LA STRANA VITA DEL DOTTOR MEFTIGKEITH

Meftigkeith era un uomo particolare, vedeva gli animali della savana, vedeva i leoni, le giraffe dappertutto, e aveva un grande rispetto per le donne.

Quella mattina di dicembre se ne tornava a casa come sempre, percorrendo la nazionale lungo le spiagge, erano vent’anni che faceva quel tragitto, ogni anno era tornato più innocente, era cresciuto al contrario perché nessuno gli aveva mai insegnato a diventare cattivo. Nel suo volto conservava ancora dei tratti di entusiasmo giovanile, la stessa frustrazione che gli aveva colorato le guance, adesso molli e senza vitalità, quando aveva iniziato a fare quel lavoro di guardiano notturno nel castello della palma bianca sul porto vecchio di Cannes, un paese a una quarantina di chilometri dal suo. Erano vent’anni che lottava contro il sonno per arrivare vivo a casa, e ogni santa mattina, nella sua bella auto ben tenuta, rischiava di essere l’ultima da vent’anni esatti.

− Credo proprio che oggi sia il mio compleanno, devo festeggiare. Apri gli occhi Meftigkeith! È il tuo compleanno, andiamo vecchio guardiano…

Ma quel giorno non era affatto il suo compleanno, era soltanto il compleanno della sua fidanzata, anche se non sapeva ancora come si chiamasse, né chi fosse la sua fidanzata.

Da giovane ne aveva una. Poi, quando aveva incominciato a fare il guardiano notturno, di notte, proprio per tutta la notte, aveva iniziato a lasciarla sola. Infatti, una bella mattina di vent’anni prima, Meftigkeith era tornato a casa con i croissant caldi. E quella era stata l’ultima volta che aveva mangiato i croissant.

Adesso il nostro Meftigkeith aveva deciso di festeggiare il compleanno della sua fidanzata, dopo averne trovata una. Erano tempi difficili per il mercato dell’amore, non si trovava quello che si cercava e, se lo si trovava, era quasi impossibile trattare sul prezzo oppure ottenere il tre per due. Il tre per due era visto come l’oltraggio più grave quando si parlava dell’amore. Meftigkeith, che di amore non se n’era mai inteso abbastanza, entrò in un’animaleria.

− Buongiorno, sto cercando una gattina per fidanzarmi e festeggiare il suo compleanno.

L’odore di pasta di semola di grano duro era quasi più forte di quello degli animali.

− Lei è pazzo Meftigkeith, torni da dove è venuto, non li vogliamo i pazzi nella nostra animaleria. Qui teniamo soltanto i cuccioli rinchiusi nelle gabbie e i topi appesi alle corde per far giocare i gattini.

− Ecco, una gattina! È proprio quello che stavo cercando.

− Ma non si può fidanzare con un gatto, lei è un uomo e QUESTO è un gatto. Un ga…

− … tto. Chi, questo?

− No, quello è un alligatore; no, non lo tocchi!

− Questo qui?

− Ecco, quello lì!

Meftigkeith era interdetto. Alla televisione avevano detto: Per questo San Valentino regalale la felicità, regalati la felicità, compra un bel regalo alla tua gattina e lei ti farà le fusa. Davvero non riusciva a capire dove aveva sbagliato, erano vent’anni che non aveva una fidanzata perché di notte lui lavorava e nessuna ragazza aveva voluto fidanzarsi con uno che di notte non c’era mai. Non credeva che fosse così difficile.

Continuò a guidare a zigzag e arrivò in una zona della città che non conosceva bene, sul retro del parc Phoenix, erano le due del pomeriggio, si era appena svegliato ed era un po’ stordito. A ogni semaforo si addormentava, sognava e ripartiva.

Dopo un po’, dopo un po’ di tempo o di cammino, sempre che non significassero la stessa cosa, sul lato di una strada che s’infilava tra due sfasciacarrozze, sotto una serie di palme inquinate, la vide. Come aveva fatto a non vederla per vent’anni! Vi si precipitò davanti e lesse: LA FABBRICA DELLE RAGAZZE.

− Salve, come va? Ho visto l’insegna e mi sono detto che questo era il posto che faceva per me.

− Bravo. Bravo, Meftigkeith. Se non hai il tempo di cercarti una ragazza, questo è proprio il posto che fa per te.

− Ma che cos’è? Come funziona?

− Vieni, entra, chiudi bene la portiera della macchina, questo quartiere è pieno di ladri.

