IL PIU’ GRANDE GIOCATORE DI SCACCHI DI TUTTI I TEMPI

Era ormai pomeriggio inoltrato di una domenica di fine inverno. Dalla finestra del soggiorno si potevano intravedere i raggi del sole che andavano a battere direttamente contro un lastrone di ghiaccio collocato da qualche parte sulla sommità di un dirupo lontano, rilucendo di un baluginio accecante. Sottili nuvole si rincorrevano veloci nel cielo sotto l’incalzare del vento. La stagione fredda era ormai sul punto di lasciare il passo alle giornate via via più tiepide, tuttavia ci sarebbero voluti ancora due mesi abbondanti prima di poter uscire di casa senza dover indossare per forza il pesante giaccone che Anton portava con sé quando si recava al pascolo sulle cime.
L’uomo si era seduto al tavolaccio di legno ove usava abitualmente consumare il pranzo della festa e osservava perplesso la scacchiera di legno di betulla che vi era distesa sopra, i pezzi intarsiati e pitturati a mano sistemati su quello che somigliava decisamente a un campo di battaglia. Piuttosto cruento e poco benevolo nei suoi confronti questa volta, in realtà, dato il gran numero di pedine già perdute durante solo un’ora di gioco. Dall’altra parte stava la sua avversaria, silenziosa e assorta come sempre. Lei non amava parlare, in realtà raramente profferiva qualcosa. Anzi, si poteva dire che solamente in pochissime occasioni l’aveva sentita pronunciare dei commenti sulle sue mosse. Mostrava sempre un’espressione indecifrabile e meditabonda che smorzava appena il colorito chiaro del suo volto, contornato da occhi sottili, scuri e penetranti.
Oggi la fortuna pareva arriderle senza dubbio, pensò Anton, indugiando ancora una volta sulla sua prossima mossa. Il giocatore era perfettamente consapevole che la tattica che aveva seguito fin lì non era stata molto producente, essendogli costata ben 6 pezzi posizionati in posizioni strategiche fondamentali. Dapprima aveva perso 3 pedine, “mangiate” da altrettanti pezzi Neri, quindi aveva subito l’eliminazione del suo Cavallo e infine l’affronto finale dell’uscita di scena di una delle sue Torri. Gli Scacchi non ammettevano distrazioni di sorta, Anton lo sapeva bene, e difficilmente sarebbe riuscito a raddrizzare una situazione tanto compromessa come quella in cui si era venuto a trovare questa volta. Tuttavia, chi poteva dirlo? L’incontro non si era ancora concluso e già in altre occasioni era riuscito a ribaltare inaspettatamente una situazione che pareva ormai irrimediabilmente senza speranza.
Ora toccava muovere ai Neri, doveva pazientare e attendere il proprio turno. La sua mente andò nuovamente alla finestra, da cui aveva una buona visuale dei dintorni. Il sole pareva così caldo e invitante, eppure sapeva che vi erano non più di 7 gradi all’esterno in quel momento. Non aveva bisogno di uscire all’aperto per sincerarsene, gli bastava interpretare i pungenti dolorini che provenivano dalle giunture dei suoi gomiti e delle ginocchia. Anton sorrise a quella considerazione. Non aveva più l’età di una volta, ormai era un vecchio decrepito. I suoi capelli lanuginosi – quei pochi che gli erano ancora rimasti in testa – avevano assunto da tempo una colorazione candida che poteva rivaleggiare senza timore con la neve più pura. Quanto al resto dei suoi tratti, non si attardava ormai più molto a guardare la sua immagine riflessa. Solchi profondi gli attraversavano le guance e la fronte, ampie screpolature gli segnavano il viso qua e là. Soltanto il suo sguardo, incorniciato da due occhi azzurri, era rimasto lo stesso di quando era ragazzo, o almeno così lui si illudeva. Tuttavia incredibilmente la sua mente era ancora pronta come quella di un tempo.
Aveva sempre vissuto lì, nella regione sudorientale dell’Ukraina, là dove le aspre alture del Donec rompevano l’unità della vasta pianura apparentemente senza fine. Il suo piccolo villaggio, Uhyne, era costituito da poco più di una decina di case di pietra antica e rabberciata le quali si arrampicavano pervicacemente sugli impervi rilievi che si innalzavano a sud-est della città di Snizhne, lontana più di cento chilometri da Juizovka, o Donets’ k, come si chiamava adesso. In quella zona, non era raro vedere dei mogily, piccoli manufatti di forma conica che sorgevano sulla sommità dei dossi disseminati qua e là, residuo di un lontano passato, i quali erano divenuti oggetto di vero e proprio culto da parte degli anziani. Da quelle parti, gli inverni erano molto rigidi e le primavere assai brevi e tardive.
