GLI UOMINI AL MARGINE DEL TEMPO

Due maschi umani estranei fra loro che abbiano un contatto visivo l’uno con l’altro più lungo della fugace occhiata (apparentemente casuale ma data dalla necessaria valutazione delle capacità combattive dell’altro) finiranno per ringhiare: -Che cazzo guardi?- scivolando poi negli insulti e venendo, se uno dei due non cede, alle mani.
Due persone che si conoscono e s’incontrano, sceglieranno con tempismo l’ultimo secondo (facendo finta d’essersi accorti della presenza dell’altro solo allora) per scambiare un: -Ciao!- o: -Buongiorno!- e passare l’uno accanto all’altro. Non avranno tempo ne voglia di fermarsi a parlare, la reciproca occhiata perciò dev’essere posta quasi all’incrocio dei loro passi, poiché l’essere umano s’infastidisce se viene guardato a lungo. Può aiutare un telefonino in questi casi: gli occhi sono perduti nel nulla, in giù verso sinistra e la mente veleggia lontana, avvolta nel decifrare e sostenere la conversazione con l’individuo all’altro capo del filo. Possono aiutare gli occhiali scuri. Essi sono come le grottesche maschere d’animale indossate dai sudditi della Gran Bretagna nei romanzi di Moorcock: proteggono dai dubbi, dalle paure, dall’indecisione.
Di questo s’era accorto Davide passeggiando per il centro città. L’uomo aveva paura che altri gli leggessero nell’anima e allo stesso tempo desiderava la loro approvazione.
Ad ogni passo, membri di tribù diverse, si scambiavano occhiate di valutazione. I maschi facevano un rapido calcolo sulle dimensioni e la pericolosità degli altri; le donne sulla reciproca bellezza e sul tipo d’ornamenti.
Davide osservò individui girare con automobili alla moda, indossando vestiti approvati dalla moda; parlavano con frasi e discorsi scelti per loro dalla moda e dalla televisione. Quelli che si dicevano anticonformisti o ribelli, pur nella loro ribellione seguivano i dettami oscuri delle due Signore.
Davide vide molti di loro stringer fra le mani quotidiani gratuiti. Pensò alle assurdità scritte sulla carta e al fatto che avrebbe potuto vergare uno di quei giornali lui stesso in cinque minuti senza minimamente documentarsi sui fatti. Cosa c’era se non articoli sulla “prova costume”, sui “rincari”, sul “calcio”, sull’”emergenza caldo”? Titoli come “la giornata più calda da duecento anni a questa parte” si sprecavano, poi ecco le notizie di cronaca nera. Uccisioni, squartamenti, decapitazioni: l’individuo era perversamente felice di legger tutto questo, ma egli non era individuo più di quanto non lo fossero i russi in Unione Sovietica con la differenza che lì si sapeva che i mezzi d’informazione venivano manipolati dal Partito. Nel mondo di Davide tutto veniva manipolato forse in maniera peggiore eppure nessuno avrebbe osato solo pensare che…
Davide si morse un labbro e pensò a suo figlio Diego e al diario nuovo e alle scarpe da ginnastica e allo zaino con lettore mp3 incorporato. La mente del piccolo sarebbe dunque stata uccisa dalla tivù e dai computer? Le mosse di Diego sarebbero state tracciate e controllate da internet?
Davide scosse la testa, pensando alle proprie carte di credito e alle tessere fedeltà del supermercato. Una volta, ai tempi della Guerra Fredda, le si sarebbe chiamate microspie.
Sospirò, oltrepassando la fontana, il negozio di libri ed un venditore di palloncini.
Subitaneamente fu conscio di qualcosa di nuovo. Non c’era più alcun rumore, né il mormorio della folla, né il frollar d’ali dei piccioni. Tutti erano fermi come statue. Nessuno parlava.
Davide vide un passerotto bloccato a mezz’aria con le ali aperte. Non cadde al suolo l’uccellino. Inspiegabile, pensò Davide.
Un istante dopo aver percepito l’immobilità della scena, si rese conto d’esser nudo. Niente giacca, né cravatta, ne camicia e pantaloni. Le stesse scarpe di cuoio stavano svanendo come ombre dai suoi piedi.
Davide vide un uomo avvicinarsi. Era abbigliato con pantaloni, casacca e mantello. Tessuto semplice, colori chiari. I capelli tagliati a tazza, sembravano appiccicati su una fronte ampia che scendeva in un naso dritto e piccolo. Gli occhi erano scuri, intelligenti, la bocca carnosa ed il mento sporgente con una fossetta al centro.
L’uomo aveva una specie di zaino dal quale tirò fuori vestiti del tutto simili ai suoi: -Indossali- glieli allungò.
Davide li prese, incapace di replicare alcunché.
-I tessuti normali non resistono al cambio di velocità- disse lo straniero.
-Al cambio…?- Davide si trovò unicamente capace di ripetere quelle parole.
-Loro- l’uomo indicò le statue: -Non sono fermi, solo si muovono ad una velocità enormemente inferiore alla nostra, una velocità che consideriamo “normale”. Io, te e gli altri, ci muoviamo invece di molto sopra alla velocità della luce.
Le parole dell’uomo confusero Davide: -Luce? Sono pazzo?- credeva d’esser preda di visioni e deliri.
