L’ASSASSINO HA RISERVATO 7 POLTRONE – PARTE 1

Meglio dimenticare Linda,

la promessa lungo il mare,

il punto che, galeotto, ci vinse,

la singolar tenzone con il fidanzato.

Patrizio Bild rilesse la frase, poi schiacciò disgustato il tasto di cancellazione e la pagina word tornò di un bianco immacolato, col cursore che lampeggiava impaziente, affamato di nuove parole.

Eccole:

L’adolescenza sognavo spesso

Di incontrare – rapire – possedere,

tutto in una notte, qualche ragazza al mare.

I racconti di mio padre erano foto…

Di nuovo, Patrizio Bild cancellò i versi, poi, prendendo atto che non era serata, salvò il documento “Poesie” e spense il Pc.

Seguirono vari stiracchiamenti della schiena e sfregamenti agli occhi gonfi, infine l’uomo spense la lampada sulla scrivania e controllò l’ora: erano le 7 e doveva ancora preparare la verifica di Geografia per la mattina seguente.

Ci rifletté sopra alcuni istanti, ma il profumino che giungeva dalla cucina lo convinse a rimandare anche quella.

Affamato lasciò lo studio e attraversò un breve corridoio che portava alla cucina. Verso la fine del corridoio, un alberello natalizio brillava con le sue lucine intermittenti.

In cucina c’era sua moglie Francesca e sua figlia Alessia.

La piccolina aveva circa 3 anni e se ne stava accucciata buona buona ai piedi inciabattati della mamma.

Francesca stava controllando la cottura del minestrone e finiva di spalmare dei cracker con della salsa tonnata.

Patrizio prese in braccio Alessia e la baciò sulla guancia.

La bimba balbettò qualcosa e ricambiò con affetto, stringendo forte il collo del babbo.

- Manca molto? – chiese Patrizio alla moglie.

- Fame? – rispose Francesca.

- Mmm, abbastanza.

Francesca era una bella ragazza coi capelli ricci e castani, fluenti fin sulle spalle, il viso intelligente e gli occhi intensi, profondi.

Le cosce piene, i seni gonfi e maturi…

Francesca aveva 36 anni, come Patrizio, ed era sposata con lui da quasi tre anni.

Si erano conosciuti da adolescenti, frequentando i medesimi giri della loro piccola cittadina di provincia, ma la loro storia era partita solamente qualche anni dopo, quando Patrizio aveva cominciato a fare supplenze di Italiano, Storia e Geografia nella medesima scuola dove Francesca aveva una supplenza di Storia dell’Arte.

In seguito Francesca si sarebbe stufata di quel mestiere e sarebbe tornata alla sua vera passione: fare la restauratrice.

Dopo quella prima supplenza, Francesca aveva vinto un concorso ed era finita a lavorare per le Belle Arti, occupandosi di arte sacra e affreschi.

Un bel lavoro, soprattutto ben pagato!

Patrizio, invece, aveva continuato a insegnare, rimanendo un supplente di terza fascia, ovvero un eterno precario.

Ormai, nel mondo della scuola, erano anni che non facevano più concorsi per entrare di ruolo e Patrizio cominciava a perdere la speranza, chiedendosi giornalmente se non avesse perso troppi anni dietro una chimera irraggiungibile.

Solo un mese prima era andato al Provveditorato per le nuove nomine annuali ed era riuscito a portare a casa una supplenza di 8 ore settimanali in una scuola media di Vercelli.

Almeno non era rimasto col becco asciutto e non avrebbe dovuto viaggiare (come gli era capitato negli anni precedenti) fino a qualche paesino sperduto della provincia.

Con quella cattedra poteva dirsi fortunato: pochi nomi dopo al suo e avevano esaurito le chiamate, ma, soprattutto, quelle 8 ore rappresentavano la sua ultima speranza prima di abbandonare la strada dell’insegnamento e finire a sistemare dei prodotti in un supermercato.

Le dieci ore erano indispensabili non tanto per l’economia famigliare (a quella provvedeva benissimo lo stipendio sicuro di Francesca), ma per il suo morale: Patrizio Bild cominciava ad essere stanco di quella situazione incerta e senza futuro.

Non voleva che lo stipendio di sua moglie diventasse l’unico salvagente della sua famiglia.

