RHOLANDO CAPOFRECCIA 02: IN UN’ALTRA EPOCA

Sembrava un sogno, ma sapevo che non lo era. Prima di tutto quelle spade luccicavano troppo e non credo che se qualcuno di loro avesse provato a passarmela da parte a parte mi sarei svegliata nel mio letto. Cosa mi rimaneva da fare? Iniziai ad urlare come un’isterica, a piangere, o meglio, ci provavo, non sono mai stata una lacrima facile. Ad un tratto sentii un ordine provenire dall’alto della torre del mastio e i soldati abbassarono le loro armi, senza però perdermi di vista. Quando Rholando scese nel cortile mi mise una mano sulla spalla e mi presentò ai suoi sottoposti.

« Signori, non abbiate timore per la mia incolumità. Questa fanciulla è una mia nipote che è venuta a trovarmi e rimarrà qui alla rocca per qualche tempo, il suo nome è Isadora.» disse Rholando. Poi mi prese per un braccio e mi portò nella torre.

« Spaventata? Non per così poco, mi auguro. Sicuramente ti sarà successo qualcosa di più tremendo.»

« Sì, ovvio, ma mi rendo conto che non deve essere facile vedere una persona che compare dal nulla ed è vestita in modo così strano.» risposi. Rholando sorrise, porgendomi degli abiti un po’ più femminili. Lo guardai stranita, cosa significava? Che mi sarei dovuta fermare per molto più tempo di quello che avevo previsto?

« Isa, dovrai rimanere con me per il tempo necessario e non preoccuparti per tuo padre, ricorda che c’è sempre Shamandala a vegliare su di lui. Tu mi dovrai stare accanto per impedire la mia morte e con oggi siamo esattamente ad una settimana prima del mio omicidio. Lo so perché oggi mia moglie partorisce il nostro terzo bambino e noi dobbiamo andare a Milano. Preparati, e anche alla svelta, perché il viaggio è lungo e partendo a quest’ora arriveremo sicuramente domani mattina molto presto.»

« Come fai a sapere che lei partorirà proprio oggi?»

« La nascita di un figlio è un qualcosa che non si dimentica ed inoltre io rivivo questi giorni per una seconda volta. Shamandala ci ha fatto un incantesimo per riuscire ad uccidere gli Stampa che, tra l’altro, conoscerai, poiché dobbiamo andare a salutare il nostro duca Francesco e loro sono dei cortigiani che vivono presso il suo castello.».

Rholando uscì dalla camera ed io rimasi lì con quel vestito troppo lungo e troppo stretto, che mi impediva di respirare. Lo misi meglio che potei e poi mi incamminai verso la porta che dava sulle scale, per scendere al piano di sotto. Ad un tratto il vestito mi andò molto meglio, lo sentivo leggero e non mi stringeva più sui fianchi, sembrava una magia… mi voltai, Shamandala era accanto a me e mi sussurrò di tenere gli occhi aperti e che ci avrebbe aspettati in città, nel palazzo del mio avo.

Com’era strano viaggiare in carrozza, non vedevo l’ora di raccontare tutto questo a mio padre, che sicuramente stava russando nel suo nuovo letto da single. La campagna sembrava più vivida, era incredibile per me non vedere i capannoni, i rondò e i camion sulle strade. Tutto era nuovissimo e curioso e anche il dover portare dietro un’arma perché, come diceva Rholando, non si sa mai, era affascinante. Seduta all’interno dell’abitacolo, mi sentivo un po’ a disagio con questo mio antenato che, vedendolo, doveva avere sì e no quattro o cinque anni più di me. Aveva un’aria fiera, due occhi verdi e profondi e i capelli corvini, elemento particolare, perché tutti in famiglia abbiamo sempre avuto i capelli biondi o rossicci. Era alto e vigoroso, sembrava un tipo molto pratico e… cavolo, mentre lo fissavo così mi resi conto di essermi presa una cotta per lui. Va bé, pensai, mi sarebbe passata.

« Come si chiamano i tuoi bambini?» gli chiesi, per rompere un po’ il ghiaccio. Si voltò verso di me ed iniziò a parlarmi della sua famiglia: la sua prima bambina, che ormai aveva quasi dieci anni, si chiamava Anna Bianca, mentre il secondo figlio, a cui avrebbe passato il compito di cacciare gli spiriti, si chiamava Alberto ed era il suo orgoglio, così vivace e svelto, sarebbe stato un predestinato magnifico. E il terzo che stava per arrivare non sapeva, se fosse nato maschio gli sarebbe piaciuto chiamarlo come suo padre, Armentius, e se fosse stata una femmina si sarebbe chiamata come sua madre, Orlundia, nome strano, si rendeva conto, perché sua madre non era di queste parti, ma veniva da un luogo lontano bagnato dal mare e dove la gente ha la pelle bruciata dal sole. Le sue erano solo idee, perché avrebbe dovuto parlarne con sua moglie Laura, una donna energica e forte, diceva, figlia di un banchiere.