Aveva sempre fatto il pastore fin da giovinetto, anzi, si poteva dire da quell’ormai lontano primo giorno in cui aveva cominciato a camminare sulle sue gambe, senza esagerazioni. Era stato suo nonno a iniziarlo a quell’attività: lo portava sempre con sé quando alla mattina partiva per il pascolo con le sue pecore e durante la lunga giornata lo istruiva sui doveri del pastore, nonché sul percorso più sicuro da seguire e i possibili pericoli, insegnandogli quale fosse il comportamento più appropriato da tenere nelle varie circostanze.
Nonno Levko era molto paziente e comprensivo e sapeva decisamente il fatto suo. Aveva una gran cura del suo gregge e badava sempre che non si allontanasse troppo o si inerpicasse in punti eccessivamente ripidi o pericolanti al seguito delle pecore più intraprendenti. Ma era nel giorno del riposo, al pomeriggio della domenica, che il Nonno tirava fuori il meglio di sé e si dedicava alla sua passione segreta: gli Scacchi! Quel gioco era una vera e propria tradizione per tutti gli abitanti del villaggio di Uhyne e non vi era nessuno degli anziani che non la praticasse. Si diceva che Nonno Levko non avesse rivali in tutto il villaggio, ed era vero! Ilyich e Iosy, i suoi vecchi amici con cui amava giocare nel giardino della propria casa, erano indubbiamente bravi e assai abili, però il ragazzo non ricordava di averli mai visti prevalere su di lui. In realtà, Anton era sicuro che il Nonno avrebbe battuto qualunque avversario avesse osato sfidarlo e probabilmente non vi era nessuno pari a lui per astuzia ed esperienza in tutta la regione.
Resosi conto del suo interesse, il Nonno aveva presto cominciato a insegnare anche a lui le regole di quell’antico gioco. Dapprima Anton aveva trovato quel passatempo piuttosto astruso e noioso, però con il tempo il suo atteggiamento era mutato decisamente e in breve aveva cominciato a desiderare ardentemente che arrivasse il fine-settimana per poter giocare di nuovo con il Nonno. Allora Levko aveva avuto una bella pensata e aveva iniziato a caricarsi sulle spalle ogni mattina la scacchiera di legno che aveva ereditato dai suoi in modo da poter giocare con suo nipote al pomeriggio mentre erano sul pascolo e si godevano qualche ora di meritato riposo lontani dal villaggio.
Con gli anni, Anton aveva mostrato una grande abilità negli Scacchi, meravigliando anche il Nonno che cominciava a trovare sempre più difficile riuscire a sconfiggerlo in poco tempo. Spesso lo aveva visto grattarsi pensosamente il naso adunco – lo stesso che anch’egli aveva ereditato dai suoi – mentre cercava di trovare una contromossa adeguata a una sua intelligente combinazione. Forse perché aveva cominciato prestissimo o forse perché quel gioco aveva finito per divenire la sua passione, come che fosse, l’anziano pastore si era reso conto che il ragazzo dimostrava doti notevoli, nonostante la giovane età. E prometteva di migliorare ancora in futuro… In realtà, Anton lo sapeva bene, la sua non era un’abilità innata e il merito non era tutto suo, infatti aveva avuto la possibilità di imparare da un ottimo maestro.
Ricordava ancora perfettamente il giorno in cui, a soli sedici anni, era riuscito a sconfiggere uno dopo l’altro i migliori giocatori di tutto il villaggio. Tutti dicevano ormai comunemente che per esperienza, tattica e istinto Anton era divenuto molto più bravo di suo nonno e gli avevano assicurato un grande futuro. Il fatto impressionante era che Anton non aveva mai fatto studi particolari sull’argomento, né si era mai misurato con i migliori maestri di Scacchi esistenti al mondo. In realtà, non conosceva neanche i nomi delle principali tattiche di gioco che riproduceva casualmente e gli capitava di utilizzare spesso durante le partite. La sua strategia in fondo era piuttosto semplice, quasi lineare, e tuttavia risultava estremamente efficace. Inventava tutto di propria iniziativa e per fare ciò si basava sulla propria esperienza, sulla sua intelligenza tattica e sull’istinto. Nient’altro. Eppure i suoi risultati erano innegabili, nessuno riusciva a batterlo ed era addirittura raro che qualcuno dei suoi compaesani riuscisse oramai a metterlo in difficoltà.
Molti nel villaggio avevano cercato di convincerlo ad andare in qualche grande borgo, ove avrebbe potuto misurarsi una volta per tutte con i migliori maestri di Scacchi dell’intero stato e magari, perché no, guadagnare molti soldi. Tuttavia Anton aveva sempre declinato quell’invito, preferiva continuare a fare il pastore, come i suoi prima di lui, e nient’altro. Non ci teneva a diventare famoso né ricco, ciò che aveva gli bastava e voleva che quel gioco restasse solo ciò che era per lui, un semplice passatempo. Il Nonno, da parte sua, non cercò mai di convincerlo del contrario.
 