Da precario, non aveva i lunghi mesi estivi pagati e nemmeno i giorni di festa o malattia.

I primi anni, quando ancora i Governi non avevano tagliato pesantemente la spesa pubblica, era riuscito a fare supplenze quasi annuali.

Adesso era sceso a 8 ore settimanali: sotto quella soglia, il suo non si sarebbe più potuto considerare uno stipendio e allora un qualunque supermercato sarebbe andato benissimo.

Se non aveva mollato era stato per le insistenza di Francesca, che l’aveva esortato a crederci ancora e seguire la propria vocazione così come aveva fatto lei.

Patrizio l’aveva ascoltata, anche perché a lui l’insegnamento piaceva moltissimo e non aveva paura di lavorare con classi “difficili”.

Il suo talento stava nel riuscire a prendere per il verso giusto i ragazzi ed evitare le situazioni di scontro.

Di lui non s’era mai lamentato nessuno, anzi: era un insegnante molto paziente e preparato.

Ma quelle misere 8 ore…

Il mese prima, quando era andato in Provveditorato, s’era promesso che se fosse rimasto senza alcuna cattedra avrebbe mollato tutto: a quel punto sarebbe stato meglio cercarsi qualunque cosa (umile, molto umile, perché a 36 anni cosa se ne facevano delle sue qualità pedagogiche?!?) piuttosto che continuare con quella menata senza sbocchi.

Come padre, voleva dare ad Alessia delle sicurezze maggiori e contribuire maggiormente al suo mantenimento…

Il Natale quasi alle porte non lo aiutava: spesso, in quelle serate, Patrizio si perdeva dentro quei pensieri foschi e cercava di non darlo a vedere.

Di carattere era un tipo alla mano e allegro, ma i tempi erano davvero bui e mettevano alla prova anche gli spiriti migliori…

Come molti, anche Patrizio provava ad arrotondare come poteva: qualche sera prima dell’inizio di questa storia, il nostro aveva ricevuto una strana telefonata da un tizio che diceva di chiamarsi Antonio Tentori, il quale aveva avuto il numero da qualcun altro non ben specificato.

L’uomo al telefono aveva parlato di una figlia urgentemente desiderosa di ricevere delle ripetizioni di Latino.

Poi aveva chiesto a Patrizio se era interessato, inoltre aveva avanzato la richiesta di vedersi la sera, perché, di giorno, la figlia era quasi sempre impegnata in palestra con la ginnastica artistica.

Tentori aveva anche chiesto se era un disturbo eccessivo per Patrizio andare a fare le ripetizioni a casa loro e, per accomodare il tutto, aveva proposto un prezzo davvero alto.

Patrizio aveva accettato senza starci troppo a pensare.

Con la piccola Alessia in braccio e Francesca che serviva il minestrone, Patrizio ripensava a queste cose, alla sua sorte e alla proposta di arrotondamento (molto favorevole) avanzata dal Tentori.

Il primo appuntamento cadeva proprio quella sera.

- A che ora? – chiese Francesca servendogli il piattone fumante.

- Alle 9 devo essere a Olcenengo.

Francesca mise alcuni girelli di minestra in un piattino più piccolo per Alessia.

La bimba ingoiava un cucchiaio di minestra e strofinava allegra i polpastrelli sul dito di barba del padre.

- Come procede la scrittura? – domandò Francesca, servendosi pure lei un piatto caldo.

Patrizio sollevò le sopracciglia e pulì la bocca di Alessia con un tovagliolo.

- Stasera ho scritto solo delle cavolate!

- Sei troppo critico. Le ultime che ho letto mi sono piaciute. Dovresti farle leggere a qualcuno.

- L’anno scorso, ricordi, avrò spedito venti pacchi. Senza contare le mail.

- Ma non ti aveva risposto uno?

- Si, Milo DeAngelis. Mi aveva fatto i complimenti, poi nessuno ti propone mai una pubblicazione. C’è crisi, ripetono.

Francesca sollevò le spalle e sorrise.

Prese Alessia dalle ginocchia di Patrizio e la mise seduta per bene su una sedia.

- Amore, lascia mangiare papà che stasera deve uscire…

Cenarono tranquilli davanti alla tele e a un quiz, poi Francesca iniziò a sparecchiare.

