4526: LA LEGGENDA DEL DISCO GEMMATO

Anno 4526
Base Spaziale di Elton
 
- Sai  chi resta di guardia questa notte al Servizio Controllo, Maxime?
- Joffrey e Benny, credo e, come capo squadra, quel fiore all’occhiello di Milady, Nostra Signora Nadine Chagall….Perché? Hai intenzione di fare tardi?
- La sfortuna mi perseguita, Maxime;  è tutto il giorno che faccio la corte a questo tesoro di computer che, per tutta risposta, altera i dati e sputa sentenze prive di significato, secondo me lo sta facendo apposta.
- Hai chiamato Paul?
- Si e con lui funziona alla perfezione; morale della storia: Marionne, coi computer non ci sai proprio fare, speriamo che te la cavi meglio con gli uomini!…. Un ragazzo davvero simpatico! Poi, quando chiederò a Nadine di uscire dalla Sicurezza per accedere ai Bastioni, mi sottoporrà a un interrogatorio in piena regola che avrà fine soltanto dopo due ore di epiteti irripetibili rivolti a mezza galassia. Milady vorrà sapere perché non mi sono fatta rilasciare un regolare permesso, mi accuserà di non aver eseguito gli ordini di servizio nei tempi prescritti dal regolamento e non sarà possibile farle intendere nessuna ragione: a quel punto sarà iperfelice di potermi perquisire da capo a piedi coi suoi modi indecenti…. insomma, il mio giorno fortunato.
- Non ti invidio, se fossi in te mi farei una buona dormita e ci penserei domani mattina…
- Anch’io, se potessi farlo; purtroppo, gli schemi di difesa del pianeta Boris devono essere pronti entro questa notte: il Generale teme il peggio, potrebbe esserci un attacco e non vuole essere colto alla sprovvista.
- Tempi duri, mia cara Marionne, io mi ritiro nel mio bunker, buona fortuna!
Non c’era più nessuno all’interno del Servizio di Sicurezza, gli accessi erano stati sigillati e gli operatori si erano ritirati nei dormitori dei Bastioni: Marionne pensò che sarebbe stato meglio per lei trascorrere là dentro tutta la notte, si sarebbe evitata così un sacco di fastidi.
Finalmente il computer aveva ripreso a funzionare e, se tutto filava liscio, avrebbe terminato il lavoro in tre ore o quattro ore, tanto valeva restare all’interno della Sicurezza sino al mattino, non aveva nessuna voglia di incontrare Nadine Chagall.
Milady era troppo grossa, troppo muscolosa e troppo sprezzante; era assolutamente priva di scrupoli e non ci pensava due volte a denunciare chi non le piaceva, accusandolo degli illeciti che lei stessa commetteva: bastava ben poco perchè la vittima designata venisse spedita in una missione da cui non avrebbe fatto ritorno.
Gli addetti alla Sicurezza la temevano tutti.
Nadine Chagall rappresentava il Potere Centrale e il Terrore cui non era possibile sfuggire a causa dell’isolamento in cui vivevano le ultime colonie di umani.
Nessuno di quei ragazzi avrebbe mai varcato i confini della Base, se non per combattere forze aliene o altri esseri umani eppure, per dare un senso alla loro vita e ai quotidiani gesti automatici, gli occorreva quella vena di ilarità che dava l’idea di una vita normale.
Marionne sospirò rassegnata; ultimati gli schemi, avrebbe dormicchiato su una poltrona, anche se al mattino sarebbe stata distrutta, ma era comunque meglio che affrontare Milady.
Si rimise al lavoro. Nel giro di pochi secondi, i dati inseriti venivano rielaborati dal computer e i sistemi di difesa del pianeta Boris prendevano la forma di complicati algoritmi: il lavoro era pressoché ultimato.
- Cosa fai? Non ci credo, sei impazzito un’altra volta!
Il computer le stava dando nuovamente informazioni incomprensibili.
Ma questa volta c’era qualcosa di diverso: qualcuno si era inserito nelle reti informatiche del sistema per sabotarle.
Doveva dare l’allarme, Nadine sarebbe arrivata e avrebbe preso in mano la situazione; Marionne rovesciò la sedia mentre si alzava lanciandosi verso la sede del comando centrale. Qualcosa la trattenne costringendola a tornare indietro.
Sullo schermo era apparsa una serie di sequenze compiute. Il computer chiedeva che venissero eseguiti determinati comandi.
Marionne indietreggiò spaventata, ma una forza sconosciuta la costrinse a obbedire.
Non appena digitò i comandi, la sala scomparve e lei si ritrovò immersa in una nebbia densa che la soffocava, mentre un odore acre e insopportabile riempiva l’aria.
Dalla foschia cominciò a emergere il profilo del volto di una persona anziana, incorniciato da folti capelli bianchi, quindi anche l’intero corpo prese forma; l’improvvisa comparsa aveva le spalle un po’ curve, ciononostante, l’uomo conservava una certa imponenza.
- Un retaggio di Ere passate – pensò Marionne, – forse mai esistite se non nei miti sulla storia della Terra.
- Certamente più vecchio del ricordo più antico, giovane signora, ma in quanto ad esistenza, i miei anni appartengono al tempo, e il tempo, si sa, è una entità che si dilata tendendo all’eterno;  il mio tempo abbraccia il mutare dei secoli dove, passato presente e futuro trovano naturale dimora.
L’uomo era certamente un pazzo fuggito da qualcuno dei ricoveri della Base, ma come aveva fatto ad entrare? E con quale trucco celava la stanza ai suoi occhi?
Nuovamente giunse la risposta ai suoi pensieri.
- Al di là dello spazio, esiste una dimensione ove le coordinate di tutti i tempi e di tutti gli spazi si incontrano;  lì noi ci troviamo, abitatori di mondi scomparsi e che scompariranno nel fluire incessante dell’eternità, per vivere un momento che non segnerà il nostro volto di rughe.
Marionne non riusciva a proferire parola.
- A lungo non potremo restare in tale dimensione poiché ciò che è frutto di magia ha una realtà assai precaria, soprattutto se il mago è vecchio così come io sono. Ma io parlo di cose a te incomprensibili, creatura del futuro, affina dunque la tua pazienza e il buon Merlino ti svelerà lo scopo del nostro incontro.
Il vecchio si schiarì la voce.
- In altri tempi e in altri luoghi, il mio nome fu legato alla leggenda, Merlino il Mago, così fui chiamato.
A quel tempo, l’uomo e il popolo fatato vivevano in armonia sulla Terra, e nani elfi e fate abitavano ogni contrada; a quel tempo, l’uomo possedeva ancora i suoi sogni. Il popolo fatato imparò a tessere le forze degli elementi e conobbe la Magia, il potere di tutti i poteri; con la magia creò la musica, la poesia e tutte le cose belle e li donò all’uomo e così, mentre questi inventava nuova conoscenza, la Magia diventava la sua musa.
Alcuni uomini appresero dagli elfi le arti magiche, divennero maghi e streghe, essi usarono il potere per creare e distruggere, ruppero l’armonia degli elementi e iniziò il declino; così, mentre l’uomo espandeva i suoi domini, il popolo fatato fuggiva ritirandosi nei luoghi più reconditi. A lungo operai affinché tornasse l’antica alleanza, ma gli umani dominarono la natura e il male fu la loro guida, io fallii.
Lo sguardo del mago era perso nei ricordi e Marionne non osò interromperlo.
- Eppure, il filo sottile che unisce l’uomo all’incommensurabile continuò ad esistere, finché il Disco Gemmato del Sogno poté emanare sul mondo la sua energia. Tor, l’ultimo re degli elfi, vi racchiuse quel che era rimasto degli antichi poteri, poi lo affidò al vento che lo nascose in un luogo segreto: un giorno quando fosse giunto il momento, il Disco avrebbe liberato la Magia che vi era stata imprigionata e il popolo fatato avrebbe fatto ritorno sulla Terra per ristabilire l’equilibrio e restituire all’uomo la sua dignità.
