciano che vedevano in Benvenuta Pincinella il loro emblema? Donne che avevano votato la propria vita al diavolo o che semplicemente risentivano di echi di celebrazioni agresti dei raccolti di derivazione romana?
Benvenuta Pincinella è morta… lunga vita a Benvenuta Pincinella, la strega di Brescia!

21/09/2007, Davide Longoni