VI TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: II CLASSIFICATO

ALI DI FUOCO

di MONICA SERRA

Sopra la piana di Skaarg, nuvole basse e scure s’inseguivano rapide nel cielo, come se da un momento all’altro dovessero precipitare e schiacciare il mondo.

Quando le raffiche spaventose si alzarono a sconvolgere le acque del mare, il villaggio era ancora addormentato. Tutto iniziò con un lieve soffio di vento: freddo, troppo freddo anche per la gelida primavera della Costa Alta. Un’inquietudine, un presentimento d’angoscia, poi i colori sbiadirono e si levarono le onde.

Altissime, violente, si frangevano contro la scogliera andando in mille pezzi: congelavano a contatto con l’aria e si frantumavano in infinite schegge di ghiaccio. Il vento ululò, implacabile, e i lampi squarciarono il cielo.

Dalle nubi compatte scesero bianchi e gelidi fiocchi, dapprima lievi, poi sempre più fitti e pesanti. La tempesta aumentò rapidamente di violenza, finché il piccolo borgo di pescatori arroccato sugli scogli non fu ricoperto da un manto compatto, soffice e immacolato. Il freddo era intenso e le capanne di legno non erano adatte a quel gelo improvviso: non avrebbero resistito a lungo.

Sopraffatto da cupi pensieri, Grundel non riusciva a staccarsi dalla finestra. Erano ore che guardava la neve cadere, pensando a come comportarsi. Era il capo villaggio e la vita degli abitanti di Skaarg era una sua responsabilità: doveva trovare una soluzione al più presto, o non avrebbero avuto scampo dalla furia del mostro. Con la testa poggiata sul pugno e la mente affollata di dubbi, osservò il sole sorgere pallido all’orizzonte, mentre la nevicata, a poco a poco, cessava.

Pensò al giorno in cui il drago era giunto a Skaarg, qualche mese prima. Come sempre, quando la mente scavava nel passato e riportava a galla quel ricordo tremendo, il suo cuore accelerò i battiti e un groppo gli serrò la gola.

Un tiepido pomeriggio di primavera. Il sole illuminava i prati a nord del villaggio e, oltre la scogliera, una sconfinata distesa blu si confondeva all’orizzonte con il cielo terso e lucente. D’un tratto, un freddo insolito era disceso sulle case. Si era posato lieve e silenzioso come un respiro, ma gelido e terribile. I prati erano bruciati all’istante, il mare aveva assunto un’inquietante sfumatura violacea, fino a diventare quasi nero. Gli abitanti erano usciti dalle case, scambiandosi occhiate sgomente. Poi, un ruggito aveva lacerato il velo di quiete che avvolgeva Skaarg e tutti avevano alzato lo sguardo. Un secco rumore d’ali e un altro verso stridente avevano preceduto una nuova ondata di gelo. In preda al panico, molti erano rientrati tra le mura domestiche, serrando le porte e nascondendosi negli angoli più appartati. Lui invece era rimasto a guardare, incapace di muoversi, ammaliato e al tempo stesso terrorizzato dal volo armonioso del drago. La creatura era enorme, ricoperta di scaglie bianche che rilucevano come madreperla. Nulla di più bello e spaventoso era mai comparso davanti ai suoi occhi.

Grundel si riscosse. Non riusciva ad andare oltre, i ricordi si facevano troppo difficili da sopportare. Il soffio dei Draghi d’Aria uccideva qualsiasi cosa toccasse: la bestia venuta dal Nord aveva portato il gelo e seminato morte su tutta la Costa. Ogni suo respiro si trasformava in una tempesta glaciale. I raccolti erano distrutti, non c’erano più pesci nelle acque di Skaarg, niente più gabbiani nei cieli della Costa e gli uomini migliori avevano perso la vita cercando di uccidere il mostro. Non c’era più tempo per pensare.

Quando anche l’ultimo fiocco fu caduto, Grundel afferrò il pesante mantello, se lo gettò sulle spalle e uscì. L’aria era frizzante e il villaggio quasi scompariva sotto una coltre candida; era caduta così tanta neve che persino la scogliera ne era ricoperta e là, dove finiva il bianco, iniziava il blu intenso del mare. Si avviò a passi decisi verso il centro del borgo, in cui molti abitanti si erano già radunati. Alcune donne si affacciarono sugli usci con cautela; rivolse loro un rigido saluto, con la speranza di apparire rassicurante, poi si fermò davanti al gruppo riunito nell’ampio piazzale.

