IL CEPPO

E’ mezzanotte, nevica e alla pieve suonano a doppio, suonano all’entrata per la messa. Manuel sente il suono spandersi nell’aria fredda della festa e ripensa a quando lo sentiva da piccolo. Ricorda i lunghi inverni trascorsi coi vecchi del paese, coi suoi nonni, quando la domenica lo facevano mettere in ginocchio a pregare sottovoce nella chiesa piena di crepe e le candele smoccolate. A Manuel sembra persino di sentire quel sentore di medicina e cavoli che appestava le cucine di una volta. I suoi vecchi credevano nei vecchi miti, nel tempo sospeso della festa, del rito come momento di morte e rinascita del mondo. I suoi nonni credevano al vuoto vegetale, al buio, al freddo che spaccava la terra dentro cui si nascondevano i morti. L’inverno inferno era da imboccare con foglie di vischio, agrifoglio, alloro e ulivo.

La casa dei nonni teneva sempre la fiamma del camino accesa con le sue scintille e il suo fumo acre, perché il fuoco, per quelle comunità ignoranti e contadine, non ancora rischiarate dalla scintillante epopea del computer, era fonte di luce e calore che respingeva lontano le forze maligne o la morte con la falce. Il fuoco alimentato dal ceppo. Il ceppo di cipresso, di alloro, di olivo. Soprattutto la santa notte di Natale, quando i nonni sceglievano con cura i ciocchi da ardere per riscaldare i piedi ghiacci di Gesù Bambino o la barba gelata di Babbo Natale. Il ceppo spurgava con le sue numerose faville le cose brutte dell’anno vecchio e, simbolicamente, fiammeggiava la vegetazione isterilita in previsione di una rinascita. Il calore del ceppo anticipava il ritorno del sole e della vita nei campi. I nonni avevano l’abitudine di appiccare il fuoco con delle fascine secche di virgulti. Poi si desinava con l’oscillare della lucerna e i guizzi delle faville a dar spettacolo. Una cucchiaiata di quel che si mangiava veniva gettato nel fuoco, un’altra porzione lasciata su un piatto accanto a una sedia e uno scaldino. Dopo si usciva per la messa di mezzanotte, appena prima della suonata all’entrata.

I nonni dicevano che durante la loro assenza, Babbo Natale sarebbe venuto nella loro casa e solo se avesse trovato il ceppo acceso, e briciole di avanzi per lui, avrebbe lasciato dei doni di buon auspicio.

Poi gli anni erano passati, Manuel era cresciuto e i nonni morti. Il bambino fragile come cenere era divenuto un avvocato di successo, un avvocato del terrore che rappresentava esclusivamente i datori di lavoro, i proprietari di grandi aziende, fabbriche, supermercati. La specialità di Manuel era diventata quella di licenziare gli illicenziabili, ossia tutti quei parassiti tutelati da leggi troppo permissive e socialiste. Sindacati, consigli di fabbrica e lavoratori tutelati, ecco i nemici di Manuel. Nelle sue mani tutti finivano poltiglie, ridotti a working dead da eliminare per la prosperosa crescita folle dell’azienda di turno intenzionata a chiudere una filiale in attivo per aprirne un’altra in qualche paese dell’est. Nelle mani di Manuel, casi come questi erano all’ordine del giorno. Lui non perdeva una causa e riduceva ad avanzi tutti i poveracci che rompevano i coglioni coi loro diritti garantiti: donne incinte, portatori di handicap, esodati. Ombre su cui sperimentare le infinite forme del mobbing aziendale, ombre su cui escogitare sempre nuove forme di terrorismo psicologico. Ragazzi, benvenuti nel nuovo mondo, quello di 40 ore settimanali lavorative, quello in cui la vita lavorativa aumenta in continuazione e la tredicesima è solo un pallido ricordo, quello della flessibilità esasperata e dello smantellamento sistematico di tutti i diritti conquistati in 150 anni di movimenti operai. Così si guadagnava da vivere Manuel. Sbriciolando, distruggendo, annichilendo vite umani, sempre a favore dei potenti della terra. Così si era guadagnato notti profonde senza più l’incubo di essere sommerso dai debiti, così com’era stato per i suoi genitori o per i suoi nonni, quelli sbiancati all’ombra del camino borbottante.

Ora, molti anni dopo, Manuel è tornato in quella vecchia casa, proprio la notte di Natale. La scusa è di dare un’occhiata alla fatiscenza del rudere e decidere di vendere quell’ultimo brandello di passato. Manuel è arrivato nel pomeriggio, ha aperto le persiane, lasciato entrare aria pulita. Sui muri ha visto la pittura diventare polvere. Nella rimessa ha trovato ancora cataste di legna e un ceppo accuratamente coperto. Lo ha portato in casa con altre fascine e ha acceso un fuoco così come gli avevano insegnato. Poi la notte, come un ragno che dondola sul fondo di un filo di seta, è entrata dalle finestre. Fuori la neve si è accampata nei campi. Manuel si è seduto davanti al camino e ha ripensato a tutto quello che avete letto fino a qui. Al passato. Al presente. Al futuro.

Alla mezzanotte, nevica e dalla pieve suonano a doppio per l’entrata. Nel camino il bricco di legno brucia e sfrigola ancora. Manuel, assonnato, decide di ritirarsi e getta un bricco d’acqua nel camino, senza preoccuparsi di quanto gli dicevano i vecchi sul fatto che Babbo Natale e Gesù Bambino avevano bisogno di tutto quel friggere per riscaldarsi e non arrabbiarsi. Dopo un’ora, Manuel sente dei rumori dal piano di sotto. Come dei passi che lo risvegliano. Uno scalpicciare pesante che sale le scale e viene verso di lui. Allora un’angoscia sottile come neve bianca gli copre l’anima e lo riporta bambino, quando ascoltava le fole delle veglie. I passi pesanti si fermano davanti alla porta. Un filo di luce filtra dall’uscio. Manuel, paralizzato dallo spavento, osserva la maniglia abbassarsi. Da un momento all’altro è sicuro di veder comparire la figura mostruosa di un Babbo Natale con giacca e pantaloni di lana rossa e inserti di pelliccia bianca. Quel Babbo Natale ha anche una barba lunga e bianca e un cappuccio rosso. Quel Babbo Natale ha una mannaia tra le mani sporche di sangue. Quel Babbo Natale è venuto per lui, perché non ha trovato il ceppo sul fuoco, un bicchiere di vino e una fetta di pane. Quel Babbo Natale avrà pure un volto mostruoso da orco o da insetto stellare.

Intanto l’uscio si scosta e rantoli di vento zoppicano dentro la stanzetta. Un gran silenzio sale dall’ombra della casa. Nient’altro. Allora Manuel capisce che non c’è alcun mostro nascosto oltre la soglia, perché l’unico mostro presente nella casa è lui, soltanto lui. L’orrore vero è quello in cui vive: la sua vita fatta di sopraffazioni e cinismo. A Manuel non resta che ridere sollevato, pensando a quanto è stato sciocco e a come sarà bello tornare in città e riprendere il mobbing contro i poveracci.

Davide Rosso