- Vuoi del vino?

- No, devo guidare.

Mentre lei riponeva i piatti sporchi e le posate nel lavandino, lui pelò una mela e la tagliò in spicchi per la figlia.

- Ti spiace se stasera non ti aiuto a lavare i piatti?

- Non ti preoccupare.

- La strada sarà ghiacciata e non voglio correre.

- Più che giusto: io e Alessia ti rivogliamo intero.

- Per quel che valgo.

Francesca si interruppe un attimo e squadrò contrariata il marito, poi, fingendo di sgridarlo, disse:

- Pensi troppo al futuro.

Patrizio annuì tranquillo.

- E’ il brutto di essere padre.

Francesca sorrise dolce.

- Perché ridi?

- Niente. Pensavo a come siamo cambiati.

- Da quando?

- Da quando avevamo vent’anni. Discorsi come questi! Io andavo in giro coi capelli verdi e giocavo a fare la punk contro tutto e tutti.

Patrizio passò un altro spicchio di mela al Alessia e sollevò le spalle.

- Poco male. Io non mi tingevo i capelli ma ero pessimo!

- Eri molto permaloso.

- Non sai quanti amici ho perso per colpa dei miei nervi.

Ci fu un attimo di silenzio.

Patrizio sembrava perso dentro a qualche pensiero.

- A cosa pensi? – chiese Francesca.

- Niente. A una ragazzina.

- Andiamo bene! Stai per dirmi che hai una amante?

- Spiritosa, è una ragazzina che stiamo per bocciare. Ha 13 anni ed è una dura: zero cultura, zero ideologia, soltanto una anarchia vitale. Se le dici qualcosa, la riprendi, le dici di stare zitta e non disturbare, lei fa la matta, rompe il banco, strilla, infila una matita nell’occhio del compagno, cose così. I colleghi non la possono reggere. Sono lì da meno di un mese e ti dico che non c’è nessun modo per prenderla.

- Una vera dura. Ok, io non ero esattamente così.

- E’ che in classe devo recitare la parte dell’adulto, del professore cattivo e impassibile e lei mi ricambia con uno sguardo di odio implacabile.

- E la cosa ti ferisce?

- Mi ferisce che lei non sappia quanto io internamente le abbia assomigliato.

Francesca carezzò il viso del marito.

Intanto Alessia era ipnotizzata davanti alla tele.

Patrizio controllò l’ora e si alzò.

- Vado: speriamo non sia una fregatura.

- Fai tardi?

- No, ha detto un paio d’ore.

Patrizio baciò Francesca e scompigliò i capelli di Alessia, poi andò nello studio e infilò alcuni libri in una borsa a tracolla rossa.

Indossò il cappotto, la cuffia di lana, i guanti e fu pronto per affrontare il freddo.

Dieci minuti dopo la sua Panda era diretta verso Olcenengo.

Fortunatamente non c’era nebbia e le strade non sembravano ghiacciate.

Le luci lontane di altri paesi rilucevano come punte di spilli.

Passò un treno che costeggiava la strada comunale.

Nel vederlo, Patrizio pensò a un serpente che aveva ingoiato  tante lampadine, poi il treno-serpente proseguì la sua corsa e lui ripassò le indicazioni di Tentori.

Gli aveva detto di raggiungere la stazione ferroviaria del paese e proseguire seguendo la strada.

Avrebbe intravisto la casa, circondata da un piccolo torrente.

Evidentemente Tentori e la figlia vivevano parecchio fuori mano, ma la cosa non lo preoccupò minimamente: da quelle parti la gente viveva tranquilla e la provincia di Vercelli era ancora uno dei pochi posti dove potevi andare a dormire con la porta di casa aperta senza paura di finire in un congelatore dell’obitorio.

I fari della Panda illuminarono il rettilineo sterrato che portava alla stazione del paese e l’auto proseguì.

Dopo aver superato altre due cascine, rimasero solo i campi desolati.

Patrizio vide le luci di Olcenengo sparire dallo specchietto retrovisore.

Dopo alcuni minuti nel buio più completo, la strada finì davanti ad una specie di boschetto, oltre al quale intravide delle luci e la sagoma di una abitazione…

(1.continua)

Davide Rosso