C’era Rorin, il pescatore, e Britt, il carpentiere, e Fank, l’oste, e Kressa, la conciatrice, e molti altri che riconobbe e salutò con un cenno della mano. In breve la piazza si riempì.

Grundel attese che tutti fossero presenti; a quel punto, si fece avanti e parlò.

«Credo che occorra prendere subito una decisione e che tutti siate d’accordo con me su questo fatto». Passò lo sguardo su ciascuno degli astanti, sfregando le mani per riscaldarle. «Non so per quanto ancora potremo resistere».

Un giovanotto agitò il pugno.

«È vero!». Eric, il figlio del carpentiere. Suo padre era caduto in uno dei vani tentativi di uccidere il drago. Il ragazzo aveva le guance livide per il freddo e le sue parole condensarono in una spessa nuvola di vapore. «Dobbiamo reagire!».

La vecchia Ilge, la guaritrice, scosse il capo: «E come possiamo lottare contro la bestia? Credi davvero che saremmo in grado di affrontarla?». Era una donna piccola e raggrinzita, e persino i più anziani non ricordavano più quale fosse la sua età. «Ti sei già scordato la fine di quelli che ci hanno provato?». La nota di dolore nella sua voce fece rabbrividire Grundel. «Sono stanca di ricucire ferite inguaribili e ricomporre corpi straziati. Quella creatura è troppo potente e noi siamo soltanto dei poveri pescatori che non sanno combattere, neanche per difendersi».

Il capo villaggio si passò una mano tra i capelli, nervoso. Probabilmente Ilge aveva ragione, ma lui non poteva lasciare che la disperazione prendesse il sopravvento. Prima che potesse intervenire, Ruk, uno dei pochi pescatori abili rimasti a Skaarg, parlò.

«Sono d’accordo. Non penso che possiamo ribellarci al potere del mostro. Quel maledetto ha già ucciso i nostri uomini migliori, non abbiamo più forze per resistergli!». Il suo sguardo si fissò in quello di Grundel, quasi con aria di sfida. «Dobbiamo arrenderci alla realtà e andarcene da qui».

Le voci si sollevarono, sovrapponendosi, e molti manifestarono il loro parere: quasi tutti concordavano sul fatto di abbandonare Skaarg. Grundel lasciò che parlassero, ascoltando senza replicare. Quando anche l’ultima opinione fu espressa, un silenzio carico di tensione calò sulla piazza. Unica eccezione, il sibilo sinistro del vento tra le case e il rumore secco delle onde che si spezzavano contro gli scogli.

Grundel guardò uno a uno i presenti, come per raccogliere le idee, poi parlò con tono grave.

«Conosciamo la pericolosità del drago, ma sappiamo anche che c’è un’arma in grado di sconfiggerlo».

Un brusio percorse la folla ed Eric si fece portavoce dello stupore generale che le parole del capo villaggio avevano suscitato.

«Ti riferisci al Talismano degli Antichi?» Guardò Grundel come se improvvisamente gli fossero spuntate due teste. «Un’arma che non sappiamo neanche se esista davvero?».

Grundel si strinse nel mantello. Il freddo si era fatto più intenso e il vento sembrava volergli strappare la pelle dal viso.

«Le voci che giungono dalle terre meridionali dicono che sia tornato e stia venendo a nord. È l’unica speranza che abbiamo» replicò brusco.

«Ma quanto dovremo aspettare?» Ilge avanzò verso di lui e lo fissò con gli occhi piccoli smarriti in un intrico di rughe. «Quanto, prima che il Talismano giunga qua, ammesso che esista?».

Grundel le restituì uno sguardo sincero.

«Non lo so, Ilge. La mia unica certezza è che moriremo tutti, se lasceremo che il mostro continui a usare i suoi poteri contro di noi. Ma io non permetterò alla mia gente di abbandonare le sue case».

La voce di Kressa interruppe il discorso del capo villaggio.

«Chi sono quelli?».

Ci fu un nuovo mormorio e molte teste si volsero nella direzione indicata dalla conciatrice.