Meftigkeith chiuse a chiave la sua automobile, l’accarezzò discretamente ed entrò nella fabbrica delle ragazze. Era un posto strano; forse era un sogno o era la stanchezza, dopo vent’anni di notti insonni, a giocargli quello strano scherzo, ma non era il momento di chiedersi cosa fosse reale e cosa no, la vita era troppo corta per farsi quelle domande, perciò una volta dentro cercò di lasciare i suoi vent’anni di solitudine alla porta e dedicarsi alla ricerca della sua ragazza per festeggiare insieme a lei il compleanno.

− Cosa ne pensi Meftigkeith? È il posto che stavi cercando da vent’anni?

− Non lo so, non vedo la mia ragazza.

− Ma se non l’hai ancora trovata, come fai a sapere qual è? Scegli la più bella e falla finita.

− Non posso, io ho rispetto per le donne. Non siamo in un’animaleria!

− Come vuoi tu. Fa’ in fretta però, la fabbrica chiude alle sei. Se non trovi qui la tua fidanzata, cercatela là e se non c’è neanche là, prova altrove. E, infine, laggiù, c’è il reparto assemblaggio. Chiedi di Arthur, il fabbro.

− D’accordo, lasciami riflettere, sono rimbambito, mi sono appena svegliato.

− Ah Meftigkeith, Meftigkeith, Meftigkeith. Da dove sei venuto fuori tu?

Il nostro guardiano notturno, stanco morto, con due occhiaie degne dell’elefante che gli stava passando davanti, non sapeva rispondere a quella domanda, non sapeva neanche quanto facesse due più due, era davvero rimbambito dalle sue migliaia di notti di veglia. Il suo cervello, dopo tanta fatica, si era accartocciato e aveva smesso di rilasciare le solite scariche di vitalità.

Davanti a lui c’era un corridoio fatto di resina e plexiglas, quando vi si addentrò gli sembrò di essere un documento rubato nell’archivio di Stato che stava passando sotto lo scanner di una fotocopiatrice. Da lontano si sentivano i rumori dei martelli e delle seghe elettriche, ebbe quasi l’impressione di essere in una fabbrica di automobili e gli venne un’immensa paura che la sua auto appena tirata a lucido fosse finita in fondo a quel corridoio per essere fatta a pezzi. Come avrebbe potuto vivere senza la sua fedele automobile! Erano vent’anni che la usava per andare al lavoro, ogni santa sera si era accesa al primo colpo senza mai lamentarsi. Quella era davvero un’auto degna di portare a bordo la sua nuova fidanzata per andare a festeggiare il loro compleanno.

Lungo quel corridoio trasparente c’erano delle stanze; ogni stanza conteneva una ragazza. Meftigkeith doveva soltanto scegliere in quale entrare e decidere se all’interno ci fosse la sua fidanzata. Il tetto era altissimo, si potevano vedere i suoi pensieri che volavano via, più incontenibili e necessari dell’ossigeno o dell’amore, assieme a vent’anni della sua vita da guardiano notturno. Quella era una bella mattina delle due del pomeriggio, Meftigkeith si era appena svegliato ed era entrato nella fabbrica delle ragazze, sul retro del parc Phoenix. Era l’otto dicembre del 1987.

La prima stanza era quella di MaryMary; aveva una porta scorrevole di carta sottile. Quando Meftigkeith l’aprì, sentì la netta sensazione della fragilità del suo gesto e gli venne quasi la voglia di tornare indietro a controllare se gli avessero rubato l’automobile. MaryMary era esile e abbronzata, aveva due nastrini rosa nei capelli, si stava mettendo della crema rossa sulle labbra con un pennello sottile, doveva essere una pittrice. La stanza era luminosa, si vedeva poco, il soffitto era talmente alto che era sparito dietro quella luce accecante e gli sembrò di essere entrato in paradiso.

− Ciao Meftigkeith, come stai? Non sei stanco dopo vent’anni di notti insonni e solitarie?

− Beh, a dire la verità mi sembra proprio di sì, ma cos’altro potevo fare? La mia ragazza era in una di queste stanze ad aspettarmi, io non ne avevo idea.

− E tu perché hai fatto il guardiano notturno per tutti questi anni?

− Perché non avevo i soldi per fare il lavoro che mi sarebbe piaciuto, capisci?

− Certo che ti capisco. Chi meglio di me ti può capire, Meftigkeith. Tutte quelle che sono state fabbricate in questo posto ti possono capire. Spero che ti possa consolare.

− Sì. Sì, certo, mi consola, ma la consolazione non è poi soltanto la sostituzione della felicità?