Da allora secoli di guerre si sono succeduti, eppure il Sogno ha continuato ad abitare la mente di alcuni uomini, finché l’Ultima Guerra non ha portato la distruzione della Terra e la fuga su altri mondi…. ma questa è storia dei tuoi giorni, mia giovane signora!
Marionne, rapita dall’incredibile racconto, non pensava più al computer né ai piani di difesa.
- Che ne fu del Disco Gemmato del Sogno?
- E’ andato distrutto, io ne trovai un frammento ma,  se non verrà ricomposto, la Magia non abiterà mai più i mondi dell’uomo e questi porterà a termine la propria rovina.
Il Mago le porse un frammento di cristallo lucente su cui brillavano alcune pietre come scintille di fuoco. Marionne lo guardò affascinata.
- Trova la parte mancante, giovane signora, e la magia del popolo fatato tornerà a scorrere come linfa vitale in seno alla terra e nella mente dell’uomo, è tempo che l’armonia e il sogno tornino al loro legittimo regno.
- Come potrò fare, Mago Merlino? Come potrò trovare il Disco Gemmato?
- Scorre un filo di magia nelle tue vene, giovane signora, essa ti guiderà. Io sono vecchio, troppo vecchio ormai, la mia magia non ha più potere sulla Terra del Caos, essa mi respinge, tu avrai più fortuna; non temere, non affronterai da sola questo grave compito, ti accompagnerà un cavaliere che per te varcherà la Porta del Tempo, per proteggerti dalle forze del Male che si opporranno alla tua ricerca. Per lui ho forgiato una spada in cui ho racchiuso il mio potere e la mia conoscenza, egli sarà il tuo braccio, l’occhio aperto durante il tuo sonno. Le forze mi abbandonano, giovane signora, occorre far presto, non possiamo restare più a lungo in questa dimensione.
Nella nebbia apparve un grande arco lucente, la Porta del Tempo si spalancò e Sir Gamet dei Mondi del Ritorno, ne varcò la soglia. L’uomo si inchinò a Marionne, quindi si rivolse al Mago.
- Sono pronto, Mago, ho con me la tua spada.
Marionne non sapeva se credere o meno ai propri occhi.
- La mia Magia vi condurrà sulla Terra, figlioli ma, quando sarete arrivati, non potrò fare più  nulla per voi, che la fortuna vi sia amica.
Ci fu un’esplosione e Marionne fu catturata da un vortice che annullò ogni coscienza delle cose.
 
La ragazza era stordita; sentiva il proprio cuore battere forte mentre cercava di recuperare un poco d’orientamento nell’esperienza che stava vivendo: gli avvenimenti si stavano svolgendo in modo troppo rapido e caotico e non riusciva a comprenderli. Si accorgeva di parlare un linguaggio arcano che nessuno le aveva insegnato, forse un retaggio di esperienze scolpite nel proprio genoma e che ora affiorava alla mente sotto forma di incubi. Si guardò intorno mentre la nausea le sconvolgeva lo stomaco: aveva immaginato che attraversare spazio e tempo a cavallo di una scopa sarebbe stato meno traumatico.
- Quindi è questa la Terra del nostro futuro!
L’espressione desolata di Sir Gamet la riportò nell’immediato presente. Marionne riprendeva il controllo di sé mentre un normale equilibrio si ridistribuiva attraverso le membra intorpidite e lei prendeva coscienza della triste realtà di quel che la circondava: la Terra dopo l’esplosione dell’ultima guerra nucleare.
A scuola gliene avevano parlato, ma quel che aveva studiato era niente a confronto di ciò cui stava assistendo.
Marionne guardò in viso Sir Gamet chiedendosi come, un uomo proveniente da un tempo in cui gli spazi erano ancora immensi e liberi, poteva sopportare la desolazione di quella terra.
Il cavaliere era sconvolto. Alle loro sensibilità acuite dall’insolita esperienza, si apriva la visione di una terra offesa da un morbo invisibile: il suolo arido, spaccato in zolle polverose, sassi e informi rovine di qualcosa che fu, scheletri sparuti di tronchi contorti e piegati dalle esplosioni, un paesaggio annichilito nel terrore. Quel luogo poteva essere stato qualunque cosa, un deserto, una città o un bosco, possibile che un pianeta fosse stato ridotto a un ammasso di cose morte?
I propri pensieri le tornarono indietro sotto forma di un eco dalla voce maschile: Sir Gamet provava le sue stesse emozioni e ciò procurava, su quel mondo senza altra linfa vitale se non la loro, una strana comunicazione che sconfinava nella telepatia.
- Venite, mia Signora, – Sir Gamet le porse una mano per aiutarla a rialzarsi - è meglio andare, dobbiamo cercare qualcuno o qualcosa che ci aiuti nella nostra ricerca; non temete la morte di questi luoghi, la magia che Merlino racchiuse in quest’arma avrà ragione di tale desolazione.
L’uomo sfilò la spada dal fodero e, tenendola per l’elsa, la brandì nell’aria: un improvviso bagliore rischiarò l’oscurità dell’anima che la vista di quei luoghi provocava.
Marionne accettò la mano che le veniva offerta e si rimise in piedi. Camminarono a lungo, camminarono come automi che andassero avanti per pura forza di inerzia, addentrandosi in luoghi sempre più inospitali che rifiutavano la vita che scorreva nelle loro carni.
Intense esalazioni di vapore nascevano dal suolo e creavano a tratti spessi muri di nebbia che nascondevano improvvise voragini improvvise da cui si poteva precipitare in abissi sconosciuti.
Procedevano con cautela, senza sapere dove dirigersi. Man mano che avanzavano, il paesaggio mutava mostrando volti ancora più orridi, persino le montagne sembravano essere crollate su se stesse, ferite a morte nelle fibre più intime, solo il cielo manteneva il suo candore astrale.
Marionne guardò la volta celeste. Lassù, nello spazio, esistevano piccole colonie abitate dagli uomini superstiti di quell’immane sciagura, erano occorsi mille anni per guarirne le ferite eppure la guerra era nuovamente alle porte, per manie di grandezza o per la necessità di difendersi, in fondo non era importante il motivo, bensì il suo gusto amaro, per alcuni eccitante.
Lungo il cammino, i due viaggiatori videro le carcasse di uomini e animali che la forza del vento disponeva in cumuli informi. Marionne si sentiva affogare nella desolazione. Sir Gamet camminava al suo fianco, assorto nei propri pensieri.
Guardandolo con la coda dell’occhio, la ragazza pensò che, se in quel momento esisteva una cosa bella, era proprio quell’uomo dai profondi occhi scuri, i lunghi capelli castani che incorniciavano il profilo regolare.
C’era disgusto su quel viso, non paura, come se meglio di lei riuscisse ad adattarsi al lugubre ambiente.
- Non avete paura, Sir Gamet?
- La paura non è sconosciuta all’uomo coraggioso, ma il maleficio che si è abbattuto su questa terra non è che uno dei tanti volti con cui si manifestano le forse del male, in ogni tempo e su ogni mondo, non lasciatevi ingannare, le nebbie possono oscurare la nostra vista e il fango inghiottire i nostri passi, ma a nulla può il male che non riesce a sconfiggere la fede.
L’uomo sorrise e Marionne cominciò a capire, sarebbe accaduto se lei vi avesse creduto.
- interludio -
 

 
 

 
 
- Mi avete fatto chiamare, Principe degli Abissi?