Lungo la via proveniente da sud, due persone avanzavano sul terreno ghiacciato. L’uomo era giovane, armato di spada, arco e frecce; portava i capelli intrecciati secondo la moda del Regno Sabbioso e indossava abiti di buona fattura. Tuttavia non furono il suo nobile aspetto o le armi pregiate che portava in bella vista a catalizzare l’attenzione degli abitanti di Skaarg. Al suo fianco, vestita di una tunica cremisi, così leggera che pareva intessuta con tela di ragno, una donna camminava come se il freddo non esistesse. Tutti gli sguardi erano per lei: i suoi capelli rossi ondeggiavano sulla schiena a ogni passo, i piedi sembravano sfiorare appena il sentiero. E laddove si posavano, la neve si scioglieva, come se l’avesse baciata un raggio di sole.

Quando giunsero nella piazza, la gente davanti a Grundel si aprì e i due stranieri si fecero avanti.

Il brusio si fece più forte e qualcuno si ritrasse spaventato nell’incrociare gli occhi dorati della fanciulla. Poi la folla si richiuse, accerchiando gli estranei.

«Chi siete?».

Il forestiero guardò dritto negli occhi Grundel, per niente intimorito dal fatto di essere circondato: «Sono Lamiroth di Regno Sabbioso. E lei è Fenis». Le iridi color oro della ragazza scintillarono ma lei restò muta. «Siamo qui per il drago».

Gli abitanti del villaggio mormorarono fra loro. Fank si fece avanti.

«Un damerino e una ragazzina… Bell’affare!».

Grundel gli fece cenno di tacere e studiò i due stranieri.

Il volto della donna era di una strana bellezza, liscio, luminoso, incorniciato da riccioli morbidi e vaporosi che parevano scintillare come lingue di fuoco. L’uomo era giovane, ma il suo sguardo esprimeva forza e coraggio notevoli per la sua età.

«Un principe» suppose il capo villaggio. «E una…» Esitò. «… sacerdotessa, forse. Come pensate di aiutarci?».

«Fenis è il Talismano degli Antichi» rispose il ragazzo. Un nuovo brusio attraversò la piazza con la forza di un fulmine.

Grundel incrociò le braccia e guardò con diffidenza lo straniero.

«Ah sì? E dove lo ha Fenis, questo talismano? Mostracelo, così sarà più facile crederti».

Il giovanotto si accigliò: «Non ho detto che lo ha. Ho detto che lei è il Talismano. Non fare altre domande, potrei non essere in grado di rispondere. Lascia solo che ci occupiamo del drago».

Negli occhi di Grundel passò l’ombra del dubbio. Ma qualsiasi cosa era meglio di niente: decise di fidarsi.

«D’accordo» disse, ignorando la protesta di alcuni pescatori. «Dimmi qual è il tuo piano».

 

Lamiroth del Regno Sabbioso non aveva un vero e proprio piano e Grundel quasi si pentì di aver accettato il suo aiuto, quando apprese che sarebbe stata la ragazza ad affrontare la bestia. Non aveva creduto neanche per un istante alla storia del Talismano.

Guardò i due forestieri avanzare nella piana retrostante il borgo e accendere alcuni falò. Dovevano essere pazzi se pensavano di poter combattere il drago in quel luogo aperto e ricoperto dai ghiacci.

Lamiroth raccomandò agli abitanti di Skaarg di restare nel villaggio, dopodiché si appostò accanto a uno dei fuochi e rimase in attesa. A quel punto, la ragazza avanzò verso il cuore della spianata. C’era una strana calma, muta e immobile.

Fenis si fermò. Sollevò le mani, con gesti fluidi e lenti, intessendo fili invisibili. Pareva una fiamma al centro della piana gelida e immacolata. Poco a poco intorno a lei si addensò un caldo bagliore e il cerchio così evocato parve raccogliere in sé quella primavera che il Drago d’Aria aveva trasformato in ghiacci e venti impetuosi.

La donna mosse le labbra senza emettere alcun suono, cantando una silenziosa melodia. In lontananza, un verso terribile e inumano rispose al muto richiamo, generando il panico tra i pescatori di Skaarg, che si dispersero in pochi istanti. Soltanto Grundel rimase dov’era.

Una sensazione di freddo, un’aura mortale, dilagò attraverso la pianura, mentre la nebbia si alzava e avanzava in fitti banchi. Il cielo parve chiudersi su se stesso, accumulando una tensione sempre più forte e divenendo più scuro, finché a un tratto lui comparve. Il suo ruggito era freddo e crepitante come il ghiaccio e bucò la foschia come una lama.

