L’ASSASSINO HA RISERVATO 7 POLTRONE – PARTE 2

Appena qualche chilometro più indietro, sempre sulla comunale che portava ad Olcenengo, Andrea Antinori (29 anni) era alla guida della sua Ford Fiesta.

Seduto al suo fianco c’era l’amico di sempre, Romano Pistilli (anche lui viaggiava sui 29).

Entrambi, proprio come Patrizio Bild, erano insegnanti non di ruolo in una scuola media della città.

Anche loro erano stati al Provveditorato il mese prima e avevano preso una supplenza annuale di poche ore.

Esattamente come Patrizio, i due ragazzi si barcamenavano in quell’incerto mestiere da qualche anno, e come lui avevano maturato le medesime speranze e delusioni.

Durante gli anni dell’Università, entrambi avevano lavorato come commessi all’Outlet di Vicolungo.

Ogni tanto Romano tornava su quell’esperienza e si lamentava dicendo che avrebbero fatto meglio a rimanersene nascosti tra quegli scaffali piuttosto che ostinarsi a studiare.

Ormai la cultura non serviva a niente.

Non ci miglioravi la tua posizione sociale.

Non ti aiutava a scalare la piramide della società.

Quando toccava quei tasti, Romano tirava fuori la storia dell’Outlet e diceva che come commesso se l’era cavata egregiamente: era svelto e si vantava di capire ad occhio chi entrava per comprare qualcosa o farti perdere del tempo.

Nella scuola, invece, non si sentiva altrettanto brillante: tutto gli appariva come una gran perdita di tempo, inoltre non sopportava la vista delle sue alunne, minorenni e scosciate, senza poterci allungare sopra le mani.

Ma torniamo alla Ford Fiesta che corre nella notte…

- Prendi questa sera, – borbottò Romano, – siamo qui al gelo, in mezzo al nulla, per andare a parlare con un tizio che non abbiamo mai visto. Ti pare vita?

Andrea scrollò le spalle paziente.

Ormai conosceva le intemperanze dell’amico.

- Stiamo andando a sentire. Se ci paga bene, perché no? Navighi già nell’oro?

- Non ancora. Ma se arriva quell’eredità della zia…

- Non ci sperare, quella campa ancora 100 anni.

- Merda! Non farmi pensare. Che poi è capace di dare tutto alla Chiesa e io me la prendo nel culo!

- Appunto. Concentrati sul lavoro, quel poco che hai.

- Va bene, ma perché andarci di notte? Cosa siamo, fornai?

- Non ho capito, ma ha detto qualcosa sulle sue due figlie e degli impegni in palestra. Comunque se quello che ha detto per telefono è vero, saremo pagati meglio di due fornai.

- Come si chiama il tizio?

- Tentori. Antonio Tentori.

- E chi gli ha dato i nostri numeri?

Andrea si girò di tre/quarti verso l’amico e accennò un mezzo ghigno.

- Sai che mi sono dimenticato di chiederlo?

- Si, ma perché ha telefonato ad entrambi? Voglio dire: non gli bastava un insegnante per le due figlie? E poi come faceva a sapere che noi ci conoscevamo?

Andrea fece una smorfia con la bocca e indicò il cruscotto.

- Ehi, piano, quante domande. E che diavolo ne so? Tu pensa solo ai soldi.

- E alla fica.

- E alla fica, certo. Mi passi le sigarette?

Mentre Romano apriva il cruscotto e gli passava un pacchetto di Philip Morris ultra light, Andrea dimenticò quei discorsi e tornò alla litigata furibonda che aveva avuto prima di uscire con Maddalena, la sua ragazza.

Ultimamente litigavano spesso.

Il motivo, probabilmente, non lo sapevano neppure loro.

Quello che gli dava fastidio era l’impressione di sacrificarsi da solo nel rapporto.

Più Andrea cercava di comportarsi bene, le era fedele, la ricopriva di attenzioni, più gli sembrava di essere dato per scontato, come se tutte quelle moine fossero dovute.

Quella sera, ad esempio, avevano sbroccato perché lei voleva uscire con lui per andare al cinema.

Andrea aveva provato a farla ragionare, le aveva detto delle ripetizioni, ma la ragazza aveva comunque insistito affinché le spostasse.

Da quella sciocchezza, come spesso succede, erano passati ad altro, tirandosi fuori tutte le cose che non digerivano l’uno dell’altra, fino a che Andrea non l’aveva scaricata sotto casa.

Subito dopo era passato a prendere Romano.

Così, mentre l’auto procedeva il suo viaggio nella notte e Romano pasticciava il suo profilo facebook sul cellulare, Andrea snocciolava dentro la testa domandone filosofiche.

Si chiedeva quanto fosse libero veramente.

Era libero, certo, ma di fare cosa?

Libero di guidare al termine della notte.

Libero di cercarsi un lavoro extra e poter spendere quei quattro soldi in più in un discount o in prodotti tecnologici, sempre più aggiornati e sempre più inutili.