« Sai, quando ci hanno fatto sposare eravamo poco più che dei bambini col naso ancora sporco di moccio. Per di più non ci sopportavamo, io quando la vedevo le tiravo le trecce e lei mi buttava addosso delle piccole pietre raccolte in cortile. I nostri genitori avevano già  trattato anche per una nostra eventuale separazione. Poi ci siamo sposati, io avevo quindici anni e lei tredici, ed è stato difficile, almeno all’inizio. Poi no, tutto è stato in discesa. Ci eravamo sempre amati, forse, e lei è sempre stata in grado di capire il mio compito. Il mio unico rammarico, quando mi hanno ucciso, è stato il non poter passare più tempo né con lei né con i miei figli, perché per quanto riguarda il compito, lei sapeva che avrebbe dovuto spiegare il da farsi ad Alberto.».

Scese la notte e con lei anche una fitta nebbia, che avvolse tutto. Si intravedeva appena il terreno dei campi, poi tutto quanto era stato costruito era stato ingoiato da quella massa grigia ed informe. Avevo sonno e Rholando mi disse di dormire, sembrava che il viaggio sarebbe durato meno di quanto si aspettava, poiché eravamo già prossimi all’abbazia di Chiaravalle. Il palazzo cittadino del mio avo si trovava vicino a quello che era stato il palazzo di Bernabò Visconti, accanto alla chiesa di San Giovanni in Conca, dove si sarebbe tenuto il battesimo del nascituro. Arrivammo al palazzo nelle prime ore del mattino e si sentivano già dall’androne d’ingresso le urla della futura mamma, in preda a dolori lancinanti. Rholando mi ordinò di stare con i suoi figli, che erano svegli e non vedevano l’ora di conoscere il loro fratellino. Rimasi con loro, facendoli giocare e divertendomi molto con questi bimbetti che parlavano un italiano simile a quello che avevo studiato per molti anni al liceo. Ad un tratto arrivò la levatrice, asciugandosi mani e braccia: la bambina era nata, stava bene e anche la mamma era in ottima forma, anche se stanca. I bambini entrarono subito, io rimasi un po’ in disparte, mi sembrava inopportuno entrare a gamba tesa in una situazione così intima e familiare. Rholando però non la pensava così e, con un gesto della mano, mi invitò ad entrare. Mi spinse davanti al letto, dove mamma e figlia se ne stavano tranquille a studiarsi a vicenda.

« Buonasera…» farfugliai, osservando la nuova nata, che aveva i capelli rossi come i miei e gli occhi chiarissimi. Laura mi guardò sorridendomi e mi chiese se non la trovavo bellissima anche io ed io non potei fare a meno che annuire.

« Si chiamerà Isadora, come te, perché se passerà la sua vita insieme a suo padre lo dovrà a te!» disse Laura, accarezzando la sua figliola. Rholando, preso un po’ alla sprovvista, annuiva ed io non sapevo cosa rispondere, sbalordita.

Il giorno dopo, quando mi svegliai, mi sembrò così strano aver dormito in un letto dove le lenzuola erano di raso e le coperte di una pelle di non so che animale. Cercavo di adattarmi a questa nuova realtà, consapevole che sarebbe durata poco, e poi non volevo dare nell’occhio. Mi vestii, mi spazzolai i capelli e aprii la porta della camera, sbirciai nel corridoio nella speranza di vedere qualcuno che mi dicesse un qualcosa tipo abbiamo servito la colazione nella sala da pranzo, come se nel Medioevo esistessero sale da pranzo e ci fosse l’abitudine di mangiare latte e biscotti. Richiusi la porta, mi sentivo proprio una scema, poi presi coraggio ed andai a trovare la moglie del mio avo. Laura se ne stava seduta sul letto con in braccio la piccola Isa, aveva appena finito di allattarla, e la nutrice la stava rimettendo nella culla. Appena mi vide mi sorrise e mi invitò ad entrare, mandò via la sua serva e mi fece sedere accanto a lei.

« Finalmente ti conosco, Cacciatrice. So chi sei, Shamandala mi è apparsa in sogno e mi ha parlato di te molto tempo fa, preannunciandomi la tua venuta e la tua volontà di salvare mio marito da morte certa. Non posso che esserti grata, mi rendo conto di quanto possa essere gravoso per te un compito del genere.» mi disse, guardandomi negli occhi.