Il Piccolo Uomo osservò il suo padrone in piedi accanto al Sacro Libro, le sue mani sfogliavano le pagine ingiallite: il Piccolo Uomo osservò che tremavano.
Cosa accadeva al suo padrone? Non aveva mai pensato che il Principe potesse provare paura.
- Il tuo Signore non teme nulla, Piccolo Uomo, i tuoi pensieri mi offendono, potresti meritare la morte per questo.
Palio, il Piccolo Uomo, serviva fedelmente e da sempre il suo Signore, era un guerriero coraggioso e un consigliere intelligente, eppure le gambe gli tremarono poiché temeva quegli scoppi improvvisi di ira; conosceva la potenza del Principe e la fermezza dei suoi propositi, era cresciuto in quella Corte, vi era nato, e non aveva aspirato ad altro se non a contribuire al prestigio del suo Signore, così come suo padre e tutti i suoi avi, sin dall’inizio dei tempi. Lo temeva e lo venerava, per la sua audacia, per la sua determinazione nell’affermare il proprio potere: non avrebbe voluto altro padrone al di fuori del suo Signore.
- Merlino ha raggiunto il suo scopo, le energie del passato e del futuro fuse nel presente per trovare il Disco Gemmato, un’abile manovra, in questo momento hanno iniziato la loro ricerca sulla Terra.
- Abbiamo cercato a lungo, mio Principe, potrebbe essere andato distrutto dal Caos.
- Potrebbe…. come potremmo non averlo trovato, passato e futuro sono una forza temibile, dobbiamo accompagnare i loro passi e impadronirci del Disco Gemmato se loro avranno la fortuna di trovarlo.
- Ordinerò al vostro esercito di prepararsi a partire, Principe, io stesso lo guiderò secondo i vostri ordini.
- No, Piccolo Uomo, ho bisogno di te qui, nel mio Regno degli Abissi, devi affrettare lo scoppio della guerra, voglio che le ultime colonie di umani si distruggano a vicenda, poi estenderò i miei domini e li popolerò con le mie creature. E’ il momento di dar loro il colpo di grazia!  Libera gli Angeli e conducili alla Porta del Tempo, secoli di prigionia hanno reso più acuti i loro sensi ed eccitato il desiderio del caldo sangue dell’uomo, io verrò e li condurrò con me sulla Terra, ho bisogno del loro fiuto e del loro insaziabile appetito.
“ Se il mio Signore va di persona oltre le Soglie del Tempo, allora la vittoria è difficile”, così pensava il Piccolo Uomo mentre scendeva nelle prigioni dell’oscurità per liberare i cinque Angeli, “se si separa da me, allora la posta in gioco è grande e io dovrò agire al suo posto, con la stessa efficacia, secondo il piano che Lui ha stabilito”.
I cinque Angeli sgranchirono le ali non appena Palio li fece uscire dalla gabbia che il principe aveva costruito loro con la magia. Erano esseri creati da un pugno d’aria, non potevano vivere né morire, eppure erano solidi come rocce granitiche. Esistevano per uccidere, smembrare e divorare, privilegi però che solo il Principe poteva loro concedere. Cani e servi fedeli che sentivano la preda secondo un infallibile istinto, avrebbero eseguito il volere di chi li aveva creati poiché essi erano parte dello spirito del loro creatore. Gli Angeli scalpitavano sulla Soglia del Tempo, Palio ne ammirava la mirabile fattezza dei muscoli tesi come archi, creature senza volto, energia plasmata per distruggere.
Il suo Signore giunse interrompendo il filo dei suoi pensieri, sul suo petto oscillava il Sacro Simbolo degli Abissi e Palio lo guardò con la venerazione di sempre.

- fine interludio -

 
 

 
 
 
Sopraffatti dalla stanchezza, Marionne e Sir Gamet si erano addormentati al riparo di un ammasso di rovine; il disco solare gettava il suo scarno calore sui loro corpi raggomitolati per proteggersi dal freddo intenso: su quel mondo distrutto anche il sole aveva perso il suo potere! Troppo stanchi per proseguire, erano sprofondati in un sonno agitato, popolato da incubi e strani presagi.
Sir Gamet si mosse nel sonno, un volto devastato lo fissava con grandi occhi bovini, l’uomo si svegliò di soprassalto portando la mano sull’elsa di Asturia. Il movimento improvviso fece risvegliare Marionne che si guardò spaventata intorno avvertendo la tensione dell’uomo.
- Che succede, Sir Gamet, qualcosa non va?
Il cavaliere rispose come se parlasse a se stesso.
- Un’illusione, forse, un sogno con la concretezza della realtà, lo spettro di questi luoghi dannati.
Poi, non scorgendo nessuno, si sforzò di sorridere, non voleva che la sua signora temesse il pericolo; sarebbe stato all’erta, l’avrebbe difesa da quelle presenze di cui intuiva l’esistenza, per il bene di lei avrebbe vegliato senza mai stancarsi.
- Andiamo, Signora, la morte che devasta questi luoghi crea ombre ingannatrici, proseguiamo il cammino finché i raggi del sole danno luce ai nostri passi.
Marionne si avvolse stretta nel caldo mantello che Sir Gamet le aveva appoggiato sulle spalle e, ignara, andò incontro serena alla desolazione che le si mostrava da ogni parte. Non sapeva dove avrebbe dovuto iniziare la ricerca del Disco Gemmato, eppure il suo cuore era tranquillo e le venne voglia di cantare.
Il canto era il talento della sua vita e, forse, in altre ere della storia dell’uomo, avrebbe anche potuto coltivare quel dono, ma la fredda tecnologia terrestre e l’impellente bisogno di difendersi dagli attacchi delle forze aliene, avevano reso questa sua qualità un inutile diversivo. Alla Base non c’era tempo da perdere in facezie e ogni attimo dell’esistenza era governato dal silenzio e dal veloce scorrere delle attività di guerra.
Forse era un’idea folle, eppure in mezzo a quel mucchio informe di cose che furono, Marionne, per la prima volta, si sentì libera. Aspirò profondamente l’aria priva di odori, c’era davvero differenza con l’aria filtrata dai depuratori? Almeno qui poteva muoversi come e dove voleva, nessuna Milady cui rendere conto! Contro il soffocante affollamento della Base, la presenza di quella completa assenza di vita.
- Deve essere stato bello vivere qui, avevano tanto spazio!
Lo disse fra sé, un pensiero a mezza voce.
Sir Gamet la seguiva a pochi passi di distanza.
Pur avendole ceduto il mantello, l’uomo non aveva freddo; avanzava guardingo, occhi e orecchie tese a captare il minimo sibilo, il pugno stretto sul pomo dell’elsa.
- Un lupo affamato non saprebbe fare di meglio, – pensò Marionne, – non ha ancora capito che qui non c’è assolutamente niente da temere? Forse, nel suo tempo era abituato a trabocchetti di ogni tipo.
La ragazza lo guardò maliziosamente con la coda dell’occhio. Certamente era un bell’uomo e, la barba che cresceva creando un alone scuro sulle sue guance, gli dava un aspetto selvaggio… far l’amore con un paladino, la cosa aveva dell’inverosimile…. del resto lei non si era mai innamorata sul serio.
Marionne si diede una scrollata e tornò a guardarsi intorno.
“Se Merlino sapesse dei miei poco casti pensieri si pentirebbe di aver fatto tanto affidamento su di me e direbbe certamente addio al suo Disco… ma no, il vecchio ha l’aria di saperla lunga, avrà previsto anche questo.”
Sir Gamet non si sentiva tranquillo, pur non scorgendo che sassi e ombre immote, avvertiva l’ansare di chi li seguiva, passi affrettati che non lasciavano impronte, occhi spiritati che non li perdevano di vista; il maligno era sulle loro tracce, pronto ad annientarli al momento opportuno, non poteva, non doveva abbassare la guardia… la sua giovane signora era così ignara del male! Pareva addirittura felice! Ingenuità del futuro o effetto di un misterioso potere?
