IL CORAGGIO

Frank Wallace sarebbe morto.
Fin qui, tutto normale. La gente muore, ogni giorno.
Ma Frank avrebbe smesso di vivere quella notte.
Aveva perso il lavoro…
…e senza lavoro si muore.
 
Chiuse gli occhi.
Prese una sigaretta.
Sentiva profondo, il crepitare della carta, trasformarsi in fumo.
 
La strada era buia ed il gelo fischiava tra canyon di cemento.
Insegne al neon, ombre: la città era un drago con mille teste e Frank il cavaliere dalla sigaretta d’acciaio.
Aspirò una boccata.
Sopra di lui, auto volanti ronzavano come gli insetti della peste.
Un’altra boccata di fumo; luci abbagliarono la strada e un soffio d’aria calda investì Frank.
Si fece da parte.
Una coupé nera atterrò rombando. Carrozzeria lucida, stella a tre punte sul radiatore: roba da ottanta, centomila sterline.
Frank si avvicinò.
Una ciclo-capsula, a forma di siluro, con due ruote motrici, gli tagliò la strada.
-Hey attento!- Frank sollevò lo sguardo verso chi aveva parlato.
-Quasi ti ammazza- disse lo sconosciuto, scendendo dalla berlina nera.
Frank sorrise: -Non avrebbe fatto male.
L’altro si accese una sigaretta e in un attimo venne oscurato da soffici volute fumose.
Si strinsero la mano con l’affetto unico ai vecchi amici.
Richard era un uomo snello, quarant’anni, divorziato e con due figlie che non vedeva mai troppo spesso.
Completo nero, quasi un prolungamento della berlina; cravatta dalle sfaccettature oro e bordeaux: lo stile di Richard era impeccabile; un vero corporativo degli alti livelli.
Frank lo guardò ancora una volta: il viso ben rasato e gli occhi, nascosti da un paio di ray-ban a goccia erano una maschera perfetta, uguale a milioni di altre, nella City.
 
Si erano conosciuti a scuola, in un pomeriggio afoso, quando il sole riusciva a ancora a beffare le nubi tossiche.
Frank ricordava la loro prima lezione.
Il professore aveva detto: -Lavorare è un’arte degna; nobilita l’uomo.
Sui volti dei ragazzi era apparso un sorriso.
Altri tempi…
 
…quando il sole riusciva ancora a beffare le nubi tossiche.
 
…ma ora…
 
I cittadini, Frank e Richard, trattenevano a stento la rabbia, rivangando quelle parole.
La mano, cinta da un rolex in oro-acciaio, si poggiò sul cappotto sdrucito di Frank.
-A che pensi?
L’altro si scosse: -Gli altri dovrebbero arrivare tra poco- disse, semplicemente.
Richard annuì.
 
Un vecchio taxi frenò dietro la berlina.
Gli sportelli si aprirono come ali di gabbiano. Ne scese un uomo.
Alto, con la zazzera biondiccia, Henry si portava dietro un’aria trasandata, seppur non sciatta come quella di Frank.
Come lui aveva l’impermeabile lungo e vecchie scarpe di cuoio, segnate dal tempo.
La cravatta, d’un azzurro cielo sul gilet nero, era perennemente allentata.
Henry si massaggiò la guancia ispida. I lineamenti duri del volto erano coperti dalla barba di una settimana.
Avvicinandosi, l’uomo studiò quel tratto di strada con precisione da soldato.
Era sempre meglio avere qualche via di fuga: i bassifondi della City possono trasformarsi in un inferno quando meno te lo aspetti.
-Salve Frankie- disse.
-Ciao Henry.
Il taxista guardò Richard e lo salutò.
-Henry…- replicò quello.
L’uomo della berlina dette un occhio al rolex: -Simon dovrebbe essere già qui.
Henry imitò il gesto: -Vero- disse.
Frank gemette: aveva poco tempo e desiderava condividerlo con i suoi amici, fino in fondo.
 
-Maledetta aeronave- Simon spuntò dietro l’angolo, vicino la macelleria islamica. Era sudato, come dopo una lunga corsa.
Portava un giubbotto “da strada” coi rinforzi in kevlar: nei bassifondi c’erano più pallottole vaganti che persone.
 
Frank sorrise.
Simon gli strinse la mano: -Allora?- gli occhi verdi sondarono quelli scuri dell’amico.
-Questa notte- disse Frank, scrollando le spalle.
Simon annuì.
Henry si accese una sigaretta.
 