-No, ascolta- lo straniero gli mise una mano sul braccio: -Hai un potere come me e gli altri. Hai il potere di muoverti ad una velocità diversa.
-Diversa?- biascicò Davide.
L’altro annuì: -Non solo di muoverti, ma di vivere! Il tuo metabolismo è accelerato alla velocità della luce, capisci?
-Ma, io…- a Davide venne da piangere.
-Ascolta, è un dono, non una maledizione- disse lo straniero: -Puoi ritornare alla velocità che consideri “normale” quando vuoi, basta solo imparare a gestire il potere! Quando desideri un attimo di pace, quando desideri di liberarti della tua vita, noi siamo qui- continuò: -ai margini del tempo.
-Ai margini…?
-Si; alcuni di noi decidono di non rallentare più e bruciano in un giorno o in un’ora del tempo “normale”.
-Come una candela…- riuscì a farfugliare Davide. L’uomo fece spallucce: -Beh, si.
-Hanno vite piene e crescono, amano, invecchiano col sorriso sulle labbra. L’unico loro rammarico forse è non avere quelli che hanno lasciato nel mondo “lento” con loro.
Davide deglutì: -Ma…come vivete?
-Abbiamo costruito case e le nostre donne hanno imparato a filare questo tessuto speciale- indicò gli abiti suoi e di Davide: -I materiali non sono quelli che conosci. Cotone, legno, metallo, nulla resisterebbe alla velocità della luce.
-Ma chi li ha creati?
-La Terra- rispose lo straniero: -Erano già dentro di lei; abbiamo solo imparato ad estrarli e lavorarli. Il primo è stato il Vecchio.
Davide si accigliò. Aveva cominciato ad indossare i pantaloni e stava infilando la casacca: -Il Vecchio?- disse.
-Egli abita in una capanna al centro del nostro villaggio, tra le guglie del Monte Serrada e giunse nel nostro mondo ch’era bambino. Durante la sua lunga vita scoprì e imbrigliò i tessuti, i materiali di cui ti parlavo, rendendo più confortevole la vita per noi uomini al margine del tempo.
Il Vecchio ha vissuto perfino più velocemente di noi in un tempo smisuratamente dilatato.
-È il vostro capo? Il presidente? Il re?- domandò Davide. L’altro scosse la testa: -Lo veneriamo come un Dio, ma no, egli è solo un padre buono con i suoi figli. Io sono stato uno dei primi- lo straniero si batté il petto: -Sono entrato nel mondo del Vecchio dieci anni fa o questa mattina, stando al calcolo del tuo tempo.
Davide si rabbuiò, ma seguì lo straniero quando questi gli disse che sarebbero andati al villaggio sulle guglie della montagna.
Visse lì per cinque anni e prese moglie. Imparò a lavorare i materiali, ad estrarre l’acqua (vivendo alla velocità della luce, ogni cascata, ogni fonte era lenta e dura come roccia) e divenne benvoluto nella comunità. Sua moglie diede alla luce due figli che avevano il dono di spostarsi, come lui, da un mondo all’altro.
Proprio il guardarli negli occhi, gli fece venir nostalgia della vita di prima, quell’esistenza da schiavo, mistificata dalla televisione, dalla moda, dalle droghe e dal potere oscuro dei soldi.
Ormai aveva imparato a regolare la velocità fra i due mondi.
Una mattina, salutati moglie e figli, scese dalle guglie del Serrada e camminò a piedi sino alla città dov’era nato. Lì, scivolò lungo strade zeppe di statue viventi, fino ad arrivare alla porta di casa.
Rallentò e vide il mondo riprender vita attorno a lui. Macchine, uomini, donne e cani e uccelli e bestemmie e imprecazioni e scoppi di clacson. L’uomo bussò alla porta e vide la moglie. Dopo cinque lunghi anni, non era cambiata affatto.
-Ciao amore, come mai così presto?- domandò lei. Davide sorrise: cinque anni erano passati nello spazio di un’ora.
Davide si tolse la giacca, la camicia, la cravatta e i pantaloni che lui stesso aveva confezionato con i materiali dell’altro mondo e indossò una vecchia tuta da ginnastica. Baciata la moglie, corse alla porta. Qualcuno aveva suonato.
Vide un vecchio; era decrepito ed aveva i capelli bianchi, scarmigliati come il vello dei lupi, ma negli occhi suoi azzurri ardeva la fiamma di chi abbia vissuto appieno e con gioia.
Nell’uomo riconobbe il Vecchio, il Vecchio di cui tanto si parlava al villaggio, il Vecchio che lui non aveva mai avuto la fortuna d’incontrare.
Nell’uomo riconobbe suo figlio Diego.
-Sto per morire papà e volevo rivederti un’ultima volta. Ho avuto un’esistenza appagante, piena, libera…libera papà- il Vecchio sorrideva, sorrideva come un bimbo.
-Non rammaricarti per me e usa il dono come meglio puoi. Fa’ ciò che io ho fatto e migliora la vita di coloro che sono al margine.
Davide sentì le lacrime sgorgare come un fiume in piena; non riusciva a capacitarsi di nulla: -Diego…Diego! Io…io t’ho accompagnato a scuola solo questa mattina e tu…- il pianto gli bloccò la voce. Suo figlio lo guardò con amore e annuì: -È stato tanto, tanto tempo fa.
08/07/2009, Marcello Nicolini