L’ABISSO HA GLI OCCHI BLU (OUT OF BODY EXPERIENCE)

Torniamo a parlare di libri e torniamo a consigliarvi un volume molto interessante: si tratta di “L’abisso ha gli occhi blu (Out of body experience)” di Rita Corradi (256 pagine; 12 euro), pubblicato da Edizioni Progetto Cultura.
Vediamo insieme la trama. Giorgio e Melanie Carrera hanno tentato per anni di avere dei figli e la loro Alice arriva come un dono inaspettato. E’ bellissima e fino a un anno e mezzo di età è una bambina come tutte le altre. Poi, da un giorno all’altro, tutti i progressi da lei fatti regrediscono al punto di dare l’impressione che non riconosca più nemmeno i propri genitori. La diagnosi, inappellabile, è Autismo.
Verso i quattro anni, Alice rivela però un eccezionale talento per il disegno e la pittura che fa gridare gli esperti al miracolo e la piccola e anonima cittadina in cui la famiglia risiede diventa da un giorno all’altro “il posto dove vive quella strana bambina”.
Passa il tempo, Alice diventa adolescente e succede qualcosa di incomprensibile. I suoi quadri assumono all’improvviso delle connotazioni preoccupanti: i paesaggi prendono delle forme e dei colori inconsueti, come se appartenessero a dimensioni diverse, e le figure umane hanno fattezze molto inquietanti; alcune, addirittura, agghiaccianti. Nessuno capisce quei dipinti e soprattutto come scaturisca l’ispirazione di quella strana ragazza incapace di aprirsi al mondo.
Solo un uomo – Andrea Soames – intuisce, a una mostra allestita per lei, il perché di quei quadri. Andrea, figlio di una brasiliana e di un italiano, è un lupo solitario: un uomo enigmatico e difficile che, pur conducendo una vita all’apparenza normale, rifiuta di seguire il branco e convive con mille nevrosi quotidiane e strane paure. Il suo destino e quello della giovane autistica sembrano collegati da un filo sottile attraverso strane visioni oniriche dell’uomo che iniziano a prendere corpo sin dal momento della nascita di Alice. Padre Giuseppe, consigliere spirituale di Andrea e suo unico amico, un tempo si chiamava Yussuf Dashan e viveva in Etiopia. Ora conduce vita monastica nell’abbazia cistercense di Casamari. La visione di un dipinto della giovane artista risveglia in lui antiche paure infantili che gli provocano spaventosi incubi.
Il corpo senza vita di un brillante neuropsichiatra viene trovato nel proprio appartamento, e il caso viene subito archiviato come “fatale incidente”.
Da dove viene l’arte sublime di Alice? Cosa hanno di particolare le sue opere? Qual è il filo invisibile che la collega ad Andrea Soames? Perché il monaco è così turbato da quel dipinto? Cosa è successo al giovane neuropsichiatra? Le risposte a queste e altre domande arrivano al termine di un percorso costellato da intuizioni che guidano il lettore attraverso brividi e colpi di scena, ma anche momenti di intensa poesia e passione.
E ora, direttamente dalle parole di Rita, scopriamo chi è l’autrice di questo inquietante romanzo: “Sono nata a Roma il 7 novembre del 196… di qualche anno fa. Sin da bambina ho subito dimostrato una spiccata creatività, manifestata soprattutto attraverso il disegno e la pittura, che continuano a essere un mio hobby. Due mie grandi passioni sono la Natura – in particolare l’ornitologia e l’entomologia – e i Cartoons. La Natura è un interesse che condivido da anni con Augusto, mio marito, ricercatore naturalista di professione (sì,  proprio uno di quelli che si vedono nei documentari, insomma). Superfluo aggiungere che, in quanto amante della Natura, adoro gli animali. Di Cartoonia mi piacciono soprattutto i classici: da Disney a Chuck Jones e Hanna e Barbera. E ho una collezione molto vasta di film e cortometraggi d’animazione, sia in VHS, sia in DVD.
I miei studi sono stati piuttosto frammentati perché, nell’età critica dell’adolescenza, la voglia di andare a scuola era davvero poca. Il punteggio di 50/60 all’esame di maturità fu ottenuto soprattutto per merito del tema.
Ho cominciato a dedicarmi seriamente alla scrittura creativa, però, soltanto negli ultimi anni, quando mi sono trovata a dover inventare di sana pianta delle favole serali da raccontare alle mie due figlie. Siccome per alcune di quelle storie a volte era capitato che chiedessero il bis, allora ho dovuto necessariamente riportarle nero su bianco per non dimenticarle. Ma la spinta vera e propria me l’ha data mio marito: se non fosse stato per lui, forse non avrei mai preso la decisione di scendere in campo.
Ispirata da uno dei personaggi di quelle storielle, un ragazzino aborigeno australiano, ho dato successivamente vita al mio primo libro: un romanzo con una trama intrigante e complessa, ma ancora molto lontano da una maturità stilistica vera e propria. Pur essendo originali e avendo trame molto ben elaborate, infatti, i miei primi lavori presentavano quei tipici e numerosi difetti degli autori esordienti che un buon lavoro di editing (che è mancato del tutto nella mia prima casa editrice) avrebbe dovuto rilevare.
Come ogni autore, tendo a mettere un po’ di me in ogni personaggio a cui do vita, anche in quelli minori, cercando tuttavia di nascondermi bene.
Il soprannaturale è un elemento sempre presente nelle mie storie, ma non mi piace l’horror vero e proprio: a un film di Dario Argento, per esempio, preferisco di gran lunga guardarne uno di M. Night Shyamalan che è il mio regista preferito, nonché modello da seguire.
Una delle mie caratteristiche più evidenti è che spesso tendo a distrarmi e a distaccarmi dalla realtà e il guaio è che a volte mi capita di farlo anche quando è più che necessario che rimanga ancorata a terra, per esempio quando sono in ufficio e devo prestare attenzione al lavoro”.
E ora, giusto per farvi capire cosa vi aspetta da “L’abisso ha gli occhi blu (Out of body experience)”, eccovi due stralci del romanzi presi da due capitoli differenti.
 