Ognuno di loro sapeva.
Ognuno di loro sapeva che Frank Wallace sarebbe morto…
…morto quella notte.
 
Quando nascevi, nelle nursery di stato, ti iniettavano un virus letale.
Iniziava a farti ammalare dopo i diciotto anni, preciso come un orologio.
L’unica salvezza dall’angelo della morte era il lavoro.
Le multinazionali, le mega corporazioni, fornivano piccole dosi di antidoto ai dipendenti.
Le posizioni più elevate erano anche più remunerative.
Il lavoro, diveniva così tempo, tempo per vivere…vivere di più in quel mondo di lacrime e pioggia radioattiva.
 
Frank accese un’altra sigaretta.
-È strano…- mormorò: -Sapere di dover morire, intendo.
Simon annuì: -Dovessi perdere il lavoro, mi arruolerei come soldato.
-Quante dosi ti danno?- fece a Henry.
Fu Frank a rispondere: -Cinque al mese- disse: -Ho pensato anch’io di arruolarmi…
Dette uno sguardo al cielo.
Nubi grigie, cariche di pioggia, avevano divorato le teste dei grattacieli.
-Ma preferisco vivere i miei ultimi istanti in pace, con voi- trasse una lunga boccata e li guardò tutti, uno ad uno.
Richard ne sapeva qualcosa: era stato due anni nei royal marines.
Lo avevano spedito sul confine esterno, in guerra.
Le cose che aveva visto…
…le cose che aveva fatto
…ne portava ancora i segni.
Non riusciva a dormire, così affogava i suoi incubi nel lavoro.
 
Richard Bowyer, corporativo di alto livello; l’uomo che aveva più tempo di tutti.
 
Frank guardò la montatura d’oro dei ray-ban.
Richard aveva ucciso, sotto l’effetto di droghe da combattimento. Aveva mutilato, bruciato… per una paga da cinque dosi.
Dietro quegli occhiali c’era un’anima tormentata dagli incubi e dalla morte.
-Non sono un eroe- disse Frank: -Non come te, Rick.
Il corporativo lo fissò.
-Preferisco andarmene così, serenamente.
Bowyer annuì: -Ti capisco…ti capisco, Frankie- gli mise una mano sulla spalla.
 
Frank sorrise: -In effetti, non vi invidio, ragazzi- disse, tra una nuvola di fumo e l’altra.
-Che vuoi dire?- se ne uscì Simon.
-Beh- le rughe ai lati della bocca di Wallace si incresparono: -Fai ancora l’insegnante, giusto?
Simon annuì: -Di storia.
Frank si concesse un attimo di pausa. Aspirò due boccate dalla sigaretta.
-Vedi- riprese: -Ricevi le dosi di antidoto solo se ti attieni al programma ministeriale, corretto?
-Si.
-Il che vuol dire: raccontare la storia a modo loro.
Quelle parole ebbero l’effetto di un colpo di pistola su Simon.
-Certo- disse: -Non posso sbagliare d’una virgola: la storia va insegnata come detta il Primo Ministro.
-I funzionari scolastici sono autorizzati a iniettarti acceleratori venefici nei casi più gravi.
Frank annuì gravemente: -Mi spiace- disse.
 
-E tu, Henry?
Il tassista sfiorò la barba biondiccia col dorso della mano. Assieme a Richard, condivideva un passato nell’esercito.
Ma Henry era stato furbo. Per una dose di antidoto al mese, era stato reclutato nei battaglioni di riserva. Aveva svolto operazioni di polizia, senza mai uscire dalle mura della City.
Ora guidava un taxi, uno di quelli vecchi, con trenta millimetri di corazza e l’abitacolo freddo d’inverno.
Volando da una parte all’altra della città, caricava sul sedile posteriore tutti i disperati dei bassifondi o gli abitanti delle riserve-ghetto.
-Beh- mormorò Henry: -Fare il tassista mi ricorda quand’ero nell’esercito- disse, tirando fuori dal cappotto una quarantacinque computerizzata.
-Hanno tentato di ammazzarmi così tante volte che…ho perso il conto!
 
Frank scosse la testa.
No, non li invidiava.
Perdere il lavoro era stata, in un certo senso, una liberazione. L’anima correva leggera sui grattacieli della City.
 