Libero di prepararsi cene surgelate da scapolo ventinovenne.

Libero di farsi una famiglia, o di non farsela mai, comunque libero di costruirsi una recinzione dorata fatta di impegni, scadenze, bollette, mutui, assicurazioni, e così via.

Era quella la libertà che lo attendeva?

Probabilmente, se si fosse confidato, Romano gli avrebbe detto che no, quella non era libertà, che ognuno di loro era in una prigione e che il sistema che l’uomo s’era costruito attorno era invincibile e avrebbe finito per stritolarli tutti, dal più furbo, al più scemo.

Andrea fumò la Philip Morris ultra light, la Ford Fiesta rallentò l’andatura, si lasciò alle spalle la stradina non selciata che conduceva alla stazione di Olcenengo e proseguì seguendo l’argine di un torrente.

Infine arrivò nei pressi di un boschetto e si fermò: oltre il parabrezza, c’era un’altra vettura, una Panda celeste.

Vicino alla vettura intravide la sagoma di tre persone.

Poi notò i fari di una terza vettura che si avvicinava dietro di loro.

Erano le 9 passate…

 

Patrizio era sceso dall’auto e s’era guardato attorno: davanti una macchia di alberi e il torrente che scorreva nel fosso, sulla destra, vicino ad un cartello stradale corroso da perline di ruggine e sputi di fucile, scorse una Seat Toledo.

Le portiere della Seat si spalancarono e scesero due ragazze, infagottate nei loro cappottini e berretti di lana.

Una delle due era di colore e aveva degli occhi marroni ornati da grandi ciglia scure.

Quando quella parlò, Patrizio rimase incantato dalla sua dentatura scintillante.

La ragazza di colore gli domandò a bruciapelo se conoscesse la medesima via e la medesima casa che anche lui cercava.

Allora Patrizio spiegò che era venuto fin lì per lo stesso motivo e le ragazze (quella di colore si chiamava Solange, Solange Cavara; l’altra, una morettina burrosa dal volto fresco come una fragola cresciuta nell’ombra, si chiamava Evelyn Miraglia) dissero di essere due insegnanti, e anche loro avevano ricevuto una chiamata da un uomo per delle ripetizioni.

Nessuna di loro era mai stato prima da quelle parti.

La voce al telefono s’era presentata come un tale Antonio Tentori, preside di una specie di scuola privata serale in cerca di nuovi docenti ultrapagati.

Siccome Solange ed Evelyn erano due (prof.) precarie con uno stipendio roso dalla fame, la telefonata era apparsa come una manna dal cielo.

Anche Patrizio raccontò com’era andata la sua telefonata: a lui però Tentori non aveva detto di essere un preside, ma più semplicemente il padre di una ragazzina premurosa di ricevere delle ripetizioni di Latino.

La ragazza di colore lo ascoltò accigliata, poi prese una monetina dalla tasca e iniziò a giocarci.

La faceva passare veloce tra le nocche senza farla cadere.

Patrizio osservò il giochino senza dire nient’altro.

- Ok, direi che si tratta di un bidone, – fece sbrigativa Solange.

- Ce ne andiamo? – chiese Evelyn pettinandosi nervosamente il caschetto.

Solange accese una sigaretta e aspirò una boccata, lanciando delle occhiate verso le sagome stilizzate degli alberi.

- Non sei curiosa? – e strizzò l’occhio all’amica, – a questo punto voglio vedere in faccia chi mi ha fatto sprecare della benzina. Tu che fai?

Patrizio si sentì chiamato in causa.

- Anch’io sono sensibile ai costi della benzina.

- Ok, allora è deciso.

Fecero per muoversi verso la macchia di alberi, quando i fari di un’altra auto li inchiodarono.

Evelyn tornò a passarsi la mano nel caschetto.

- Arriva qualcuno.

- Saranno altri bidonati, – assentì Solange.

La macchina era la Ford Fiesta con Andrea e Romano.

I due scesero dalla vettura e si avvicinarono agli altri.

- Siete qui per delle ripetizioni a una squadra di rugby? – fece, ironica, Solange.

Andrea la studiò accigliato.

Romano invece squadrò le ragazze da capo a piedi e parve parecchio soddisfatto di quel che vedeva.

- Siete voi che ci avete telefonato? – chiese Andrea.

- No, ma sono sicura che vi ha cercato un certo Antonio Tentori.

- Si, come…

Solange batté le mani e saltellò sul posto.

- La mia curiosità aumenta, ragazzi…

Andrea e Romano erano parecchio confusi e toccò a Patrizio spiegare quella situazione grottesca.

- Merda, – fece Romano alla fine.

- Volete dire che anche voi siete qui perché qualcuno vi ha chiamato per delle ripetizioni, – fece Andrea allibito.

- Esattamente cocchi, – Solange schioccò le labbra carnose e indirizzò un’occhiata verso gli alberi, – che ne direste se andiamo a presentarci da questo signor Tentori? Magari è già Carnevale e non ce ne siamo accorti.