In quel momento gli giunsero le note della canzone che Marionne aveva intonato e il suo cuore fremette, un guizzo di energia gli percorse le membra ed egli avvertì in quel canto il Potere, la voce del Sacro Talismano dei Sogni che avrebbe risvegliato il popolo fatato dall’insano sonno di cui era preda. Potere, mistero della magia nell’armonia di quella voce, anche Asturia pareva adesso più leggera, quasi volesse uscire dalla sua stretta prigione e vibrare di vita propria….
- Mia Signora!
Le prese la mano inginocchiandosi ai suoi piedi, incapace di proferire parola, avrebbe potuto piangere se ciò non fosse stato poco degno di un uomo.
Marionne lo guardava sbigottita: cosa mai accadeva a quell’eroe d’altri tempi?
Un vento freddo si levò trascinando seco una foschia densa che li avvolse nel suo alito freddo e umido. La donna si guardò intorno spaventata mentre una cappa densa di nebbia celava alla vista ogni cosa. Il cavaliere le cinse le spalle con un braccio trascinandola via.
- Presto, troviamo un riparo!
Corsero incespicando, assolutamente ciechi. Si addossarono a qualcosa di solido, aspettando che la tempesta passasse. Poi il vento calò e il silenzio che era stato rotto tornò ad essere il padrone incontrastato di quelle lande. La nebbia continuò ad addensarsi creando un muro impenetrabile; la foschia adesso sembrava salire dalle viscere stesse della terra in sottili volute. Nell’immobilità inquietante che li circondava qualcosa si mosse, entrambi trattennero il respiro mentre due pupille dilatate brillarono nel grigiore diffuso. Marionne lanciò un urlo e la cosa si ritrasse.
- Cos’era, Sir Gamet?
- Qualcosa ci segue da lungo tempo, mia Signora, ma non temete, il mio coraggio e la magia del buon Merlino vi proteggeranno.
Marionne respirò profondamente ascoltando il battito del proprio cuore.
- Sono soltanto una sciocca, non c’è alcun pericolo, Sir Gamet.
Non sapeva perché ne fosse tanto sicura, una consapevolezza indefinibile parlava per lei. Attraverso il denso strato di nebbia poteva solo intuire la perplessità negli occhi dell’uomo.
- Cantate, mia Signora, cantate e il maligno sarà messo in fuga, l’assediato sarà assediante e la pazzia abbandonerà il cuore del folle!
Marionne intonò un motivo malinconico, l’aveva udito tanto, tanto tempo addietro….
E mentre le note fluivano con la delicatezza di un volo di rondini, la nebbia spariva, inghiottita dalla terra, liberando la vista e gli ultimi raggi del giorno.
- Non siamo più soli, Sir Gamet!
L’uomo si era alzato parandosi fra Marionne e quegli esseri immondi, Asturia rifulgeva, sguainata, nella sua mano
- Fermatevi, Sir Gamet, queste creature non sono un pericolo per noi!
Di nuovo quell’assurda coscienza; Marionne fermò con un gesto il braccio proteso del cavaliere. A debita distanza da loro stavano orrende creature, masse informi di carne devastata da piaghe profonde e arti deformi, appena abbozzati, al limite della possibilità del loro utilizzo. Se ne stavano timorosi e guardinghi, pieni di curiosità.
Neanche la terribile Ultima Guerra aveva potuto distruggere la vita; l’aveva piagata, deformata, ridotta a un disarmonico ammasso di cellule impazzite, eppure quegli occhi, quello sguardo umile, il palpito del sangue nelle loro vene, erano umani, quel che restava sulla Terra di migliaia di anni di storia.
Marionne avanzò di qualche passo verso di loro, non voleva spaventare quelle infelici creature. Sir Gamet, per nulla tranquillo, si teneva pronto ad intervenire: non dubitava dei poteri della sua compagna e, soprattutto, non avrebbe mai osato dubitare delle parole di Merlino, ma era pur sempre una donna e le donne, si sa, sono soggette ai mutevoli influssi degli astri e la luna, trascinando il suo candido manto per la volta celeste, dona loro gli incandescenti effetti delle emozioni.
Sir Gamet restò vigile e diffidente, a pochi passi dall’infamia vivente di quei corpi orribilmente mutilati. La foschia si era dissolta e su ogni frazione di tempo regnava l’immobilità più assoluta. Le creature si avvicinarono lentamente a Marionne, timide e goffe, le sfiorarono il viso e i capelli, per poi ritrarsi, pudicamente, quasi per tema di rovinare quel che doveva loro apparire come perfezione e armonia.
- Stelle! – l’essere indicò la volta celeste, – Partiti, ora tornati!
Quelle creature erano la prova dell’esistenza del germe della civiltà che era sopravvissuto dopo l’abbandono della Terra, anche se in condizioni infime; erano uomini, quel che aveva potuto germinare dal degrado atomico. Continuavano a indicare il cielo con un dito troppo grosso e troppo corto, sapevano che anch’essi erano umani e che esisteva la possibilità di spostarsi attraverso l’universo, dove piccole colonie di umani vivevano sparse nell’immenso spazio stellato.
Marionne era commossa; non c’era avidità nella creatura che la fissava con una smorfia che forse voleva essere un sorriso. Sir Gamet aveva riposto la spada nel fodero, per lui, creatura di un tempo che a rigor di ogni logica non avrebbe dovuto esistere, era quasi impossibile comprendere, ma la fede nella sua cultura gli permetteva di accettare senza riserve quel che il fato gli poneva davanti.
- Acqua, cibo, non buona terra per vivere, non buona aria per respirare. – La voce di una delle creature ruppe ogni imbarazzo.
Essi li seguirono senza porsi domande, obbedendo semplicemente ad una intuizione del cuore, il quale, si sa, va verso la luce, e la luce brillava laggiù dov’erano i monti.
Una città scavata nel cuore della montagna, fiaccole alle pareti illuminavano gli ambienti angusti ma asciutti, e un suono di fondo, come lo scrosciare d’acqua dalla sorgente.
Il villaggio sorgeva, infatti, sulla sponda di un fiume sotterraneo e piccoli esseri dalle forme bizzarre popolavano quel primitivo mondo nascosto. Era già notte eppure le attività fervevano, si lavorava la pietra, si raccoglieva l’acqua nelle cisterne, si cucinavano erbe e frutti, la piccola comunità provvedeva a se stessa strappando le ultime scarse risorse alla terra che li ospitava.
C’erano bambini fra loro, specchio di un corredo genetico impazzito, erano chiassosi come tutti i bambini e, come tutti i bambini, corsero incontro agli stranieri con la curiosità che gli è propria. Il seme dell’uomo aveva continuato a germogliare sulla terra contro ogni regola dando i suoi frutti malati.
Nello strano mondo sotterraneo, quelle maschere grottesche di uomo avevano creato una colonia in cui la vita scorreva come un fiume privato della sua foce. Nell’oscurità spezzata dalle fiaccole, il tempo era tornato indietro, talmente indietro che gli scritti conservati alla Base e sopravvissuti alla catastrofe non lo menzionavano neppure.
Mentre mangiava una zuppa dove galleggiavano frammenti di incerta natura, Marionne si chiedeva se quella gente avesse mai conosciuto il popolo fatato, se questi popolasse i loro sogni o le anime scheletriche dei loro arbusti.
La mano deforme di una di quelle creature interruppe il filo dei suoi pensieri mentre, con insospettata grazia, si poggiava sul suo petto dove ciondolava, appesa a un cordone di cuoio, la metà del Disco Gemmato donatole da Merlino. La ragazza si ritrasse d’istinto a quel contatto, per poi pentirsi nell’incontrare i limpidi occhi della creatura che teneva nell’arto deforme il prezioso gioiello.
