WARM BODIES VS THE WALKING DEAD

Premessa.

Visti gli anni di crisi durissima e la cura Monti, bisogna imparare a spendere meglio i propri soldini tanto duramente guadagnati. Per questo intendo queste mie righette allo stesso modo di un consiglio per gli acquisti. Acquisti migliori, s’intende.

Esce nei cinema dell’Italy il film Warm Bodies e pare che gli incassi vadano benissimo. Frotte di coppiette minorenni che per San Valentino abboccano all’amo del commercio globale, aiutando qualche sceneggiatore a pagare il mutuo per la piscina e la Ferrari. Bene, l’operazione della gang del cinema è nuovamente riuscita. Il film non lo vedrò, per ora mi sono comprato il libro da cui è tratto, edito nella lingua di Dante dalla Fazi Editore. Il volume è una pura meraviglia, a prescindere dai contenuti. Formato largo con titolone strillato, manco ci trovassimo in un filmaccio di fantascienza catastrofica anni ’50. L’immagine scelta è un fotogramma di Zombi 2 di Fulci e non credo ci sia bisogno di aggiungere altro. Bene. E il libro? Com’è? Dunque, la fascetta e la frase di lancio di Stephanie Meyer sono agghiaccianti e promettono male. Personalmente non ho mai letto nulla della Meyer, ma mi avvalgo di una bella critica preventiva alla Giulianone Ferrara e la boccio in toto, condannando qualunque cosa abbia scritto, scriva e scriverà allo scarico del mio cesso. Quindi, il fatto che la signora Meyer introduca con enfasi il giovane Isaac Marion, l’autore dello zombi romance, non è bella cosa. Leggo poi i risvolti di copertina e la vita dell’autore e scopro altre magagne, tipo che il libro nasce da un raccontino su internet poi pompato e gonfiato nel libro che ho tra le mani. Quasi trecento pagine anabolizzate, ripeto trecento, di cosa? Inizio la lettura e sono già fosco, nonostante i disegnini a inizio di capitolo siano bellini. Anche le prime frasi ingranano. La voce off del morto che parla è da noir anni ’40 alla Billy Wilder. L’idea dei morti che conservano brandelli di ricordi della loro precedente esistenza mi riporta a certe piece di Beckett, in particolare Come è. Gli zombi, che zombi sono, dentro l’aeroporto dove si sono rifugiati, mimano residui di un’esistenza appiattita dalla morte. Dalle prime righe si intravede persino un accenno alla crisi economica globale, col protagonista, R, asciugato dalla catastrofe mortuaria persino dal peso di un nome, che si immagina, nella vita precedente, broker o banchiere in affari, ridotto a non avere più né passato né futuro, congelato dentro un fotogramma di eterno presente. Poi ci sono le città screpolate dall’epidemia, gusci vuoti di calcinacci e cemento, set devastati dove si aggirano i pochi viventi braccati dai morti alla stregua di succulenta selvaggina. Se poi i morti ti beccano e ti succhiano il cervello acquisiscono transitoriamente i ricordi e i bagagli emozionali della vittima. Altra idea molto, molto carina. Insomma, per non starvi a menare il torrone più del necessario, Isaac Marion mi sorprende, nonostante tutte le cattive intenzioni del mondo, e le prime cento pagine di Warm vanno giù che una bellezza. Il resto è scontato e prevedibile. Il nostro zombi mangia il cervello di Romeo, incontra Giulietta e rivede spezzoni della vita da innamorati di Giulietta e Romeo. R non vuole mangiare Giulietta e la difende dagli altri zombi ossuti che se ne fregano dell’amore. Per giunta lei ha un padre militare scemo incazzato in puro stile Romero. Le successive duecento pagine sono aria fritta, lavoro di editor americani per confezionare la frittata e giustificare il prezzo di copertina. Il finale poi, lo ometto per non rovinare la sorpresa agli ingenui, fa venire il latte alle ginocchia, per non dire di peggio. Va beh, psicologia spicciola, retorica a tonnellate, buoni sentimenti e frasi da Wolfango DeBiasi o Moccia. Conclusione: soddisfatto per le prime 100 pagine, incazzato per il resto.

Non pago della scottatura zombesca, cado nel tranello di comprare il tredicesimo volume della zombi pacco saga di Walking dead. I disegni, essenziali e contrastati, sono molto belli. Anche qui l’introduzione di Jacopo Masini ci dice che Robert Kirkman è un genio, che come scrive lui non scrive nessuno e che Walking dead è una figata bestiale, psicologicamente perfetto nella caratterizzazione dei personaggi. Ecco, e qui casca l’asino. La caratterizzazione dei personaggi. Psicologia. Va bene. Ma è così importante in un fumetto su una outbreake di zombi fottuti e cannibali? Vediamo pagina per pagina la delizia n. 13. Gente a letto, con gli incubi e questioni morali irrisolte che se la menano e ce la menano peggio che in un film di Antonioni. Scenette di vita comune nella nuova comunità al riparo dai morti. Ric senza una mano che fa il bravo poliziotto e capisce che c’è qualcuno fuori di testa che picchia la moglie e solo lui può intervenire. Gli altri lo accusano di essere fuori di testa, poi capiscono che ha ragione e lo lasciano strafare, come al solito. La messa la domenica con sermone riportato fino all’ultima parola e prete che piange, il tutto per il giubilo di quelli come me che a messa non ci mettono piede da una vita. Gente che guarda le stelle e dice qualcosa che vorrebbe dire qualcosa di altissimo. Il capo comunità che tiene una lezione di sociologia a Ric e a noi lettori paganti. Ric che ribatte riassumendo i primi dodici episodi. Qualcun altro che piange, qualcun altro sul bordo del letto a riflettere, e noi sempre che paghiamo per leggere su di lui che riflette. Ennesimo giuramento d’amore tra Glenn e la tipa, con paroline dolci in chiusura di tavola prese da un Bacio Perugina. Messa funebre per qualche disgraziato che ci lascia le penne e foglie che cadono dagli alberi come in una poesia di Ungaretti. Fine del tredicesimo volume, fine dei 12.50 euro spesi. Bene. Bene. Anche no. Degli zombi tracce lievissime e non è la prima volta. Ora mi chiedo: dov’è il genio? Qual è il genio? Ci voleva solo Kirkmann per scrivere questa lagna? Non credo. Qualunque scrittore Harmony (o anche il nostro validissimo Moccia) potrebbero riprodursi in cotanta arte. Perché piacciono così tanto prodotti di genere che per darsi un tono devono necessariamente incorporare dentro di sé chili di sentimentalismi da dodicenne in storm ormonale e problematiche etico/psicologiche da manualetto di Pedagogia primo anno di Scienze della Formazione? Se piace tanto scrivere o leggere queste cose, consiglio la facoltà di Psicologia e lo sbocco su un mercato del lavoro stitico ma, perlomeno, utile a qualcuno. Asl, centri minorili, ragazzini delle scuole medie con disturbi comportamentali ti aspettano, caro Robert Kirkmann. Lì troverai tutta la psicologia spicciola (perché vera) che vuoi. Per il resto, non ammorbarci con questa solfa infinita dei morti che camminano. Se proprio volete leggere un fumetto sugli zombi che è capolavoro (e ha anche un significato) allora compratevi “The abandoned” di Ross Campbell, tradotto da noi dalla Purple Press. Il resto, vocazione sociologica a parte, sono soldi buttati.

Fate buona vita!

Davide Rosso