Il drago si avvicinò al cerchio con incedere maestoso. Era immenso e le sue scaglie riverberavano la strana luce di cui la ragazza era avvolta. Un denso vapore, gelido e insinuante, fuoriusciva dalle froge in nubi biancastre; la bava che scendeva dalla bocca si trasformava in lunghe punte di ghiaccio; le orbite erano blu e terribili e la pupilla oblunga si restrinse quando il riflesso emanato da Fenis la colpì.

Tutto ciò che si ritrovò vicino alle narici umide del drago si congelò, quando esso chinò il capo verso la ragazza. La bestia aprì le mascelle e una lingua nera e lunga guizzò attraverso i denti affilati come coltelli. Piegò la testa da un lato, quasi fosse intento all’ascolto, ma se Fenis gli stava parlando, nessuno fu in grado di sentire le parole.

Grundel era rimasto fermo al limitare della piana, laddove Lamiroth gli aveva ordinato, a osservare Fenis da lontano, incapace di muoversi, come se un’energia superiore gli tenesse ancorati i piedi al suolo gelato.

Lei se ne stava all’interno del cerchio e pareva forte, più forte dello stesso drago. La veste si mosse, agitata da un vento invisibile, e in pochi istanti la ragazza fu come al centro di una tempesta. Un’intensa aura rossastra la avvolse; si sporse in avanti verso il drago e lo sfiorò con le sue volute lucenti, come se volesse saggiarne l’essenza, poi si ritrasse e svanì.

I capelli ondeggiarono attorno al viso come tentacoli di fuoco vivo, in risposta al respiro gelido della bestia, poi Fenis unì le mani. Sembrò di nuovo intessere l’aria e tra le dita affusolate comparve un arcobaleno tremolante di mille colori, che pulsava come l’aurora boreale in una fredda notte d’inverno.

Il drago era inquieto: arretrò ed emise un ringhio sommesso. Improvvisamente, il vento alzò la neve; il soffio divenne via via più forte, finché un’esplosione scosse la terra. Un istante dopo, ali maestose ed eleganti si aprirono e l’aura di Fenis prese la forma di un uccello. Lamiroth, accucciato accanto a uno dei falò poco lontani dal cerchio, si coprì gli occhi per l’intensità della luce: la donna fu avvolta da un bagliore accecante, finché scomparve tra riflessi multicolori.

Grundel assisteva incredulo a quel che accadeva nella piana. Cercò di riordinare i pensieri: la sua parte razionale non riusciva ad ammettere che la ragazza fosse realmente la Fenice, mentre il suo cuore esultava perché il Talismano era giunto fino a Skaarg.

Sto impazzendo, pensò. E la pazzia mi fa vedere cose impossibili.

Non aveva mai creduto sul serio alla leggenda dell’uccello di fuoco tramandata dagli Antichi. Eppure, nonostante i suoi dubbi, il Talismano esisteva e la Fenice era lì, di fronte al terribile Drago d’Aria. Proprio sotto i suoi occhi.

Non era più un’illusione fatta di luce e colori, ma un essere solido e concreto. Era più grande di un’aquila e aveva un piumaggio dal colore splendido; il collo pareva d’oro, mentre il corpo era ricoperto di piume rosse e la coda brillava di un azzurro intenso. Le ali mescolavano oro e porpora in un fuoco inestinguibile e Grundel non riusciva a staccare lo sguardo dal lungo becco affusolato e dal diamante che le ornava il capo, incastonato tra le due piume rosate che scivolavano morbidamente sul collo. Quando la creatura spiegò le ali, gli parve che il sole stesso sorgesse sulla piana ghiacciata.

Una nebbia biancastra invase ogni angolo della pianura. Il capo villaggio sentì un brivido gelido arrivargli fino alle ossa, mentre l’assenza di colori si stringeva attorno a lui, avviluppandolo tra le sue spire. Il battito del cuore che gli martellava nel petto era quasi assordante. Quella cosa, qualsiasi cosa fosse, s’impossessò dei suoi pensieri e li rese freddi e oscuri. Grundel ansimò, incapace di muoversi o parlare. Per qualche istante la bruma lo circondò in ogni direzione, risucchiando tutta la luce; ogni riflesso si spense e non ci fu più nessun suono, se non un silenzio mortale.

Dopo un tempo che parve infinito, la nebbia cominciò a diradarsi. Grundel individuò una sagoma nella densità del vapore gelido e riconobbe Lamiroth: il giovane imbracciava il suo arco e lo puntava verso il drago.