- Dal cielo e dall’acqua e dagli elementi tutti,  provengono ombre, – esclamò - affidano lamenti al vento poiché la vita è loro negata.
Nell’udire le strane parole, Sir Gamet protese una mano a stringere il braccio dell’infelice creatura; Marionne pensò che meglio di lei l’uomo del passato si adattava all’aspetto inconsueto e talvolta orrorifico del mondo che li ospitava, come se dietro ogni velo potesse scorgere una luce o un volto che gli era familiare.
- Qual è il tuo nome, creatura di questo deserto?
- Om, Signore venuto dal cielo.
- Parlami di queste ombre, Om, e la tua sincerità sarà premiata.
Om non parve comprendere il significato di quelle parole, e rispose come se stesse parlando di un sogno, o di una visione.
- Chiamate dalla Voce…. troppo lontane per raggiungerla.
- Aiutaci a raggiungerle, Om, l’altra metà di questo gioiello è sepolta in quei luoghi, quando sarà ricomposto esso restituirà loro il corpo e la vita.
Om reclinò un poco il capo, pareva incredulo, ma la semplicità del suo cuore non gli consentiva di dubitare.
- Seguire la Voce, ci porterà da loro.
Marionne vagava con lo sguardo dall’uno all’altro, le sembravano entrambi così incomprensibili! Eppure essi si capivano, il cavaliere e il mostro parlavano una lingua comune, come se appartenessero allo stesso tempo, solo lei era veramente straniera.
- Seguiremo la Voce, mia Signora, e troveremo l’altra metà del Disco.
Gli occhi di Sir Gamet splendevano di una luce che le era sconosciuta, c’era il piacere sino allo spasimo di quell’ignoto verso cui stavano andando, l’accettazione di ogni mistero.
“Un uomo”, pensò Marionne, “un uomo delle leggende”.
Senza capire e senza il coraggio di fare domande, la ragazza seguì il piccolo gruppo. Om camminava in testa, lei al fianco di Sir Gamet. Nessuno parlava, o forse, obiettò fra sé Marionne, loro non ne sentivano il bisogno tanto erano simili, al di là dell’aspetto che li rendeva diversi.
Om procedeva sicuro, orientandosi facilmente attraverso la foschia densa che saliva costantemente dal suolo di quella terra maledetta, Sir Gamet non lo perdeva di vista, le membra tese nell’emozione dell’avventura che, finalmente, prendeva forma. Di tanto in tanto le rivolgeva uno sguardo carico di apprensione e un sorriso, doveva accertarsi che stesse bene e che fosse in grado di far fronte al lungo cammino.
- Non preoccupatevi per me, Sir Gamet, nel mio mondo le donne sono addestrate almeno quanto gli uomini ad affrontare sforzi e fatiche, non datevi pensiero, se starò per crollare, non mancherò di avvertirvi!
Si rese conto che, quelle poche parole fra il serio e il faceto, le aveva pronunciate a mezza voce, più per spezzare il senso di malinconia che la opprimeva che nella speranza che l’uomo la capisse.
- Mia Signora….
Marionne non lo fece finire.
- Il mio nome è Marionne, Sir Gamet, e così dovete chiamarmi, se Merlino ci ha scelto per questa missione, allora ci ritiene entrambi capaci di reciproco aiuto, questo gioco della dama e del cavaliere mi sta dando ai nervi, non sono in grado di sostenerlo più a lungo.
- L’uomo la fissò in silenzio.
- Non offendetevi, Sir Gamet, ma preferirei che mi consideraste una compagna vostra pari e quando avrò bisogno di aiuto ve lo chiederò, non temete, senza remora alcuna.
In quel momento passato e futuro si fronteggiarono per poi riconciliarsi.
- Merlino mi aveva avvertito che sarebbe accaduto qualcosa di simile.
- Merlino vede lontano. Ora, Sir Gamet, perché non cercate di farmi capire qual è il vostro piano per ricomporre il Disco Gemmato? Nel mio tempo, fra i pochi umani superstiti, la simbologia del linguaggio è andata perduta e per me è molto difficile capire il senso di quel che voi e il piccolo Om dite.
Sir Gamet non rispose subito. Aveva accettato con difficoltà l’idea di una donna come compagna di avventure, aveva seguito il volere del vecchio mago poiché questi gli aveva svelato che quella donna possedeva il raro dono della magia, e lui quella magia l’aveva udita nella Voce di lei, ma considerarla sua pari, questo rappresentava per lui una vera impresa!
Non tradì comunque i propri pensieri e le rispose, guardandola fisso negli occhi.
- Om ha sentito la presenza di ombre nella Voce, esse sono il richiamo delle creature elfiche che dobbiamo liberare; la Voce ci porterà alla meta ma prima dobbiamo uscire dal tratto di mondo abitato.
- Di che Voce parlate?
- Della vostra, naturalmente, – e continuò senza aspettare ulteriori domande, – Merlino mi aveva avvertito che in voi si celava un potere, io l’ho sentito nel vostro canto e, come me, l’hanno udito le creature di questi luoghi, anche quelle la cui vita dipende da quel gioiello che portate al collo, la vostra Voce ci porterà da loro.
- Sembra facile – rispose Marionne incredula.
- Meno di quel che sembra. Oltre il mondo abitato da queste creature, si stende un territorio impervio, rimasto inesplorato dal tempo della catastrofe, potremmo andare incontro a qualcosa che neppure immaginiamo che esista.
Proseguirono attraverso rovine, terra e arbusti inariditi, non una foglia ravvivava con la sua linfa il grigiore immutabile che li circondava. Regnavano il silenzio e l’immobilità, neanche il pericolo aveva spazio in quei luoghi.
D’un tratto il terreno divenne dissestato, Om li esortò ad avanzare con cautela. Pareva loro che un immane terremoto avesse frantumato la terra in innumerevoli zolle, facendole poi schizzare via e ricadere senza ordine alcuno. Il declivio scendeva ripido e i tre dovettero tenersi in precario equilibrio per non cadere.
Improvvisamente un’enorme fenditura arrestò il loro cammino, era profonda come un cratere e lunga come un’intera base spaziale. Un’asse d’acciaio univa le due zolle di terra, una putrella ricavata da qualche palazzo ormai distrutto.
Om li attese dall’altra parte del ponte.
- Terra malata, non buona per viaggiare.
Fu ben presto fin troppo chiaro quel che Om aveva voluto dire. Dovettero attraversare paludi interminabili dove occorreva immergersi sino alla cintola e su cui galleggiavano isole luccicanti di macerie d’acciaio, residui di palazzi miseramente crollati su se stessi; era quel che restava della civiltà elaborata dall’uomo nello spazio di migliaia d’anni.
Sir Gamet si guardava attorno disorientato, quel luccicare era sinistro e nascondeva per lui mille insidie. Camminarono a lungo sino a sfinirsi, chi stava peggio era il piccolo Om, immerso nella melma sin quasi al collo.
- Non ce la faremo mai. – si lamentò Marionne annaspando nel fango.
Sir Gamet aveva legato la spada dietro le spalle per proteggerla dalla melma e avanzava con cautela.
- Datemi la mano e donateci una canzone, Marionne, la vostra Voce ci aiuterà a sopportare questo inferno.
Lei gli strinse la mano e quella stretta sicura le diede un brivido di piacere che le percorse le membra come una scarica elettrica.
Proseguirono sino ad approdare su una di quelle isole di acciaio; si stesero grati sulle macerie metalliche come se avessero raggiunto la terra promessa. Trascorsero una notte e un mattino, la fisionomia del paesaggio non mutò, solo in lontananza cominciò a delinearsi una catena di monti dalle forme bizzarre, più simili ad ammassi di detriti che a rigogliose protuberanze della terra.