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Era quasi ora di cena, dalla cucina proveniva odore di pollo arrosto con patate. Giorgio finì di apparecchiare e si avvicinò con cautela al quadro tanto temuto e odiato dalla moglie, voltandolo di nuovo dalla parte visibile. Anche lui non poteva fare a meno di provare una scossa ogni volta che lo guardava, però doveva riconoscere che era ben fatto. Ma quelle due figure che sembravano fondersi nello sfondo violaceo, senza uscire troppo fuori, evocavano davvero qualcosa di malvagio; c’era una malignità intrinseca nelle due immagini, soprattutto nelle orbite apparentemente vuote di quelli che avrebbero dovuto essere gli occhi delle due entità raffigurate. Era quella la cosa più strana e più terribile: solo apparentemente quelle orbite sembravano vuote e inespressive, ma bastava cambiare di poco angolazione, spostandosi più a destra o a sinistra della tela, per intuire la forza e la minaccia che quello sguardo all’apparenza opaco e privo di vigore sprigionava.
«Tu la vuoi un po’ di minestra?» gridò Melanie dalla cucina facendolo sobbalzare.
«Sì, va bene!» rispose lui sbrigandosi a voltare nuovamente la tela verso il muro.
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Gli organizzatori della rassegna avevano allestito un tavolo all’esterno dietro il quale la famiglia dell’artista e alcuni giovani collaboratori ricevevano i visitatori via via che arrivavano, distribuendo gli opuscoli illustrativi e rispondendo alle varie domande che venivano loro poste. Alice se ne stava seduta, un po’ in disparte, con lo sguardo errante come se fosse capitata in quel posto per puro caso e non vedesse l’ora di andarsene, come se non fosse lei la primadonna della scena.
Osservandola, Andrea provò tenerezza, ma anche compassione nel vederla così indifesa alla mercé di tutti quegli intrusi che le si affollavano intorno desiderosi di stringerle la mano, fotografarla o solo farle una carezza. Sentì un moto di rabbia, invece, nel vedere un operatore televisivo di una tivù locale passare ripetutamente e senza pietà la propria telecamera su e giù, inquadrandola da cima a fondo. I suoi genitori erano troppo occupati a rispondere alle domande per vederlo. Di certo, pensò Andrea, non avrebbero approvato quella invadente esplorazione mediatica sulla loro ragazza.
All’inizio si limitò a guardarla da lontano, senza trovare la forza di avvicinarsi a lei. Era così incantato a osservarla, da non essersi accorto subito delle tele collocate fuori e quando la sua attenzione si spostò dal volto di Alice ai quadri, ebbe un capogiro. Gli sfondi monocolore di nove di quei dodici dipinti lì esposti e le figure opaline e diafane stagliate in quei cieli irreali gli fecero perdere, per un breve istante, il contatto con la realtà catapultandolo in una dimensione illusoria. Uno, in particolare, lo colpì come una scudisciata: il denso azzurro dello sfondo aveva la stessa profondità del cielo dei suoi sogni e anche da esso usciva una figura bianca e trasparente: un grande rapace con le ali spiegate nel vento. Un uccello di cristallo.
Tornato in sé dallo stordimento causato dalla visione di quei dipinti, e in particolare di quell’ultimo, non esitò più e si avvicinò deciso a lei.
Con i gomiti poggiati sul tavolino, cercò il più possibile di tendersi verso il suo viso per afferrare la sua attenzione. Alice si voltò verso lui rivolgendogli, per un breve istante, lo sguardo negli occhi. Giorgio colse quello sguardo diretto e ne rimase colpito: Alice non lo aveva mai fatto con un estraneo e potevano contarsi sulle dita di una sola mano le volte che lo aveva fatto con lui o con la mamma.
«Da quale lontano mondo proviene la tua arte? E in quale lontano mondo vorresti portarmi?» le chiese in un sussurro. La risposta di Alice fu un breve sorriso.
 
A questo punto non ci resta che augurarvi buona lettura!
22/06/2009, Davide Longoni