Anton tornò a concentrarsi sull’incontro che si stava svolgendo in quel momento con la giocatrice. Di fatto, la sua avversaria aveva sempre avuto un modo di fare piuttosto inconsueto e decisamente strano, tuttavia possedeva una flemma che invitava a calmarsi chiunque le stesse attorno, lasciandosi alle spalle tutte le altre preoccupazioni… Il suo vestito dalla tonalità scura, e tuttavia sobrio e formale, sembrava sposarsi perfettamente con il suo carattere ombroso e riservato. Era dotata di una grande esperienza di gioco e assai difficilmente si lasciava sorprendere. Tuttavia restava compiaciuta delle belle mosse altrui e sapeva riconoscere l’abilità di chi le stava di fronte. Ricordava ancora come l’aveva incontrata per la prima volta…
 
Si era in quel periodo dell’anno in cui la temperatura cominciava ad aumentare ogni giorno di più, Anton lo ricordava benissimo, provocando una veloce evaporazione delle acque del vicino fiume Mius, e l’aria era spesso torbida per il pulviscolo sollevato dal forte vento. In quelle circostanze le tempeste improvvise potevano danneggiare i raccolti di una vasta area provocando la disperazione dei contadini.
Si era allontanato dal giardino di casa in cerca di un’erbetta particolare che il Nonno utilizzava per insaporire i contorni quotidianamente. All’improvviso proprio una di quelle tempeste inaspettate si era sollevata nei dintorni, annebbiando la visuale e rendendogli difficile perfino ritrovare la strada. Anton si era nascosto dietro una sporgenza rocciosa e, senza accorgersene, era inciampato rovinosamente al suolo, scivolando giù lungo una discesa pietrosa punteggiata di rocce sporgenti. Ricordava di esser rimasto lì disteso per qualche minuto buono cercando lentamente di riprendersi. Quando si era alzato si era accorto che, a parte qualche lieve ammaccatura, non aveva subito ferite particolarmente profonde, anzi si poteva dire che stesse miracolosamente benissimo. Fu in quel momento che Anton vide la catapecchia al limitare del pianoro scosceso. Si avvicinò incuriosito al parapetto del giardino interno, il quale pareva completamente secco e ripieno di steli avvizziti. Sul limitare della porta, vi era un’anziana donna seduta su un pancone di legno.
“Come ti chiami, ragazzo?” le aveva chiesto la vecchia signora, in un tono asciutto e deciso. Anton si ricordò che una volta il Nonno gli aveva parlato di quella donna che viveva nella casupola ai confini del villaggio. Si diceva che conducesse una vita assai riservata e che non si avventurasse mai lontano dal suo terreno, inoltre non amava parlare molto e prediligeva il gioco degli Scacchi. In realtà non era molto ben vista dagli altri abitanti di Uhyne i quali, dal canto loro, preferivano non frequentarla per qualche misteriosa ragione, tuttavia Nonno Levko gli aveva rivelato che in più di un’occasione si era fermato a svolgere con lei delle lunghe partite. Affermava anche che fosse un’ottima giocatrice.
“Anton, signora” aveva risposto lui.
La vecchia si limitò a osservarlo in silenzio. I suoi occhi scuri e profondi parevano estremamente attenti e acuti, nonostante non lasciassero trapelare apparentemente alcun sentimento o emozione. “Ah, sì…”, disse lei inarcando appena la testa all’indietro, “tu sei il nipote del vecchio Levko… sei molto cresciuto, sai?”
La sua presenza lo metteva un poco a disagio, Anton non avrebbe saputo dire esattamente perché, ma era certo che si trattasse solo di un’impressione passeggera. In lei non ravvisava alcuna ostilità né acredine, tipiche delle persone che amavano starsene per conto proprio e ben lontane dai propri simili, come si diceva facesse comunemente quella donna. In breve il senso di imbarazzo si dissolse e il ragazzo si sentì meglio.
“Dicono che tu sia bravo a giocare a Scacchi…” gli occhi della vecchia parevano più caldi e interessati ora. “Vorresti giocare con me? Mi piacerebbe verificare quanto sei diventato bravo…”
Anton aveva riflettuto per qualche attimo fra sé su quell’offerta. “Perché no?”, aveva risposto alla fine. Chissà, magari avrebbe anche potuto apprendere qualche trucchetto interessante da utilizzare per mettere in difficoltà il suo maestro una di queste domeniche a venire… In fondo anche Nonno Levko aveva detto di aver giocato con lei qualche volta, sebbene non fosse un argomento di cui gli piaceva discutere.
“Solo, promettimi una cosa…”, aveva aggiunto subito dopo lei, con un tono di complicità, “se mi batterai, non potrai rivelarlo a nessuno… che figura ci farei… sei solo un ragazzino! Sarà il nostro piccolo segreto, sei d’accordo?”
“D’accordo, signora!” acconsentì lui.
Il volto della donna in quel momento parve aprirsi in un’espressione di compiacimento. Era il primo sorriso che Anton le vedeva fare dal momento in cui l’aveva incontrata.
 