Om si orientava facilmente seguendo una traccia che prendeva forma dal canto cui Marionne si lasciava andare e che era visibile solo ai suoi occhi.
Eppure, all’alba del terzo giorno, qualcosa oscurò l’aria già cupa e i tre viaggiatori furono turbati dalla sensazione di essere spiati, quindi procedettero tenendosi vicini e guardandosi intorno con circospezione.
Om ruotava gli occhi sporgenti come le antenne di un radar, Sir Gamet, ora che camminavano su un terreno più solido, aveva riappeso la spada alla cintola e teneva costantemente la mano sull’elsa di Asturia: l’uomo sembrava braccato da invisibili forze, in attesa dello scontro che poteva esser loro fatale.
Marionne canticchiava fra sé, e quel filo sottile di voce rompeva la desolazione che pesava sui loro cuori.
Giunsero finalmente ai piedi dei monti, il caos aveva cancellato i sentieri ed essi dovettero arrampicarsi sul terreno dissestato facendo attenzione ai burroni che si aprivano improvvisi, usando come appigli le radici secche di quel che un tempo era stato un bosco. Ma la stanchezza aveva loro fiaccato le membra, così procedettero lentamente e a fatica.
Si stavano ancora arrampicando quando Marionne lanciò un grido: cinque immense creature fendevano il cielo con le grandi ali nere. Sembravano angeli malvagi, simili a quelli che furono ricacciati negli abissi dopo il tradimento al loro Dio. Si libravano leggeri, quasi non avessero peso, e lanciavano striduli richiami selvaggi che facevano accapponare la pelle.
- Presto, cerchiamo un riparo!
Sir Gamet sovrastò con un grido il terrore che li aveva pietrificati, sguainò Asturia e, afferrata Marionne per un braccio, la trascinò su, al riparo di alcune rocce che celavano l’imbocco di gallerie oscure. Om li seguì, era difficile per le sue corte gambe stare al loro passo e, quando li raggiunse, aveva il respiro corto per l’affanno: il volto deforme era verde di paura.
Si erano aspettati di essere aggrediti, ma le cinque creature alate non li attaccarono, si limitarono a volare loro intorno fissandoli con occhi insondabili. Dopo un poco sparirono, e anche i versi rochi si fecero sempre più lontani, sino a spegnersi del tutto.
- Forse non cercavano noi, saranno anch’esse creature nate dalla catastrofe!
In realtà Marionne credeva poco a quel che diceva, quegli esseri avevano un aspetto davvero temibile. Om scuoteva il capo, era terrorizzato e con gli occhi spalancati scrutava ansioso il pezzetto di cielo che si intravedeva dall’ingresso della galleria.
- No, no, venuti dal cielo, anche loro venuti dal cielo!
Sir Gamet non diceva nulla, stava all’erta spiando tutt’intorno, pareva un felino pronto all’attacco. D’un tratto si alzò sparendo all’interno della galleria. Ne ritornò poco dopo, l’espressione feroce di un animale che non si rassegna a rimanere in gabbia.
- Non porta da nessuna parte, è chiusa da una frana, saremo costretti ad uscire allo scoperto.
Uscì dal riparo. L’uomo fece scorrere lo sguardo sull’immenso scenario di morte che li circondava, avevano percorso molta strada, ma parecchia ancora dovevano percorrerne.
Da qualche parte, lassù, li aspettava un ignoto pericolo, eppure non potevano fare a meno di corrergli incontro: c’era un potere lì intorno, poteva avvertirlo dall’inquietudine che provava sin nelle profondità delle proprie viscere, e quel potere li attendeva, da qualche parte, vicino alla meta, a che serviva procrastinare l’incontro?
- Coraggio, andiamo! – disse – qualunque cosa il destino ci riservi non possiamo tirarci indietro; io andrò avanti, Om starà di retroguardia e quanto a voi, Marionne, statemi vicino, non allontanatevi da sola per nessun motivo.
La bellezza del giovane cavaliere era messa in risalto dalla tensione del momento, Marionne ne fissava affascinata lo sguardo vigile e il portamento altero; la determinazione e la forza che trasparivano dalla sua voce le mettevano i brividi.
Provava una grande paura a tornare allo scoperto ma obbedì senza discutere, invidiava quel coraggio dietro il quale si celava la certezza della propria forza, lo ammirava e deplorava se stessa per non essere in grado di potersi difendere; aveva però la sua Voce e quella sarebbe venuta in suo aiuto quando avesse voluto, tagliente quasi quanto l’acciaio.
Si arrampicarono sino alla cima e, nonostante i loro timori, niente venne a disturbarli. Dall’altro versante del monte di dipartiva una lunga teoria di creste rocciose dove, di tanto in tanto, si aprivano crateri e stretti passaggi immersi nell’ombra.
Trascorsero la notte in una voragine abbastanza ampia e profonda, Marionne non riusciva a dormire e pensava al mondo che aveva lasciato, lassù, perduto fra le stelle. Om russava, e quel russare creava un forte contrasto con la malinconia dei suoi pensieri.
Anche Sir Gamet non riusciva a prendere sonno, d’un tratto Marionne lo vide alzarsi e scrutare la notte.
- Non siete tranquillo.
La ragazza andò a sedersi al suo fianco.
- Voi lo siete?
Marionne si strinse nelle spalle.
- Le nostre realtà sono diverse, Sir Gamet, la terra su cui camminiamo, persino l’aria che respiriamo per me sono estranei, come la libertà di potermi spostare secondo i miei desideri, ed essa mi da una sensazione di stordimento ma anche di benessere.
L’uomo la guardò senza capire.
- Nella base terrestre dove io vivo non scorrono fiumi, non si elevano monti, sei fra le stelle ma non puoi vederle se non tramite il vetro di una cupola; ognuno di noi abita uno spazio angusto, non puoi andare oltre i percorsi che ti sono stati assegnati, è come vivere in uno stato di assedio continuo, ma lì siamo nati e nessuno di noi ne è consapevole. Soltanto da quando siamo qui, su questo pianeta morto, me ne sono resa conto: tutto questo spazio mi turba, ma esercita anche un irresistibile richiamo che vince ogni paura; questa terra sa solo di morte, ma respira la libertà ed ora il mio vero timore è il pensiero di tornare lassù, alla base che adesso mi sembra una prigione. Per voi che siete abituato ai profumi di una terra fertile, questo non è che un momento che desiderate veder finire al più presto, io invece vorrei assaporarlo il più a lungo possibile.
Attraverso il velo della notte, sembrò a Sir Gamet che gli occhi della ragazza brillassero di una luce più intensa, era forse la gioia per quella libertà inaspettata o forse due lacrime rimaste imbrigliate fra le ciglia. L’aveva sempre vista come qualcosa da proteggere anche a costo della propria vita, gli era sembrata a volte una creatura incomprensibile, forse l’effetto dei secoli che li separavano, non aveva mai pensato a lei come a una donna, irraggiungibile come una maga.
Ma Marionne non era una maga, erano entrambi prigionieri di un fato che doveva ancora compiersi, strumenti di un disegno cui avevano accordato il loro favore. Ed era bella, un fascino diverso da quello delle donne del suo tempo, ma non meno attraente.
Lei lo fissava apertamente, con una schiettezza senza pudori che lo stordiva e dietro la quale non v’era alcun filtro, alcun inganno.
Avvertì la mano della donna sfiorargli le tempie e il suo sangue pulsare più forte, cosa sarebbe accaduto se avessero saltato le frontiere che li separavano? La strinse a sé affondando la faccia fra i suoi capelli: un sacrilegio oppure il volere del fato, loro non stavano facendo altro che adempiere al proprio destino.