« Spero tanto di compiere quanto ti è stato predetto, perché mi sento molto insicura, non mi è mai capitato un compito del genere e non so nemmeno da che parte iniziare. Rholando mi ha detto di stare insieme a lui il più tempo possibile, pronta ad intervenire, ma se sono stati veramente i vampiri a farlo fuori, bé ecco, non so proprio come fare. Ora voglio studiare i cortigiani del duca, pare che la famiglia Stampa sia implicata nell’uccisione di tuo marito. Si tratta di un’idea, anche se lui sembra molto convinto di questo, e non voglio escludere niente. Sarebbe necessario dare una festa per la venuta della vostra bambina nella vostra dimora, di modo che io possa dare un’occhiata a questa gente.»

« Va bene, avevamo già intenzione di dare un banchetto per festeggiare il battesimo della nostra piccola, che sarà stasera e a cui presenzieranno anche il nostro signor duca. Sarà un’occasione informale dove ti presenteremo ai nostri amici come una nostra lontana nipote che è venuta a farci visita. Spero tu sia d’accordo.». Annuii. Era vero, Laura era molto in gamba e pronta ad aiutarmi.

Quella sera ci recammo tutti dall’altra parte della piazza, dove sorgeva la chiesa si San Giovanni in Conca. Era stranissimo per me poterla vedere tutta intera, quanto rimane oggi in superficie corrisponde solamente a quanto si trova sopra la cripta della  chiesa, a uso di spartitraffico nel centro di Milano. Avevo sempre sognato questa visita e forse, con un po’ di fortuna, avrei potuto ammirare i monumenti funebri di Bernabò e della sua signora, Regina della Scala. I miei avi mi ascoltavano impallidendo: era impensabile per loro che un uomo potesse distruggere un tempio per motivi di comodità. La chiesa era buia, con qualche piccola candela che illuminava poco l’ambiente e, accanto al fonte battesimale, ecco il sacerdote che aspettava e due uomini, che dovevano essere i testimoni. La cerimonia fu molto breve e, dopo che sulla testa della piccola Isa venne versata l’acqua santa, i suoi genitori la portarono a casa, seguiti da questi due signori, due amici di Rholando. Si chiamavano Eugenio e Pietro Del Maino e facevano parte della corte di Francesco II. Sembravano due persone tranquille, amiche dei miei avi, ma avevano qualcosa che non mi convinceva, non sapevo spiegare il motivo di questa diffidenza ma decisi di stare attenta. Sapevo che li avrei rivisti presto, perché la sera successiva era stato organizzato il banchetto per la nascita della piccola Isa.

La sera successiva Laura venne nella mia camera con un abito verde smeraldo e una collana di rubini, che mi prestava per l’occasione. « Con questo sarai bellissima, Cacciatrice. La mia serva ti aiuterà a lavarti e a vestirti, poi ti pettinerà. Vedrai, ti divertirai molto. Non so come ci si diverta nella tua epoca ma anche noi non ci facciamo mancare niente!» Laura sembrava su di giri. Era felice di festeggiare con persone che riteneva amiche l’arrivo della sua ultima nata. Rholando invece mi sembrava un po’ agitato, sapeva che avrebbe ospitato in casa sua i suoi assassini.

« Non abbandonarmi mai, Isadora, mai, chiaro? Osserva tutti, specialmente gli Stampa, poi mi dovrai raccontare tutto.» mi sussurrò quando vennero annunciati i primi ospiti. Entrammo tutti nella sala dei banchetti, dove ci aspettava una tavola imbandita di ogni tipo di pietanza e delle strane bacinelle piene d’acqua accanto al tavolo, che servivano a lavarsi le mani fra una portata e l’altra, dato che ogni tipo di oggetto contundente era bandito. Il posto di capotavola era stato preso da un signore dai lunghi baffi, un po’ grassoccio, che fissava tutti con l’aria un po’ annoiata e talvolta sbadigliava: era il duca Francesco II, che non aspettava altro che poter mettere le sue dita sulla coscia di fagiano che si trovava proprio davanti a lui. I miei avi mi presentarono come una loro nipote giunta da lontano e poi iniziò la cena. I partecipanti al convivio, per quanto altolocati, sembravano dei bambini ancora poco educati, si strappavano il cibo dalle mani, masticavano a bocca aperta e mi sembrò addirittura di sentire un uomo digerire sonoramente. Fra una portata e l’altra mi guardavo intorno, per cercare qualche elemento utile al mio scopo. Sembravano tutte persone carine, nonostante tutto, sinceramente amiche dei padroni di casa, ma doveva esserci qualcosa. Ad un tratto la mia attenzione venne attirata da una sorta di fiammella blu che volteggiava per la stanza: dovevo vederla solo io, evidentemente, gli altri erano ancora intenti a masticare il loro cibo. La fiammella blu fluttuava e andò a fermarsi sopra la testa di Eugenio Del Maino, senza che lui si accorgesse di niente. Improvvisamente la fiammella scomparve e dietro l’ospite vidi Shamandala, che mi faceva segno di tacere.

Roberta Lilliu