L’uomo meditò sul da farsi e fece indietreggiare il proprio Re di un riquadro. Allora la scacchiera parve illuminarsi improvvisamente in quel punto esatto, svelandogli un aspetto del gioco che Anton sembrava non aver notato in precedenza. Forse aveva intravisto uno spiraglio in quella situazione oltremodo delicata in cui si era andato a infilare poco prima. Chissà… Ora toccava nuovamente alla sua avversaria, avrebbe dovuto solamente attendere con pazienza che sviluppasse ulteriormente la sua strategia prima di mettere finalmente in atto la sua contromossa. La sua mente tornò nuovamente a divagare sul lontano passato.
 
Il Nonno era morto nel 1919, all’età di più di 120 anni. A quel tempo era già l’uomo più anziano di tutto il villaggio, anzi il più vecchio di cui si fosse sentito nell’intera regione. Ma Uhyne era sempre stato un luogo di centenari fin dall’antichità. Il villaggio era sempre riuscito a rimanere uguale a se stesso, nonostante il lento scorrere del tempo. Sembrava addirittura che fosse quasi invisibile, in quanto raramente gli abitanti delle altre zone parevano ricordarsi della sua esistenza. La storia quasi gli scorreva accanto senza provocare apprezzabili innovazioni o rivolgimenti su di esso, quasi che tutti loro vivessero al di fuori del mondo reale. E forse era veramente così.
Nel 1861 era stata abolita la servitù della gleba. Vi furono in seguito varie altre riforme agrarie, nei primi anni del XX secolo, le quali non risolsero sostanzialmente i problemi dei più poveri e anzi arricchirono ancor di più, se possibile, le classi agiate. Vi fu poi la grande Rivoluzione nella vicina Russia e tutte le novità, buone e cattive, che portò. La parte occidentale del paese venne occupata dagli stranieri per un certo numero di anni, poi fu avviata la collettivizzazione delle terre. Nel resto del paese la società si era evoluta ancora nel frattempo, nuovi macchinari avevano preso il posto degli arnesi da lavoro del passato e anche la coltivazione della terra era divenuta più facile e produttiva. Uhyne tuttavia sopravvisse senza problemi sia ai sovchos, le aziende statali, che ai kolchos, le aziende collettive, senza che tali novità incidessero granché nella vita di ogni giorno. Poi però una gran parte dei giovani prese ad allontanarsi dal villaggio per andare a cercare lavoro nella vicina città e non tornò più indietro. Anton non riusciva a capire in effetti che cosa ci fosse laggiù che non si trovasse anche da loro, tuttavia – nonostante la propria curiosità – non volle mai allontanarsi dal proprio paese natale per andare a verificarlo con i propri occhi. Il suo villaggio non aveva mai avuto molto da offrire, in realtà, questo l’uomo lo sapeva, e con gli anni aveva anche finito per vedere diminuita la propria già scarsa popolazione. I giovani preferivano trasferirsi nei grossi centri urbani ove si diceva che vi fossero migliori opportunità di guadagno. Si parlava di grosse industrie che non interrompevano mai la produzione di giorno o di notte e di strade stracolme di locali alla moda che vendevano tutto ciò che si potesse desiderare. Ma lui non intendeva andarsene per nessuna ragione al mondo. E’ vero, il loro abitato era assai piccolo, piuttosto isolato dalle principali vie di comunicazione e non presentava attrattive particolari, ma per lui era tutto il mondo che conosceva. Inoltre, l’inverno era assai duro e non concedeva respiro, ne era consapevole. Però Anton aveva sempre ritenuto Uhyne un posto ai confini del mondo e a lui piaceva che restasse proprio in quel modo. Pareva quasi che chiunque altro si fosse dimenticato della sua esistenza…