-Dove andiamo?- chiese Henry.
Il sorriso di Frank fu enigmatico: -Non lo sai?
Henry annuì: -Più avanti ci sono i cancelli- disse: -Non vorrai…
Uno dopo l’altro, gli amici fissarono Wallace. Lui se ne stava tranquillo, fumando la sigaretta; tra una boccata e l’altra, gli occhi spaziavano nel cielo grigio.
-Voglio andare fuori…via dalla città- disse, dopo un lungo silenzio.
Richard annuì senza protestare.
-Sei matto?- ruggì Simon.
-No- disse Frank: -Le guardie mi apriranno. Sto per morire.
-Già- asserì Henry: -A quei bastardi non importa se un disoccupato esce fuori città.
 
Ed eccoli, i cancelli.
Mura ciclopiche di cemento da cui nessuno poteva uscire, ne tanto meno entrare.
I militari del presidio facevano eccezione per quei derelitti che non avevano un impiego.
Come Frank Wallace.
 
Facce grigie dietro elmetti e mimetiche. Mitragliatori d’assalto spianati.
Le guardie del cancello attivarono la macchina per lo scanning retinico.
-Wallace, Francis John, quarant’anni, bianco, disoccupato- sentenziò il computer.
La guardia aveva occhiali ray-ban come quelli di Richard: -Hai il permesso di uscire…vai e crepa.
 
I cancelli gemettero come una bestia ferita. Sembrava che mille dannati giù all’inferno piangessero sotto i colpi di frusta.
 
Davanti a lui si spalancò un mondo deserto.
Colline spoglie e vento.
Nubi gravide di pioggia tormentavano la sera con fulmini radioattivi.
 
Frank si girò: -Beh- disse: -Non sono mai stato bravo con i discorsi, e…
Henry gli mise una mano sulla spalla.
Simon annuì, mentre Richard, in un unico, fluido gesto, si tolse gli occhiali.
Erano iridi scure quelle che vide Frank. Vi si leggeva l’anima di Richard.
Sembrava un lago tinto di inchiostro.
 
-Grazie ragazzi- disse Frank: -Grazie a tutti.
 
Richard si toccò il mento.
Simon afferrò il cellulare e compose un numero.
Il corporativo si allontanò e fece lo stesso.
Solo Henry rimaneva interdetto. Stette a fissare, ora Frank, ora gli amici.
 
-Hey, che ti prende?- sbottò Wallace: -Che hanno tutti?
Henry fece segno di diniego: -Lascia stare…lo capirai tra un attimo.
 
Richard fu il primo a tornare.
Aveva la giacca sulle spalle, la cravatta col nodo lento e le mani in tasca.
Guardò Simon.
Il professore di storia li raggiunse poco dopo.
Richard guardò Henry: -Tu che fai?
Il tassista fece segno di no.
 
Simon trasse un sospiro: -Andiamo?
Frank Wallace spalancò gli occhi: -Hey ragazzi, ma che cavolo significa!?!
 
Fu Richard a svelare l’arcano: -Ci siamo licenziati- disse.
-Già- intervenne Simon: -Credevi di goderti la festa senza di noi, eh?
 
Frank stava per protestare, quando, d’un tratto, le sue rughe si distesero e la faccia venne illuminata da un sorriso.
 
 
-Ragazzi- Frank aveva le lacrime agli occhi per la gioia: -Ragazzi io…
Simon gli diede un pugno amichevole sulla spalla; Richard gli strinse il polso ed Henry li circondò tutti con un abbraccio.
 
-Avanti!- disse un militare, spianando il fucile: -Non possiamo tenere aperto il cancello tutto il giorno.
Fu portata la macchina per lo scanning retinico.
Dieci secondi dopo, Richard e Simon erano “unità non produttive”, liberi di andare a morire.
 
Scomparvero all’orizzonte.
Henry li guardò finché i cancelli non vennero nuovamente chiusi.
 
-Circolare!- gli ingiunse un soldato, con freddezza.
Henry abbassò la testa e riprese a camminare.
 
Si accese una sigaretta.
Sul pacchetto c’era scritto “il fumo uccide”.
Sorrise.
E tutti i suoi pensieri sgorgarono in un pianto sconnesso.
 
 

Non aveva avuto il coraggio di seguirli, il coraggio di mollare tutto e vivere

…almeno per una sera.

11/12/2009, Marcello Nicolini