− E cos’altro altrimenti?

− Già, cos’altro altrimenti…

Meftigkeith entrò nella seconda stanza, dove avevano costruito una ragazza perfetta per il suo compleanno, si chiamava Isa Bella, era bionda, aveva gli occhi color dei confetti e un paio di mutandine con i fiocchi.

− Che c’è Meftigkeith, sei triste? Non ti piace la fabbrica? Non ti piaccio io?

− Tu sei bellissima Isa, ma non sei la mia ragazza e oggi non è neanche il tuo compleanno.

− Hai ragione, il mio compleanno è fra due settimane, mi hanno costruita per il Natale del ’65 in occasione della visita del primo Ministro russo in Francia. Io ero il suo regalo di compleanno.

− Come hanno potuto regalarti al Sultano per il suo compleanno!

− Il Ministro…

− E adesso vivi in questa stanza?

− È una bella stanza di vetro trasparente; non ti piace?

− È bellissima, mi ricorda il mare.

− Allora perché guardi me, Meftigkeith? Guarda il mare!

− Hai ragione Isa Bella, tu non sei neanche uno degli animali della savana, non hai la pelliccia e neanche le corna, ed io non ho il diritto di guardarti, andrei contro i miei principi di rispetto per le donne.

− Allora che ci fai nella fabbrica delle ragazze?

− Non lo so, stavo cercando la mia fidanzata per festeggiare insieme il nostro compleanno e a ogni semaforo mi addormentavo e sognavo. Forse anche voi siete nel mio sogno! Assieme agli animali della savana.

− Può darsi Meftigkeith, può darsi.

Prima di arrivare al reparto assemblaggio e chiedere di Arthur il fabbro, Meftigkeith entrò in altre tre stanze di plexiglas e conobbe Sweet Lara, Candy-Candy e Angelina. Avevano lingerie di pizzo, rosa, rosso carminio e azzurro cielo, non in quest’ordine, e tutte e tre risultarono essere della stessa opinione circa la sua ricerca e il suo lavoro di guardiano notturno. Avrebbe fatto meglio a tornarsene a casa e dormire un po’. Ma lui voleva cercare la sua fidanzata e non le ascoltò.

Intanto si erano fatte le cinque e mezza e la fabbrica stava per chiudere, già avevano abbassato le luci, le avevano smorzate come se una nuvola di fumo fosse venuta fuori dai suoi occhi annebbiati; doveva darsi fretta altrimenti sarebbe rimasto chiuso lì dentro e per la prima volta in vent’anni non si sarebbe presentato al lavoro. Quella notte avrebbe rischiato di girare all’aria aperta o per quelle stanze invece di lavorare e vedere gli animali della savana. Per un momento si lasciò affascinare da quella possibilità, ma subito ritornò sulla sua decisione, terrorizzato all’idea di disobbedire alle regole. Alla fine arrivarono le sei della sera, o della mattina, la lancetta si mosse con l’inesorabile rumore del fiore d’orchidea che cadeva nell’acqua.

Arthur il fabbro era alle prese con dei modelli nuovi da montare per una festa imminente, erano tutte ragazze appena fabbricate, gli mancavano gli ultimi ritocchi, le labbra carnose, le ciglia, gli accessori e i bijoux. Arthur era indaffaratissimo, aveva l’aria di un uomo spietato, che non sorrideva da anni; gli mancavano un po’ di capelli sulla fronte, aveva un naso lungo e sottile e aveva una pancia gonfia di collera e cattiveria.

− Che cosa vuoi? Questa è una zona alla quale voi mortali non potete accedere.

− Che diavolo significa noi mortali?

− Significa che tu non puoi stare qui Meftigkeith; questa fabbrica non è nel tuo mondo ma in un altro mondo, del quale tu non fai parte.

− Ma la persona all’ingresso ha detto…

− Lascia perdere la persona all’ingresso; quella lì è soltanto una ladra di macchine che ti ha fatto il trucchetto più vecchio del mondo.

− E io ci sono cascato, per colpa del mio stupido rispetto per le donne.

− Che cosa c’entrano le donne con la mia fabbrica?

− C’entrano sempre le donne, sono loro le protagoniste di tutte le mie storie.

− Devi averne scritte molte di storie sulle donne in vent’anni di lavoro al castello della palma bianca.

− Tantissime, ogni volta che arrivo al semaforo e mi addormento me ne viene in mente una nuova… Andiamo Meftigkeith! Apri gli occhi, andiamo vecchio guardiano, un’altra notte e basta…

Frank Iodice