Il sole si levò troppo presto, quel mattino; si era alzato un vento pungente e non bastavano i mantelli a scaldarli. Si misero in cammino seguendo Om che procedeva dietro le orme della Voce. Scesero fra i crateri, laggiù avanzarono più lentamente poiché Om si orientava con maggiore difficoltà. Era come se ci fosse un riverbero, un’eco che disperdesse le tracce costringendoli spesso a tornare sui propri passi.
Alla fine la guida si arrestò sull’orlo di un cratere dalla strana forma a testa di serpente.
- Scendere, un passaggio lì in fondo. – La voce gutturale di Om rimbombava nell’oscurità dell’abisso.
- Non si vede niente, dovremo camminare sotto terra? – Marionne era incerta, non le piaceva l’idea di infilarsi in qualche galleria sotterranea; finché si camminava all’aperto, nonostante i pericoli che potevano attenderli, non provava timore, ma il pensiero del buio  l’atterriva, non voleva comunque che i compagni se ne accorgessero.
- Le ombre chiamano, hanno sentito la Voce, siamo molto vicini.
Il piccolo essere era impaziente, non sembrava impaurito dal buio. Per la sua gente, dopo tutto, le profondità della terra rappresentavano la loro fonte di vita.
Sir Gamet era soprappensiero, fissava il nulla che si apriva ai loro piedi e sembrava lontano, molto lontano.
Si chiedeva quale misteriosa magia si celasse nella Voce della sua dolce compagna, magia che li stava guidando in un’impresa in cui anche il saggio Merlino aveva fallito. C’era qualcosa in quella Voce di più antico dell’uomo, qualcosa che invadeva gli spazi e faceva fremere la vita, come se la vita stessa si risvegliasse al suono delle limpide note.
Pensava anche a quel che li aspettava, laggiù, nel cuore della terra.
I cinque mostri volanti sembravano essersi dispersi nel nulla, frutto di una fantasia malata, eppure egli ne avvertiva l’arido fiato alle spalle e un senso di profonda inquietudine non lo aveva più abbandonato dal momento della loro comparsa.
Andò con la mente alla notte appena trascorsa, aveva sfiorato l’amore ed ora poteva vederlo morire sotto la morsa di un artiglio avvelenato o trapassato da una lancia o da un perfido maleficio. Sir Gamet non aveva mai avuto paura, ma ora temeva per quell’amore improvviso, davanti a un ignoto contro il quale né la forza né il coraggio potevano bastare.
- Cavaliere, è ora di andare.
Marionne lo prese per un braccio in una stretta affettuosa; lui ne incrociò lo sguardo e provò una fitta al cuore per l’incertezza verso cui dovevano muoversi: avrebbe voluto poter tornare indietro, vivere quell’amore appena conosciuto, ma il compito che dovevano svolgere era ben più importante di quelle passioni ed esigeva l’abnegazione di ogni suo desiderio.
- Stiamo all’erta, fedele Om, non mi sento sicuro e non so cosa si possa celare là sotto.
Si lasciarono scivolare nell’oscurità sempre più fitta; Marionne mormorava una nenia ed alla fine Om li guidò all’imboccatura di una galleria. Attesero che i loro occhi si abituassero al buio, poi procedettero cautamente, piegando la schiena, poiché il passaggio era piuttosto basso.
Marionne sentiva il proprio cuore battere forte e si consolava continuando a cantare fra sé, quel filo di voce era sufficiente per Om che procedeva sicuro, per niente ostacolato dall’oscurità del luogo. Dopo alcune decine di metri, la galleria si allargò in un’ampia caverna e poterono rialzarsi.
- Tanti corridoi, tante caverne, la Voce, Signora venuta dal cielo, fate udire la Voce, essi ci stanno aspettando!
- Chi? Chi ci sta aspettando, Om?
- Loro, sono vicini, molto vicini!
Om procedeva veloce, correva quasi, sembrava impazzito.
- Aspettaci, Om, non riusciamo a starti dietro, i nostri occhi sono ciechi in questa oscurità!
Sir Gamet afferrò Marionne per la mano cercando di stare dietro alla deforme creatura, ben presto però fu costretto a fermarsi.
Appesa al suo fianco, Asturia cominciava a pesare e sembrava animarsi come se volesse uscire dalla sua custodia.
- Che succede, Sir Gamet?
L’uomo sguainò la spada e questa risplendette nel buio come una torcia, la lama sembrava una lingua di fuoco e illuminava l’ambiente come se fosse giorno; anche Om si arrestò a fissare stupito quella meraviglia che rifletteva la sua magica luce sui volti dei tre viaggiatori. Sir Gamet sentì il cuore balzargli in gola: il momento era giunto.
- Merlino mi disse che la magia di Asturia si sarebbe rivelata quando un grave pericolo avesse incrociato il nostro cammino; restiamo uniti, amici, poiché il male segue e precede i nostri passi.
Avanzarono lentamente, ciascuno con i propri timori, più volte parve loro di udire un respiro ansante, un suono di passi pesanti, più volte si guardarono indietro senza però scorgere nulla. Asturia continuava a brillare e, mentre procedevano, sembrava allungarsi e la sua luce aumentare. Erano giunti in una caverna assai ampia dove le pareti di roccia creavano sinistri profili, Om si fermò guardandosi intorno a bocca aperta.
- Qui, tantissimi…. Signora, la mezza luna sul vostro petto!
Il frammento del Disco Gemmato che Marionne portava al collo, brillava di una luce ben più potente dell’oro e le gemme che vi erano incastonate emanavano raggi stellati che guizzavano in tutto l’ambiente.
Di fronte a quelle magie, i tre restarono ammutoliti.
- Dove possiamo cercare? - disse Marionne sollevando il nastro cui era appeso il talismano - Questo luogo è enorme! – e cosi dicendo, avanzò alla cieca intonando un motivo dolce che non aveva mai cantato prima d’allora.
Avanzò non più conscia di coloro che la fissavano increduli, il suo volto era soffuso di una luce bianca sempre più intensa man mano che la ragazza avanzava.
Poi, come fu giunta nel mezzo della caverna, il prodigio esplose davanti ai loro occhi sbarrati: una porta si spalancò sopra un universo di luce, melodie dolcissime e profumi inebrianti invasero i loro sensi mentre sullo sfondo di quella visione si stagliava la figura armoniosa di una donna vestita di bianco; questa sosteneva fra le candide mani un cuscino rivestito d’oro e d’argento, su cui poggiava l’altra metà del Disco Gemmato.
Marionne si diresse verso quella visione spinta da una forza a lei sconosciuta, le due metà del Disco volevano unirsi e lei era la messaggera destinata dal fato.
Stava per varcare la soglia ed immergersi in quell’immensa bellezza da cui provenivano solo sentimenti di gioia e di pace, ma qualcosa si interpose fra lei e il mondo fatato cui erano giunti; una figura possente ed oscura, più oscura del buio più impenetrabile, la riportò ad una dolorosa coscienza, ed egli la tenne stretta in una morsa crudele che le mozzava il respiro con la forza dei suoi occhi malvagi, taglienti come una lama affilata e che splendevano sul volto orribilmente bello.
- Benvenute sulla soglia della disperazione, insignificanti creature, la vostra virtù mi ha condotto al mio scopo ed ora il vostro sangue placherà la sete dei miei angeli.
Al suono di quelle parole, i cinque mostruosi esseri alati li circondarono.
Atterrito, Om si gettò a terra tremando e coprendosi gli occhi con le mani come se fossero stati feriti.
- Questo gioiello che porti non ti appartiene, terrestre, gli umani non hanno accesso ai misteri di noi esseri immortali.