Ricordava che una volta, molti anni addietro, era giunto fin lì quello che i giovani avevano chiamato semplicemente il turista. Che strani vestiti che indossava! Era arrivato con uno strano veicolo molto ingombrante, le cui ruote lasciavano solchi vistosi nel terreno, e appariva quasi come uno strano congegno avveniristico, totalmente fuori posto fra tutte le antiche case di pietra del paese. L’avventuriero era rimasto solo pochissime ore e in realtà pareva avesse davvero molta fretta di ripartire per raggiungere la sua destinazione, qualunque fosse. Forse aveva solo sbagliato percorso e per qualche strana ragione era finito in quel luogo isolato, chi poteva dirlo? Comunque la sua permanenza fu brevissima, dopodiché nessuno lo rivide mai più.
Probabilmente tutti gli abitanti delle grosse città erano come lui, aveva convenuto Anton, persone che non sapevano guardarsi attorno, andavano sempre di fretta e possedevano modi sgarbati, non ci teneva per nulla ad assomigliare loro. Anzi, non capiva proprio perché i più giovani dovessero essere attirati così pervicacemente da un luogo così diverso e lontano che aveva tradizioni completamente difformi dalle loro.
 
Anton spostò il Cavallo in avanti e andò a “mangiare” un pedone che proteggeva direttamente la Torre avversaria. Una bella pensata! Ora i Neri potevano fare solo due cose: sacrificare il pezzo in questione, che si trovava minacciato da un pedone a fianco, arretrando al contempo il Re che era posizionato alle sue spalle, oppure avanzare ed eliminare in tal modo dal tavolo quel pezzo troppo impudente, lasciando tuttavia pericolosamente campo libero al suo Cavallo che avrebbe potuto incunearsi ancor di più all’interno del suo schieramento. Si trattava di una scelta difficile e infatti la decisione su come comportarsi richiese parecchi minuti. Alla fine la sua avversaria decise di eliminare quel pedone che si trovava di lato. Benissimo, si disse l’uomo.
Fin dall’inizio del gioco, la sua avversaria l’aveva quasi chiuso nell’angolo con veemenza grazie a una tattica estremamente aggressiva ed efficace, tuttavia ora le cose stavano cominciando a cambiare, finalmente. Con un improvviso uno – due, Anton era riuscito ad allontanare da sé il pericolo della definitiva capitolazione e ora stava riguadagnando energicamente terreno rinforzando il proprio attacco su più fronti. Aveva ancora due pedine bianche in buona posizione e sapeva perfettamente di doverle sfruttare al meglio per tentare di rovesciare l’incontro a suo vantaggio, andando a gettare scompiglio nelle retrovie altrui con una mossa a sorpresa. Una di quelle sue invenzioni per cui era divenuto ormai famoso a Uhyne. Dall’altro lato del tavolinetto, la donna lo guardò intensamente, senza dire nulla, come sempre, consapevole del pericolo che la minacciava apertamente. Ora stava a lei muovere.
 