Evelyn riprese a tormentarsi i capelli.

- Non sarà pericoloso?

Solange le carezzò il visino e mostrò i suoi denti d’avorio.

- Non hai nulla da temere bijou!

Romano registrò la carezza della nera e la proiettò nella cabina segreta della sua mente, montandola in un film immaginario che lo vedeva confusamente protagonista assieme alle due ragazze: naturalmente in quel film erano tutti nudi e spensierati, lontani da quel gelo, dentro una bolla di primavera… Improvvisamente di trovarsi al freddo, in quello strano convegno fatto di buia campagna, gli pareva decisamente secondario… L’apparizione delle due ragazze aveva dato un nuovo senso alla serata…

- Che ne dici? – chiese Andrea all’amico.

- Io dico che seguirei cioccolatino fino all’inferno, – fece Romano.

Solange rise alla notte.

- Allora non perdiamo altro tempo.

Si misero in moto e, di nuovo, squarci di luci di una quarta vettura li arrestarono.

- Un altro invitato?

- Se andiamo avanti di questo passo servirà un posteggiatore.

Questa volta si trattava di una Porche Carrera.

Ne scese una donna sulla trentina passata da un pezzo e una faccia sostenuta: il naso a becco, la mandibola pronunciata; l’impressione generale era di trovarsi di fronte a una lastra di pietra con le fattezze casuali di una donna.

La nuova arrivata squadrò il gruppetto.

- E voi chi siete? – chiese irritata.

Patrizio si fece avanti e spiegò per la seconda volta come stavano le cose.

Quando ebbe finito…

- Volete prendervi gioco di me? – concluse la tizia.

- Si, ci piace darci appuntamento ai crocicchi quando la temperatura è sotto zero, – ironizzò Solange.

A Evelyn scappò una breve risata.

La nuova arrivata, invece, non mosse un muscolo.

- Dovrei ridere? – disse fissando Solange negli occhi scuri.

- E’ facoltativo cocca.

- Non mi piace il tuo atteggiamento, – l’ultima arrivata fulminò la neretta con un’occhiata di bragia.

- E’ chiaro che ci hanno preso in giro, – provò ad intervenire Patrizio.

L’ultima arrivata annuì gelida e rifletté un istante.

Guardò anche lei verso la macchia di alberi, poi si girò a studiare il nulla alle sue spalle.

- Non mi piace essere presa in giro. Quel tale al telefono…

- Tentori, – provò Andrea.

- Si, un nome del genere. Ha detto che aveva bisogno di alcune ripetizioni di Italiano per prendere la licenza media e aprire un bar.

Patrizio scosse la testa.

- Ha detto una cosa diversa a ognuno di noi.

- L’unica cosa in comune è che cercava degli insegnanti, e tutti noi siamo degli insegnanti, quindi, – Andrea si avvicinò alla sconosciuta e si presentò.

Gli altri fecero lo stesso.

- Mi chiamo Jennifer Tellini, – esclamò la donna scesa dalla Porche Carrera.

- Bene, adesso che siamo diventati amici, che ne direste di muoverci da qui? Tentori sarà preoccupato nel vederci tardare, – Solange si sfilò la cuffia di lana e ravvivò con la mano una massa di capelli riccissimi.

Senza altri indugi, il gruppo si indirizzò verso il bosco, segnato da nessun sentiero.

Romano ne approfittò per avvicinarsi a Solange.

La ragazza di colore lo squadrò incuriosita.

Lui si chinò verso l’orecchio di lei.

- Mi piace il tuo stile, – sussurrò.

- Anche il tuo.

 

…da qualche parte, delle mani guantate di nero giocano con forbici e carta: prima ritagliano delle figurine, sette figurine umane, poi le mani di pelle nera dispiegano le sagome.

Il luccicare della forbice, le lame spalancate come fauci sospese, e le teste che cadono una a una.

Tutte e sette decimate, decapitate.

Poi l’ombra nera smette di giocare e inizia a truccarsi.

Prima indossa un costume scarlatto con un mantello di velluto rosso e un cappello piumato calcato su una faccia da teschio.

Gli occhi del cranio sono due grandi buchi neri.

Si prepara ad accogliere i suoi ospiti.

A iniziare il suo allegro girotondo di morte?…

 

Il gruppo si incamminò verso gli alberi, non fronde verdi, ma rami schietti, nodosi, di colore fosco, innumerevoli stecchi, sterpi e nidi di rovi.

La selva stilizzata e il corso d’acqua delimitavano una specie di terrapieno su cui sorgeva l’abitazione, una costruzione irregolare, cadente, piena d lucernari, grondaie e bucrani.

Dalle finestre la luce elettrica spuntava simile a lame fosforescenti che ferivano il manto uniforme della notte.

Il portone d’ingresso era accostato.

- Non mi piace, – Evelyn si mordicchiò un’unghia.

Patrizio si strinse nelle spalle.

Nessun altro parlò.

Entrarono.

(2.continua)

Davide Rosso