Poi d’un tratto la luce tornò a brillare, sempre più intensa, al centro della spianata.

Fenis allargò ancora attorno a sé le ali di fuoco, lucenti al pari di un sole. I suoi occhi dorati erano imperscrutabili e il suono che emise fu acuto e penetrante, come un vetro infranto. Il potere della Fenice si levò contro la nebbia per spazzarla via e a poco a poco anche gli ultimi banchi di vapore si ritrassero, dissolvendosi nell’aria. L’uccello di fuoco continuò a splendere, implacabile e bellissimo. Era un duello straordinario. Il drago fu travolto da un torrido e istantaneo calore e Lamiroth scagliò la sua freccia.

La luce aumentò d’intensità, prima che il dardo colpisse le scaglie di madreperla. Ci fu un ruggito, poi un suono tremendo, e il drago esplose in una miriade di schegge luccicanti: tutto ciò che rimase di lui fu uno scintillante cuore di cristallo, al centro della pianura.

Fenis barcollò fuori dal cerchio. Il vento era cambiato: una brezza tiepida soffiò dal mare e un gabbiano gridò in lontananza, mentre il cielo sembrava più terso e lucente.

Lamiroth corse a sostenere la sua compagna e la aiutò a sedersi su una pietra.

Il ghiaccio che ricopriva la pianura sfavillò, poi iniziò a sciogliersi.

 

Gli abitanti di Skaarg, increduli, si riunirono nuovamente nella piazza e Grundel cercò di placare il mormorio nervoso che agitava la folla. Lamiroth si avvicinò, aiutando Fenis a camminare, ma un sasso gli cadde davanti e lo costrinse a fermarsi. Guardò Eric, che stringeva altre pietre tra le dita, pronto a scagliarle contro di lui.

«Perché?» chiese, stupito. Accennò un passo, ma un’altra scheggia gli sfiorò i piedi. La vecchia Ilge fece uno scongiuro in direzione della ragazza. Mentre il capo villaggio si faceva largo tra la gente per raggiungerlo, Eric indicò Fenis.

«Dopo quello che ha fatto, chiunque ha capito cos’è. È evidente che un potere come il suo non può appartenere a un essere umano». Lamiroth fece un altro passo. «Non avvicinarti, straniero!» Eric pareva spaventato. Esitò, incontrando le strane pupille dorate di Fenis: «Può essere pericolosa!» Il suo timore si tramutò in rabbia, quando il principe del Regno Sabbioso avanzò ancora, a dispetto delle minacce. Scagliò un’altra pietra, che colpì Lamiroth al braccio. «Questo villaggio ne ha abbastanza di mostri!».

«Non è un mostro. Ha salvato la vita a tutti voi» replicò Lamiroth con un lampo minaccioso negli occhi. Il figlio del carpentiere ebbe un sussulto.

«Non vi vogliamo qui. Andatevene!» gridò, sostenendo con fierezza lo sguardo. Grundel lo raggiunse e lo afferrò per il polso, impedendo un nuovo lancio. Eric si liberò con uno strattone e si allontanò, risentito.

Pian piano, soffocata da un pesante silenzio, la piazza si svuotò; quando non ci fu più nessuno, i due stranieri s’incamminarono sul sentiero che da Skaarg andava verso nord.

«Mi dispiace». La voce di Grundel alle sue spalle costrinse Lamiroth a fermarsi. Il principe si volse.

«Non importa» disse. «La gente ha paura di ciò che non conosce o non comprende. Non è la prima volta che incontriamo simili ostilità, da quando abbiamo intrapreso il cammino».

«Dove andrete adesso?» chiese il capo villaggio.

«Abbiamo ancora molto da fare». Lamiroth si aggiustò l’arco in spalla. «Il drago era solo uno dei tanti flagelli partoriti dalla nebbia mortale che viene da nord».

Raggiunse Fenis, che si era fermata poco più avanti, i capelli di fiamma accarezzati dal soffio leggero del vento di primavera.

«Occupati della tua gente, Grundel. Forse un giorno ci rivedremo».

Senza aggiungere altro, si avviò tra lastre di ghiaccio che si scioglievano in tanti rivoli luccicanti. Fenis lanciò un ultimo sguardo dorato all’uomo di Skaarg, poi seguì il compagno.

Per un istante, prima che i due sparissero oltre la pianura, Grundel ebbe l’impressione di veder risplendere un paio di maestose ali di fuoco.