Ormai i pochi giovanetti ancora presenti nel villaggio di Uhyne e perfino la maggior parte degli adulti, discendenti di coloro che aveva avuto come amici e compaesani da ragazzo, tendevano a scansarlo per lo più e lo additavano spesso come “Il decrepito Anton…” o “Quell’individuo stravagante che vive nella vecchia casa vicino alle montagne”, però questo non lo infastidiva poi molto. Era un fatto innegabile: con il tempo tutti quelli che conosceva erano morti o avevano finito per trasferirsi altrove perché troppo vecchi per badare a se stessi, tuttavia lui non si era mai voluto allontanare dalla propria abitazione. Ormai sapeva di essere molto avanti negli anni e non si poneva più grossi traguardi, in quanto pensava dopotutto che la sua fine poteva non essere molto lontana… questione di anni, come di mesi! Sapeva benissimo che la sua famiglia era sempre stata costituita da persone molto longeve e caparbie. Lui, tuttavia, doveva essere intenzionato a battere davvero tutti i record al riguardo, o così pareva… Aveva 160 anni oramai.
 
“Ricorda, il saper ragionare ti potrà salvare la vita anche nelle circostanze più disperate!” gli aveva detto il Nonno più di una volta. Niente di più vero, doveva riconoscere Anton. Di fronte alla sua ultima mossa, la donna aveva tentennato a lungo, allungando più volte una mano come a muovere un pezzo e arrestandosi infine ogni volta prima di effettuare di fatto lo spostamento. Era indecisa… Per la prima volta in quella giornata i suoi occhi mostrarono un barlume di smarrimento. Infine scelse cosa fare e fece avanzare il proprio Re. Anton sperava in quell’errore. Afferrò il Cavallo e lo andò a posizionare proprio alla giusta distanza dal Re avversario. Ora il Re non aveva più vie d’uscita! Avrebbe dovuto muovere per allontanarsi a distanza di sicurezza dal suo pezzo, ma si sarebbe così venuto a trovare nel raggio d’azione della Torre o del vicino pedone. D’altra parte, il suo Cavallo era pronto a ghermirlo, nel caso avesse deciso di spostare un altro pezzo. In ogni caso, non poteva più liberarsi della sua salda presa.  
-Scacco Matto! – esclamò l’uomo. 
-Complimenti… Mi hai battuta un’altra volta! – disse la vecchia, con un sorriso asciutto.
Era ormai più di un secolo, se non si sbagliava, che giocava a Scacchi con quell’anziana signora. E non ricordava di aver mai perso una sola volta. In realtà le partite non si svolgevano mai a cadenza regolare, solo ogni tanto la sua avversaria si faceva viva per giocare con lui. Ma dopo ogni volta Anton era sempre più ansioso di giocare ancora una volta e attendeva con impazienza il giorno in cui lei sarebbe tornata a fargli visita.
Dentro il suo cuore aveva sempre avuto una strana sensazione che non sapeva spiegare. Era certo in fondo che, fintantoché avesse continuato a giocare e a vincere – non sapeva dire il perché… – avrebbe avuto la possibilità di misurarsi con lei in un’altra occasione. E questo, probabilmente ancora per un lungo, lungo tempo…
 
La donna si accomiatò, uscì dalla stanza e si incamminò in silenzio fuori del villaggio. La sua faccia mostrò allora le vere sembianze e la consueta espressione smunta e imperturbabile, di cui era abitualmente ammantata la vecchia, lasciò in breve il posto a un’immagine scheletrica e consunta: il volto della Morte. 
Un altro incontro di gioco con Anton e ancora una sconfitta! Da quanto si trascinava ormai quella strana storia? Non lo ricordava… Il ragazzo era diventato adulto e poi anziano, invecchiando lentamente ma inesorabilmente nel corso di una lunghissima vita, tuttavia non aveva mai parlato a nessuno di quegli incontri a Scacchi. In fondo faceva parte del loro accordo segreto di tanti anni fa. Anton era davvero molto più bravo di suo nonno Levko, che in passato l’aveva messa seriamente in difficoltà per molti anni prima di riuscire alfine a batterlo. Tuttavia non aveva perso le speranze di avere ragione anche di suo nipote alla lunga… Da lunghissimi anni assaporava ormai quel momento ed era certa che prima o poi avrebbe finalmente colto il suo anelato premio. In fondo, il tempo era decisamente dalla sua parte…

E quando avesse alfine prevalso, la sua vittoria avrebbe avuto un sapore ancora più dolce…

22/10/2009, Sergio Palumbo