Marionne avrebbe voluto urlare e fuggire, ma niente del suo corpo rispondeva ai suoi comandi.
Il Principe degli Abissi tese la mano ad afferrare il disco magico; impotente a reagire,   Marionne chiuse gli occhi aspettando che quell’essere infame le strappasse col Disco anche il cuore.
Un urlo tremendo squarciò il silenzio e Marionne fu libera. Asturia, che nel frattempo si era trasformata in una spada normale, si era riaccesa di una luce fulgida abbattendosi sul braccio del Principe.
La sua lama di fuoco vibrava come una creatura viva nella mano del nobile cavaliere, questi era balzato in avanti, facendo col suo corpo da scudo alla ragazza e troncando di netto il braccio della malvagia creatura che gli stava davanti
Questa si contorceva per il dolore.
- Forse il coraggio di un debole umano non può nulla contro di te, Principe degli Abissi, non così la spada forgiata coi poteri dell’ultimo Mago, lasciaci libero il passo, se vuoi salva la vita.
- Tu Osi Attaccarmi? Mortale, Tu Morirai!
Il Principe degli Abissi fece tuonare l’ira del suo orgoglio ferito, Sir Gamet fu scaraventato lontano, fra gli artigli dei cinque mostri che si lanciarono su di lui come bestie affamate; una forza invisibile cercò di strappargli di mano la spada ma questa restò salda nella sua stretta, fusa con la sua carne, mentre gli artigli affilati gli straziavano il corpo strappandogli urla di dolore.
- La Voce, la Voce!
Dall’angolo buio in cui si era rannicchiata, Marionne sentì giungere l’implorazione del piccolo Om ed ella cantò; dalle sue labbra uscì una canzone di guerra che lanciò contro le cinque diaboliche creature. Queste, come investite da una tempesta, furono scaraventate qua e là.
- La magia della mia voce è poca cosa in confronto alla tua, mostro infernale! Essa non può toccarti, ma ucciderà le tue immonde creazioni!
Cantava con rabbia la sua canzone di morte, Sir Gamet non poteva, non doveva morire! E, mentre cantava con tutta la forza che aveva, dando loro la morte, le lacrime le segnavano il viso sconvolto.
Nuovamente tuonarono le parole del Principe, e una fitta selva di lance acuminate si gettò contro il corpo della giovane. Scintille di fuoco e frammenti metallici schizzarono ovunque mentre, raccolte le sue ultime forze, il cavaliere si lanciava contro il Principe brandendo Asturia e spezzando il sortilegio; investito da quella furia, il Principe fu costretto a spostarsi dalla soglia del mondo incantato e a fronteggiare l’avversario. Una lama infuocata apparve nella mano rimasta e le due spade si incrociarono, potere contro potere in un soprannaturale duello.
Fu come un lampo nella mente, e Marionne si lanciò attraverso la soglia indifesa entrando d’un balzo nel mondo incantato. Dolore, tempo e spazio, più nulla esisteva in quel luogo, la ragazza resistette al desiderio di perdersi nella fragranza soave della beatitudine che vi regnava: là fuori, oltre la soglia, il suo amore aveva bisogno di lei.
Colse dalle mani della dama sorridente l’altra metà del Talismano e, prima che il mondo incantato sparisse inghiottito dalla magia del Disco, chiamò con la Voce i compagni che erano rimasti al di fuori. Un vortice li afferrò fra le sue spire, Om, coi suoi occhi ancora sbarrati e Sir Gamet, troppo debole per fronteggiare a lungo il malvagio Principe.
 
Quando Marionne tornò in sé, aprì gli occhi sopra un’immensa volta stellata, fra lei e il firmamento si interponeva una porta. La Porta del Tempo era aperta e attraverso di essa soffiava un vento mite ma triste: la ragazza si levò a sedere colta da un presentimento.
Merlino era chino sul corpo abbandonato di Sir Gamet e borbottava misteriosi sortilegi, Marionne gli si avvicinò col cuore che le scoppiava in petto.
- Vivrà, non temere, ma devo ricondurlo nel suo tempo, i poteri della sua terra lo guariranno.
Lei annuì senza rispondere e cacciò in gola le lacrime che le salivano agli occhi.
- Cosa ne è stato di Om, mago?
- E’ tornato fra la sua gente, nel mondo e nel tempo che gli appartengono.
- E il Principe?
- Nella sua dimensione, egli è un nemico in agguato da cui sempre dovremo difenderci. Il Principe degli Abissi è avverso al cuore degli uomini, dal male dei loro cuori trae i suoi poteri; ancora verrà ad attentare all’esistenza dell’uomo, porterà guerra e rovina, odio e superbia, e ancora tu dovrai difendere il Disco Gemmato che apre le porte all’unica forza che può salvare l’uomo dall’imminente distruzione .
Il vecchio mago si chinò a raccogliere il frammento del Talismano che ancora giaceva sul cuscino d’argento. Splendeva ancora più intensamente nel buio della notte e le pietre, che un artigiano abile vi aveva incastonato, parevano accese da un fuoco interno che dava loro vita.
Merlino lo fissò per un attimo quasi con commozione, quindi lo accostò al gemello rimasto al collo della giovane e i due frammenti si fusero magicamente insieme.
- Ora hai libero accesso al mondo fatato, riporta le creature incantate fra gli umani e insegna loro ad ascoltare la Voce: è solo la tua Voce che può aprire i forzieri sigillati della tua gente.
Marionne si sentì raggelare e balbettò – Io, Mago Merlino? Come posso fare quello che dici? Ti ho riportato il Disco Gemmato, usalo tu per quello che è giusto! Hai saggezza e potere, io….
Non riuscì a terminare la frase. Il vecchio sorrideva mentre poggiava le mani sulle sue spalle.
- Mia piccola amica, ho vissuto fin troppo a lungo; da tempo aspettavo il momento di passare ad altri questo ingrato compito, ed ora quel momento è arrivato. Anch’io appartengo al passato, Marionne, non sono più in grado di operare sul futuro, sta a te continuare l’opera, a te che al futuro appartieni e che puoi gestire trame a me sconosciute. Nella tua Voce è racchiuso quel che resta dei miei poteri e questo Talismano ti permetterà di attingere al pozzo infinito della conoscenza, usala con saggezza ed essa guiderà i tuoi passi, l’uno dopo l’altro, verso la meta.
E’ tempo che vada, giovane Maga, questa dimensione è troppo precaria e le nostre esistenze, la mia e quella del nobile Gamet, sono in pericolo. Sia che le nostre vite debbano spegnersi, sia che possano continuare a pulsare, necessitano della linfa vitale del tempo cui apparteniamo. Non tenerci dunque più a lungo in codesto stato, aiutaci a tornare indietro.
- Vi rivedrò? – Marionne non riusciva a rassegnarsi all’idea di doversi separare dal giovane cavaliere.
- Il futuro non è più il mio pane, figliola, ma il tuo. Ma il tempo stringe, non vuoi dunque concederci il primo atto della tua magia?
- Cosa devo fare?
- Dacci la spinta per il grande balzo col tuo talismano, la tua Voce è la chiave con cui si libera ogni potere.
Marionne li vide sparire oltre la Porta del Tempo, il vecchio Merlino che ora appariva più stanco, e Sir Gamet ancora svenuto fra le sue braccia.
Avrebbe voluto seguirli, ma qualcosa la trattenne, c’erano tante cose da fare; doveva combattere Milady, aprire prigioni e tante persone cui portare il nuovo messaggio e da convincere. Fissò per l’ultima volta la Porta del Tempo, un semplice gesto e si sarebbe richiusa.
Nascose il Talismano sotto la giacca della tuta e si predispose a tornare nel suo mondo: portava con sé un intero universo, la speranza per il futuro.

19/05/2007, Lidia Petrulli